Enciclopedia giuridica

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Diritto



abuso del diritto: v. abuso, diritto del diritto.

diritto agli alimenti: v. alimenti; danno, diritto ingiusto.

diritto alla riservatezza: v. riservatezza, diritto alla diritto.

diritto alla salute: costituisce un diritto della personalità (v. diritti della personalità ). V. anche immissioni.

diritto alla vita: v. vita, diritto alla diritto.

diritto al lavoro: l’art. 4 Cost. riconosce a tutti i cittadini il diritto diritto e stabilisce che la Repubblica promuove le condizioni atte a rendere effettivo il diritto stesso. Presupposto fondamentale di tale principio è da considerarsi l’art. 1 Cost., che dichiara la Repubblica fondata sul lavoro: il lavoro assurge pertanto a elemento di qualificazione della struttura costituzionale dello Stato. Altro presupposto è rappresentato dall’art. 2 Cost. che riconosce e garantisce il diritto inviolabile dell’uomo all’affermazione e svolgimento della sua personalità; diritto che, in un contesto sociale fondato sul lavoro e che esige dai singoli l’adempimento di doveri di solidarietà , non può essere realizzato se non con l’esercizio di una attività socialmente utile. Analoga funzione è svolta dall’art. 3 Cost., che, assicurando a tutti il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di ognuno alla vita del paese, implica l’assunzione da parte dello Stato dell’impegno di mettere ciascuno nella condizione di poter lavorare. La garanzia contenuta nell’art. 4 si presenta così come logico svolgimento dei principi che, proclamando il valore assoluto della personalità sociale dell’uomo, comportano l’esigenza di offrire ad ognuno la possibilità di esplicare pienamente la propria personalità. L’enunciazione del diritto diritto trova poi sviluppo ed integrazione nelle direttive poste agli interventi statali nel campo dell’organizzazione economica al fine di rendere effettivo il diritto stesso; in secondo luogo in una serie di garanzie predisposte per rafforzare un sistema che si avvii sempre più verso la massima occupazione; infine, in un complesso di norme protettive dell’attività lavorativa. Viene costituzionalmente imposto, infatti, che il lavoro assegnato non leda l’integrità fisica e la personalità morale (art. 41 Cost. e art. 2087 c.c.), assicuri una esistenza libera e dignitosa (art. 36, comma 3o, Cost.). Ev inoltre garantito che venga mantenuta e reintegrata l’attitudine a prestare lavoro nei casi di sospensione involontaria (art. 38 Cost.) e che sia curata la formazione professionale dei lavoratori (art. 35 Cost.). Il diritto diritto garantisce una delle fondamentali libertà personali: assume pertanto un contenuto negativo, di pretesa a che lo Stato si astenga da ogni intervento diretto ad impedire l’esplicarsi di una attività lavorativa o la scelta o le modalità di esercizio della stessa. Però , sotto un altro aspetto il diritto diritto si configura come diritto a contenuto positivo: si sostanzia nella pretesa a ottenere lavoro o comunque a che vengano favorite occasioni di lavoro. (L. Fanan).

diritto all’identità personale: v. identità personale, diritto all’diritto.

diritto all’immagine: v. immagine, diritto all’diritto.

diritto all’integrità fisica: v. atti, diritto di disposizione del proprio corpo.

diritto all’oblio: v. riservatezza, diritto alla diritto.

diritto all’onore: v. onore, diritto all’diritto.

diritto al nome: v. nome, diritto al diritto.

diritto assoluto: v. diritti, diritto assoluti.

diritto cartolare: è il diritto di credito nascente dall’emissione di un titolo di credito astratto (v. titoli di credito, diritto astratti) cioè privo di causa, avente ad oggetto la prestazione menzionata nel titolo stesso e circolante secondo la legge di circolazione tipica dei beni mobili (artt. 1153 ss. c.c.). Caratteristica fondamentale del diritto diritto è il principio della letteralità : il titolare del diritto diritto può farlo valere solo secondo il tenore letterale del titolo di credito senza alcun riferimento ad elementi o circostanze non risultanti dal titolo; il debitore, da parte sua, può opporre al creditore solo le eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo. Il diritto diritto rappresenta un diritto ulteriore e distinto rispetto a quello già sorto dal rapporto sottostante all’emissione del titolo di credito, detto rapporto causale. Tra i due rapporti si stabilisce, nei c.d. titoli cambiari, il seguente nesso: a) finche´ può essere esercitato il diritto diritto, resta sospeso l’esercizio del diritto sottostante; b) il soddisfacimento del diritto diritto estingue, automaticamente, il diritto sottostante. L’autonomia del diritto diritto importa l’impossibilità per il soggetto passivo dello stesso di apporre al possessore del titolo l’eccezione di mancanza di causa nella emissione del titolo, salvo che il possessore non sia l’immediato prenditore del titolo.

certezza del diritto: v. certezza del diritto.

diritto comune: v. norma giuridica, generalità e astrattezza della diritto.

concetto di diritto: alla domanda, che cosa è il diritto, si può rispondere solo per approssimazioni successive. Si può dire, in prima approssimazione, che è un sistema di regole per la soluzione di conflitti fra gli uomini; la sua ragion d’essere sta nel carattere di perenne contesa che assume la convivenza umana. La funzione del diritto è , anzitutto, di proibire l’uso della violenza per la soluzione dei conflitti: è , quindi, di risolvere i conflitti con l’applicazione di regole predeterminate, le quali stabiliscono quale fra gli interessi in conflitto sia degno di protezione e debba prevalere e quale non sia degno di protezione e debba soccombere. Questa regole compongono, nel loro insieme, un sistema: esse non provvedono, isolatamente, a questo o a quel possibile conflitto; ciascuna concorre con le altre ad assolvere una funzione complessiva, che è di adeguare i rapporti fra gli uomini, in tutta la loro varietà e complessità , ad un dato modello di ordinata convivenza, di realizzare un equilibrio generale e, il più possibile, stabile fra i diversi interessi in conflitto nella società . Per ordinare una società secondo il diritto è necessario un’apposita organizzazione: occorre, in secondo luogo, che ad una superiore autorità sia riconosciuta la preliminare funzione di creare regole per la soluzione dei conflitti; occorre, in secondo luogo, che ad una superiore autorità sia attribuita l’ulteriore funzione di applicare quelle regole per risolvere i conflitti di volta in volta insorti. Queste forme di organizzazione sociale sono mutate nel tempo e tuttora si differenziano nello spazio, sono diverse cioè da paese a paese. Se consideriamo la società nella quale viviamo, constatiamo che almeno tre ordini di autorità sono investiti del potere di creare il diritto: una autorità nazionale, ossia lo Stato; una autorità sovranazionale, che è la Cee; una serie di autorità infrastatuali, che sono le regioni e gli enti locali. Il potere di creare il diritto è , inoltre, separato dal potere di applicarlo: il primo spetta ad appositi organi dello Stato (il parlamento, il governo), della Cee (il consiglio), delle regioni e degli enti locali (i consigli regionali, i consigli provinciali e comunali); il secondo è esercitato da un separato organo dello Stato, l’autorità giudiziaria, e da un separato organo della Cee, la Corte di giustizia. Ma in altre società del nostro tempo troviamo forme notevolmente diverse di organizzazione giuridica. Si segnala, sotto questo aspetto, il sistema anglosassone del precedente giudiziario vincolante: le pronunce dei giudici, oltre che risolvere il caso concreto sottoposto al loro esame, vincolano tutti i giudici che saranno successivamente chiamati a risolvere casi analoghi; e così l’autorità giudiziaria è essa stessa, in quei paesi, un organo che crea il diritto. Un successivo grado di approssimazione alla definizione del diritto sta nel distinguere il sistema di regole, in cui il diritto consiste, da altri sistemi di regole che governano la convivenza umana, come i principi della morale, basati sulla distinzione fra il bene e il male, le regole del costume che distinguono tra ciò che è corretto e ciò che è scorretto, i comandamenti delle religioni, concepiti come regole di fonte sovranaturale ecc.. Questi diversi sistemi di regole hanno, talvolta, una intrinseca forza obbligante superiore a quella del diritto; ma sono sistemi di regole ai quali si ubbidisce solo per interiore adesione ai valori che esprimono, non per esterna costrizione. Il diritto si estingue, all’opposto, per il carattere della coercitività : esso non consiste solo in un sistema di regole che prescrivono o che proibiscono dati compromettenti; è , altresì, un sistema organizzato per imporre l’osservanza delle proprie regole.

diritto convenzionale: complesso di norme scritte che costituiscono il secondo livello delle fonti giuridiche internazionali. Ha carattere particolare, nel senso che si indirizza e vincola esclusivamente le parti contraenti, e si pone in un rapporto di reciproca derogabilità con la consuetudine. Per tale ragione, l’ordinamento internazionale è considerato come flessibile. A differenza del diritto consuetudinario che ha essenzialmente ad oggetto la disciplina della sovranità degli Stati, intesa come potere di coercizione materiale (diritto della coesistenza), il diritto diritto ha ad oggetto il potere di comando degli Stati, obbligandoli con le sue norme ad articolare in un determinato modo l’ordinamento interno, al fine di soddisfare gli obblighi autonomamente assunti sul piano internazionale (diritto della cooperazione). V. anche accordo internazionale; diritto dei trattati.

diritto d’asilo: v. asilo.

diritto dei trattati: complesso di norme consuetudinarie non scritte che disciplinano il procedimento di formazione ed i requisiti di validità e di efficacia dei trattati internazionali. La codificazione del diritto diritto è stata promossa dalla Organizzazione delle N.U. ed operata mediante la elaborazione da parte della Commissione del diritto internazionale della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969, entrata in vigore il 27 gennaio 1980 e ratificata anche dall’Italia. Completano tale codificazione, le ulteriori convenzioni concluse sempre a Vienna, ma non ancora entrate in vigore: del 1978 sulla successione degli Stati nei trattati e del 1986 sui trattati stipulati tra Stati ed Organizzazioni internazionali o tra Organizzazioni internazionali. V. anche accordo internazionale; trattato internazionale.

diritto delle genti: v. jus gentium.

diritto del mare: complesso delle norme internazionali consuetudinarie e convenzionali che disciplinano gli spazi marini e le loro utilizzazioni. L’evoluzione subita nel corso dei secoli dal diritto diritto ha visto inizialmente l’affermazione della sovranità degli Stati sul mare, quasi come un diritto reale di proprietà e, successivamente, fino alla fine del sec. XIX, quella del principio della libertà nel senso più ampio, avente come unico limite quello del rispetto dell’eguale libertà altrui. Con il sec. XX, e soprattutto dopo la II Guerra mondiale, si registra nuovamente la tendenza all’affermazione della sovranità degli Stati sul mare, non più semplicemente a fini di navigazione, ma soprattutto allo scopo dello sfruttamento delle risorse marine, con la conseguente nascita di istituti giuridici preordinati a tale scopo (piattaforma continentale; zona economica esclusiva). La codificazione del diritto diritto, iniziata a Ginevra nel 1958 (con la stipulazione di quattro Convenzioni, su: il mare territoriale e la zona contigua; la piattaforma continentale; l’alto mare e la pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare), è proseguita con la Conferenza di Ginevra del 1960, che ha però fallito nella determinazione del limite esterno del mare territoriale e, più tardi con la III Conferenza delle N.U. sul diritto diritto, che ha prodotto la Convenzione di Montego Bay del 1982, che è entrata in vigore il 16 novembre 1994, un anno dopo il deposito del sessantesimo strumento di ratifica. Un ruolo importante nella definizione dei principi guida del diritto internazionale del mare è stato svolto dalla giurisprudenza internazionale, soprattutto in materia di delimitazioni marittime, a partire dalla sentenza del 1951, sulle pescherie norvegesi, in cui si è sancita la legittimità dell’adozione del sistema di linee rette di base per la determinazione del limite interno del mare territoriale; alla sentenza del 1969, sulla delimitazione della piattaforma continentale del mare del Nord, con la quale di è sancito il valore unicamente convenzionale del metodo della linea mediana o di equidistanza espresso nell’art. 6 della relativa Convenzione di Ginevra del 1958, per la delimitazione della piattaforma continentale tra Stati contrapposti o contigui; ed alle più recenti sentenze del 1982 (Libia/Tunisia); 1984 (Golfo del Maine); 1985 (Guinea/Guinea Bissau e Libia/Malta); 1989 (Guinea Bissau/Senegal).

diritto di angheria: v. angheria.

diritto di edificare: la legislazione urbanistica, pur nel suo contrastato evolversi, è pervenuta ad alcuni punti fermi: spetta ai comuni, secondo i criteri generali fissati dalle regioni, di determinare l’assetto del territorio mediante appositi piani regolatori, che stabiliscono quali aree del territorio comunale sono destinate all’agricoltura, quali ad insediamenti industriali o commerciali e quali all’edilizia residenziale. Qui l’interesse generale ad un uso equilibrato del suolo, basato sul razionale coordinamento delle esigenze dell’agricoltura, dell’industria e della residenza abitativa, prevale sull’interesse particolare del singolo proprietario che, fra le tre destinazioni sopra indicate, può essere indotto a preferire per il proprio suolo quella idonea a procurargli la più alta rendita, non importa se in contrasto con l’utilità generale. Ne deriva un limite a quello specifico modo di godimento del suolo che è la facoltà di edificare: di utilizzare il suolo, cioè , per costruirvi un edificio. Fuori dai centri abitati operano i vincoli posti dalla legge a tutela dell’ambiente e del paesaggio: il vincolo paesaggistico riguarda i territori costieri, quelli contermini ai laghi, quelli montani (l. n. 431 del 1985). Ovunque le costruzioni, là dove sono consentite, debbono essere eseguite nel rispetto delle prescrizioni, poste dai piani regolatori e dai regolamenti comunali, che prevedono i caratteri estetici, igienici ecc. cui le costruzioni debbono adeguarsi. Per ogni costruzione sia rurale, sia industriale, sia urbana, nonche´ per la sua trasformazione, occorre avere ottenuto dal comune la relativa concessione, che è rilasciata dopo l’accertamento di tutte le condizioni di legge: chi edifica senza concessione o in violazione della concessione ottenuta (cosiddette costruzioni abusive) può essere costretto alla demolizione, e può altresì subire la confisca del terreno e della costruzione, che passano in proprietà del comune (art. 15 l. n. 10 del 1977, e artt 7 e 19 l. n. 47 del 1985); mentre l’osservanza delle prescrizioni urbanistiche influisce sulla commerciabilità degli edifici e dei suoli: per l’art. 17 della l. n. 47 del 1985 gli atti fra vivi aventi ad oggetto edifici sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare; per l’art. 18 anche gli atti fra vivi aventi ad oggetto terreni sono nulli e non possono essere stipulati ne trascritti nei registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica. La legislazione urbanistica solleva il problema se il diritto diritto inerisca al diritto di proprietà del suolo, quale facoltà rientrante nel diritto di godere delle cose di cui all’art. 832 del c.c., o se le norme che subordinano l’edificazione al provvedimento amministrativo di concessione abbiano, invece, separato il ius aedificandi dal diritto di proprietà. Nella nostra legislazione il principio della licenza di costruzione era stato, per la prima volta, introdotto dal d.l. n. 640 del 1935, che impose l’obbligo della richiesta di preventiva licenza del sindaco a chiunque intendesse eseguire costruzioni o modificare le costruzioni esistenti in qualsiasi parte del territorio comunale. Segnò , invece, un regresso la legge urbanistica n. 1150 del 1942: la preventiva licenza di costruzione fu limitata alle costruzioni interne ai centri abitati e alle zone destinate dal piano regolatore alla loro espansione. Solo con la l. n. 765 del 1967 si tornò all’obbligo generalizzato di licenza edilizia. Restava però insoluto il problema se il ius aedificandi fosse ancora da considerare come facoltà inerente al contenuto del diritto di proprietà o se, spezzato ormai l’antico rapporto fra diritto di proprietà del suolo e facoltà di edificare, questa fosse diventata oggetto di una concessione amministrativa (v.), avente per semplice presupposto la proprietà del suolo. Alla prima soluzione aveva aderito il Consiglio di Stato: questo qualificava la licenza edilizia come semplice autorizzazione, riconosceva un vero e proprio diritto soggettivo a costruire e, quindi, ad ottenere la licenza edilizia al proprietario che avesse presentato al sindaco un progetto di costruzione conforme alle prescrizioni del piano regolatore e dei regolamenti edilizi. Per la seconda soluzione propendeva la Cassazione, la quale riteneva che, per giustificati motivi di interesse pubblico (come, ad esempio, la facoltà per il comune di provvedere alle opere di urbanizzazione che la nuova costruzione avrebbe comportato), il sindaco potesse negare la licenza edilizia, e conseguentemente qualificava l’interesse del proprietario alla licenza come interesse legittimo (v. diritti soggettivi, diritto e interessi legittimi), non suscettibile di tutela aquiliana. In argomento intervenne, con la sentenza n. 55 del 1968, la Corte Costituzionale: questa condivise la premessa secondo la quale la facoltà di edificare è inerente al diritto di proprietà ; ne trasse la conseguenza della illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 42 Cost., di una norma della legge urbanistica del 1942: quella per cui i vincoli di zona previsti nei piani regolatori e implicanti inedificabilità dei suoli non equivalevano ad espropriazione e non comportavano diritto all’indennizzo (art. 40 c.c.). A modificare questa premessa ha, invece, mirato la citata l. n. 10 del 1977, introducendo la espressa qualificazione come concessione dell’atto del sindaco e richiedendo la concessione per ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale (art. 1 l. n. 10 del 1977). Ma, a giudizio della Corte costituzionale, ciò non è ancora valso a separare il diritto diritto dal diritto di proprietà : nella sentenza n. 5 del 1980 si legge che l’edificazione avviene ad opera del proprietario dell’area, il quale, concorrendo ogni altra condizione, ha diritto ad ottenere la concessione edilizia; che il diritto diritto continua ad inerire alla proprietà e alle altre situazioni che comprendono la legittimazione a costruire; che la concessione a edificare non è attributiva di diritti nuovi ma presuppone facoltà preesistenti; che essa non adempie a funzione sostanziale diversa da quella dell’antica licenza, avendo lo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall’ordinamento per l’esercizio del diritto, nei limiti in cui il sistema normativo ne riconosce e tutela la sussistenza (così la Corte ha motivato la illegittimità costituzionale dell’art. 14 c.c. che, per determinare l’indennizzo per l’espropriazione, faceva riferimento al valore agricolo, e non al valore di mercato, delle aree espropriate). L’introduzione della figura della concessione, in luogo della precedente licenza, intesa come autorizzazione, non è in verità risolutiva del problema. Risolutiva è piuttosto la circostanza che, in fatto di concessione edificatoria, la P.A. non gode, in base alle leggi ora menzionate, delle facoltà discrezionali che in passato la Cassazione le aveva riconosciuto. La qualificazione della concessione come atto dovuto è all’art. 8 della l. n. 9 del 1982; e il principio del silenziodirittoaccoglimento, introdotto dal medesimo art. 8, è manifestamente incompatibile con la spettanza di poteri discrezionali all’amministrazione. Il proprietario che presenti una domanda conforme alle prescrizioni di legge, di piano regolatore e di regolamento edilizio ha diritto alla concessione; e questo diritto inerisce al suo diritto di proprietà . Il diritto diritto può essere escluso o limitato dalla legge o da altre fonti normative cui la legge rinvia; ma, quando la legge e queste altre fonti ammettono l’edificazione, e nei limiti entro le quali la ammettono, il proprietario del suolo ha, in quanto tale, il diritto diritto. La destinazione edilizia dei suoli tocca, oltre che il tema dei limiti del diritto di proprietà , anche quello degli obblighi del proprietario, di cui fa parola l’art. 832 c.c.. Al proprietario che ottiene una licenza di costruzione è imposto di corrispondere al comune somme mediante le quali contribuire, secondo coefficienti predeterminati, al costo delle opere che il comune esegue per attrezzare le aree destinate all’edificazione, ossia per allacciare le nuove costruzioni alla rete stradale e agli impianti generali di acquedotto, di rete fognaria ecc. (oneri di urbanizzazione primaria), e di quelle che si rendono necessarie per dotare le aree di nuova edificazione di adeguati servizi sociali, come scuole, asili, poliambulatori ecc. (oneri di urbanizzazione secondaria). Il principio è che le opere di urbanizzazione accrescono il valore delle costruzioni e che il loro proprietario, se non vi contribuisse, si arricchirebbe a spese della collettività (artt. 3, 9 – 12, l. n. 10 del 1977).

diritto di esclusiva: v. esclusiva, diritto di diritto.

diritto di guerra: v. jus in bello.

diritto di inedito: è il diritto dell’autore di un’ opera dell’ingegno (v.) di non pubblicare l’opera. Tale diritto è aspetto del più generale diritto morale di autore (v.); non sussiste a beneficio dell’autore di invenzioni industriali.

diritto di informazione: è il diritto di ogni socio (v.) ad essere informato delle attività della società e della sua situazione patrimoniale. Materia preminente dell’informazione societaria sono le notizie concernenti la gestione della società . Dall’art. 2261, comma 1o, c.c., relativo alle società di persone, e dall’art. 2489 relativo alle s.r.l. prive di collegio sindacale, è protetto l’interesse del socio ad avere notizia dello svolgimento degli affari sociali. Nella legge azionaria tedesca che è la più sensibile alle esigenze di informazione del socio il § 131 prevede, sotto la rubrica diritto di informazione dell’azionista, che nell’assemblea ogni azionista può richiedere agli amministratori informazioni sugli affari della società , ove esse sono necessarie per una adeguata valutazione dell’oggetto all’ordine del giorno, e la richiesta può estendersi ai rapporti giuridici e di affari che la società abbia con imprese collegate (una corrispondente norma, peraltro, si ritiene implicita anche nel nostro sistema). Gli affari della società sono l’oggetto preminente dell’informazione, ma non l’oggetto esclusivo. L’art. 2422, comma 1o, soddisfa l’interesse del socio alla conoscenza di fatti societari diversi dalla gestione dell’impresa sociale: la consentita consultazione del libro dei soci permette a ciascun azionista di prendere diretta conoscenza della identità dei coazionisti, della entità dei loro possessi azionari, dei versamenti eseguiti, dei trasferimenti e dei vincoli sulle azioni; ugualmente, la consentita consultazione del libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea è conoscenza documentale (o, per i soci che furono presenti, riscontro documentale) di fatti societari, quali i lavori assembleari e le relative deliberazioni, non necessariamente attinenti alla gestione dell’impresa sociale. Quanto alla funzione dell’informazione, è consueta in letteratura la constatazione del suo carattere strumentale. Essa vale a porre il socio nella condizione di esercitare consapevolmente i diversi diritti, amministrativi o patrimoniali, che la legge gli attribuisce: la conoscenza acquisita sulla gestione sociale gli permette, in ogni tipo di società, di esercitare a ragion veduta il voto e in genere i diritti che gli sono individualmente riconosciuti (nelle società di persone il singolo socio può, a norma dell’art. 2259, comma 3o, chiedere la revoca per giusta causa degli amministratori; nelle società di capitali può , a norma dell’art. 2408, denunciare al collegio sindacale i fatti censurabili); gli permette, inoltre, di trarre elementi di valutazione circa il valore e le condizioni di rischio della sua partecipazione, al fine di disporre di questa, di recedere dalla società e così via. Analoga valenza possono avere, nelle società di capitali, gli elementi di conoscenza tratti dai libri sociali cui è al socio consentito l’accesso: per ciò che attiene, in particolare, al libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea, acquista preminente rilievo lo specifico diritto del socio di impugnare le deliberazioni assembleari non conformi alla legge o all’atto costitutivo (art. 2377) oppure aventi oggetto impossibile o illecito (art. 2379); un diritto il cui esercizio presuppone il preliminare esame, oltre che l’acquisizione di copia, del verbale di assemblea recante la deliberazione che intende impugnare. La consultazione del libro dei soci, d’altro canto, consente al socio, che non raggiunga le quote di capitale richieste per domandare la convocazione dell’assemblea (art. 2367) o per fare al tribunale denuncia di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci (art. 2409), di stabilire gli opportuni contatti con altri soci. Circa le forme di tutela dell’interesse del socio all’informazione la letteratura societaria ha da tempo introdotto la distinzione fra forme di autotutela e forme di eterotutela: a volte è concesso al socio di tutelare da se´ il proprio interesse all’informazione, con il riconoscimento di un suo individuale diritto di chiedere notizie (diritto diritto in senso stretto) o di consultare documenti (diritto di ispezione); altre volte il bisogno di informazione dei soci è soddisfatto, a vantaggio di tutti, con la prescrizione legislativa dei contenuti e delle forme di pubblicità delle comunicazioni sociali, o con la predisposizione di appositi organi di controllo, quali il collegio sindacale, aventi il potere di acquisire notizie sulla gestione, di consultare documenti e di riferirne nelle proprie comunicazioni (artt. 2408, comma 2o, 2432, comma 2o), oltre che di assumere le conseguenti iniziative. Ev comune constatazione che il diritto del singolo socio alla consultazione dei documenti abbia, nei diversi tipi di società , una intensità variabile in ragione, fondamentale, di questi criteri: l’appartenenza del socio a società di persone o a società di capitali; la responsabilità illimitata o limitata del socio; la presenza o l’assenza del collegio sindacale. Nelle società di persone il diritto di controllo di ciascun socio non amministratore si estende fino al diritto di consultare i documenti relativi all’amministrazione (art. 2261, comma 1o); ma è diritto proprio dei soci a responsabilità illimitata: i soci accomandanti di s.a.s. possono sì consultare i libri e gli altri documenti della società , ma al solo fine di controllare l’esattezza del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite; ciò che esclude ogni loro possibile ispezione in corso di esercizio. Nelle società di capitali assume valore discriminante la presenza o l’assenza del collegio sindacale. Nella s.r.l. con capitale inferiore a duecento milioni, dove il collegio sindacale può mancare (art. 2488), ciascun socio ha diritto di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali (art. 2489). Qui mancano limiti temporali; tuttavia l’oggetto dell’ispezione del socio è più ristretto, essendo limitato ai libri sociali: espressione che i più intendono in modo rigoroso (solo i libri sociali di cui ai nn. 1 – 4 dell’art. 2490, comma 1o) ed altri nel più comprensivo senso dei libri contabili obbligatori di cui all’art. 2214, comma 1o, o addirittura delle scritture contabili di cui all’art. 2214, comma 2o.

diritto di inseguimento: eccezione al principio della sottoposizione della nave all’esclusivo potere dello Stato della bandiera. Ev previsto sia dal diritto internazionale consuetudinario che convenzionale: art. 23, Convenzione di Ginevra del 1958, sull’alto mare; art. 111, Convenzione di Montego Bay del 1982, sul diritto del mare. Potere attribuito alle navi da guerra ed alle navi in servizio governativo dello Stato costiero di inseguire una nave straniera in alto mare quando si hanno fondati sospetti che questa abbia violato le leggi ed i regolamenti nazionali, purche´ l’inseguimento abbia avuto inizio nelle acque interne, nel mare territoriale o, se distinta da questa, nella zona contigua marittima e non sia stato interrotto. Per analogia, deve ammettersi anche rispetto alla zona economica esclusiva ed alle acque sovrastanti la piattaforma continentale, in relazione alla lesione di particolari interessi riconosciuti allo Stato costiero in tali zone. Sulla nave catturata possono essere esercitati soltanto quei poteri esercitabili nella zona dalla quale l’inseguimento ha avuto inizio. Il diritto diritto cessa non appena la nave inseguita entra nel mare territoriale dello Stato di cui batte la bandiera o di altro Stato. V. anche nave; navigazione, diritto marittima.

diritto di ispezione: nella s.p.a. e nella s.r.l. con collegio sindacale il diritto diritto dei soci ha per oggetto il libro dei soci e il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea (art. 2422, comma 1o, in relazione all’art. 2412, nn. 2 e 3; art. 2490, comma 3o, in relazione al comma 1o, nn. 1 e 2). Sicche´ il diritto diritto su altri documenti, diversi dai libri indicati, non appare riconosciuto: non è riconosciuto in rapporto al libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione ne´ , tanto meno, su singoli documenti attinenti alla gestione dell’impresa sociale. Un più generale diritto diritto è , per contro, attribuito al collegio sindacale ed ai suoi singoli componenti: l’art. 2303, dopo avere imposto al collegio sindacale il dovere di controllare l’amministrazione della società e di vigilare sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo, precisa al comma 3o che i sindaci possono in qualsiasi momento procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo. Di qui la comune illazione che alla autotutela del socio è sostituita, nella società per azioni o a responsabilità limitata avente collegio sindacale, la eterotutela esercitata da questo apposito organo di controllo. La soluzione legislativa rivela l’estrema cautela con la quale il legislatore riconosce poteri ispettivi ai singoli soci di società di capitali: l’art. 2489 postula una particolare valutazione delle caratteristiche dei soci di s.r.l. con esiguo capitale sociale, essendo essi non solo meno numerosi e dispersi degli azionisti, ma anche più interessati di costoro alle vicende sociali e quindi più idonei ad esercitare senza pericolose turbative una sia pure contenuta azione di vigilanza sulla gestione dell’impresa. Oggetto del diritto diritto dell’azionista sono soltanto i libri sociali menzionati nell’art. 2422, comma 1o; l’azionista non può chiedere agli amministratori di consultare documenti riguardanti fatti diversi da quelli destinati alla trascrizione in detti libri: non può , in particolare, prendere diretta visione dei biglietti di ammissione all’assemblea, delle procure all’intervento e del foglio di presenza; ne´ può instaurare un autonomo giudizio avente quale petitum la condanna della società a consentire la consultazione di tali documenti; l’azionista può, in assemblea, chiedere che il presidente esegua specifiche verifiche sulle condizioni di legittimazione degli intervenuti; non può , invece, pretendere di verificare di persona i documenti relativi; l’esibizione di questi documenti può essere domandata dall’azionista nel corso di un giudizio che abbia quale petitum l’annullamento di una deliberazione assembleare e quale causa petendi l’allegazione di un determinato e concreto fatto invalidante, la cui prova sia racchiusa nel documento specifico del quale egli chieda l’esibizione.

diritto di legazione: discende dall’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra soggetti internazionali (Stati ed organizzazioni internazionali). Consiste nell’invio da parte di uno Stato dei propri rappresentanti diplomatici presso un altro Stato (diritto diritto attivo) e nel ricevimento a sua volta dei rappresentanti diplomatici di Stati stranieri sul suo territorio (diritto diritto passivo). Essendo gli Stati liberi di instaurare o meno reciprocamente le relazioni diplomatiche, si parla impropriamente di un diritto diritto. Al riguardo, l’art. 2 della Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961, sulle relazioni diplomatiche, precisa che: lo stabilimento delle relazioni diplomatiche fra Stati e l’invio di missioni diplomatiche permanenti avviene per mutuo consenso. V. anche agenti diplomatici.

diritto di prelazione: v. prelazione.

diritto di rettifica: v. onore, diritto all’diritto.

diritto di ritenzione: v. ritenzione.

diritto di seguito: v. diritti reali.

diritto di sequela: v. diritti reali.

diritto di sorvolo: v. spazio aereo internazionale; stretti internazionali.

diritto di superficie: v. superficie, diritto di diritto.

diritto di visita: riconosciuto, in tempo di pace, alle navi da guerra in alto mare nei confronti di navi mercantili straniere, nel caso in cui vi sia il fondato sospetto che esse: a) siano dedite alla pirateria od alla tratta degli schiavi; b) effettuino trasmissioni radio e televisive non autorizzate; c) siano prive di nazionalità o, benche´ battano bandiera straniera o rifiutino di mostrare la propria bandiera, abbiano in realtà la stessa nazionalità della nave da guerra. Se l’esito della visita porti a ritenere infondati i sospetti, la nave fermata deve essere indennizzata per le perdite ed i danni subiti (Convenzione di Ginevra 1958, sull’alto mare, art. 22; Convenzione di Montego Bay del 1982, art. 110). La Convenzione di Montego Bay estende il diritto di visita anche alle navi in servizio governativo, ove a ciò autorizzate dallo Stato di appartenenza (art. 110, comma 5o). In tempo di guerra, il diritto diritto è consentito in alto mare alle navi da guerra dei belligeranti nei confronti delle navi mercantili di qualsiasi Stato per accertare nazionalità e natura del carico trasportato e, per verificare, quindi, che esse rispettino le norme sulla neutralità . V. anche navigazione, diritto marittima; nave, nazionalità della diritto; neutralità .

diritto erga omnes: v. diritti, diritto assoluti.

errore di diritto: v. errore, diritto di diritto.

diritto ex cartula: equivale a diritto cartolare (v.).

diritto generale: v. codici e codificazioni.

diritto internazionale privato: il principio della statualità del diritto (v. Stato) non comporta, necessariamente, che sul territorio di ciascuno Stato si applichi sempre e soltanto il diritto di quello Stato. Ciascuno Stato può , nella sua sovranità , autonomamente stabilire che a certi rapporti si applichi, anziche´ il diritto da esso prodotto, quello prodotto da altri Stati; può, conseguentemente, richiedere a propri giudici di applicare, anziche´ il proprio diritto, il diritto di altri Stati. Ciò accade in forza di una norma di diritto statuale che rinvia, per la regolazione di certi rapporti, al diritto di altri Stati; e questo rinvio, appunto perche´ fatto da una norma dello Stato, non è rinuncia alla sovranità: è , esso stesso, espressione di sovranità dello Stato. Le preleggi e la successiva l. 31 maggio 1995, n. 218, contengono una serie di norme, dette norme di diritto diritto, che stabiliscono quando il giudice italiano deve applicare il diritto italiano e quando, invece, il diritto di altri Stati. A loro volta gli altri Stati hanno proprie norme di diritto diritto che risolvono, dal loro punto di vista, i medesimi problemi. Ma anche le norme di diritto diritto sono espressione della statualità del diritto; e ciascuno Stato formula a propria discrezione le proprie norme di diritto, senza tenere in alcun conto le norme formulate dagli altri Stati, con conseguente possibilità di conflitti: può accadere, così, che al rapporto fra due cittadini di Stati diversi entrambi gli Stati di appartenenza pretendano di applicare il proprio diritto, movendo ciascuno da una diversa norma di diritto diritto; può accadere, all’opposto, che per quel rapporto entrambi gli Stati rinviino al diritto straniero. Per superare questi possibili conflitti vengono spesso stipulate convenzioni internazionali, con le quali più Stati si impegnano reciprocamente ad adottare norme omogenee di diritto; e sono convenzioni diverse dalle convenzioni di diritto uniforme, perche´ non realizzano, a differenza di quelle, un diritto a contenuto uniforme nei diversi Stati, ma concordano i criteri in base ai quali ciascuno Stato applica il proprio diverso diritto. Ma queste convenzioni, sebbene numerose, si riferiscono solo a specifiche materie (l’Italia ha aderito a tre convenzioni dell’Aja del 1905 in materia di matrimonio, a due convenzioni di Ginevra del 1930 e del 1931 sui conflitti di legge in materia di cambiale e di assegno, alla convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali): per le materie non regolate da convenzioni internazionali o rispetto agli Stati che non vi abbiano aderito la possibilità di conflitto permane. Ciascuno Stato risolve il conflitto facendo valere la propria norma di diritto: vale il principio secondo il quale, quando la legge dello Stato rinvia ad una legge straniera, questa va applicata tenendo conto del rinvio da essa fatto ad altra legge solo se il diritto di tale Stato accetta il rinvio o se si tratta di rinvio alla legge italiana (art. 13 l. cit.). Perciò , il giudice italiano applica allo straniero il diritto nazionale di questo anche se, secondo il diritto del suo paese, si dovrebbe applicare il diritto italiano. Le nostre leggi adottano, fondamentalmente, due criteri, che applicano alternativamente alle diverse materie. Uno è il criterio della legge nazionale: è il criterio per il quale il giudice italiano applica il diritto italiano oppure il diritto straniero a seconda che si tratti di regolare rapporti relativi a cittadini o a stranieri. Per i vari criteri di collegamento si rinvia alle voci: cittadinanza; legge regolatrice, diritto dello Stato e della capacità delle persone e dei rapporti di famiglia; legge regolatrice, diritto del possesso, della proprietà e degli altri diritti sulle cose; legge regolatrice, diritto delle successioni per causa di morte; legge regolatrice, diritto delle donazioni; legge regolatrice, diritto delle obbligazioni; legge regolatrice, diritto della forma degli atti. Alle singole norme che, a seconda della materia, adottano il criterio della legge nazionale e quello della legge del luogo si aggiungono altre due norme che contengono affermazioni di principio. Una è quella relativa alla condizione di reciprocità (v. reciprocità , condizione di diritto); l’altra norma di principio pone, per converso, un generale limite all’applicazione nel territorio italiano del diritto straniero e, più in generale, degli atti di Stati esteri e di qualunque istituzione o ente, nonche´ delle convenzioni private formate all’estero: si tratta dell’ordine pubblico internazionale (v. ordine pubblico, diritto internazionale). Il giudice può , secondo le norme di diritto, essere tenuto ad applicare il diritto di un altro Stato; non è però tenuto a conoscerlo. L’antico principio secondo il quale il giudice conosce il diritto (iura novit curia) era tradizionalmente ritenuto valido solo per il suo diritto nazionale: il diritto straniero doveva, invece, essere provato dalla parte che ha interesse alla sua applicazione. Ma più recentemente si è precisato (art. 14 l. cit.) che il giudice può e deve avvalersi di ogni mezzo idoneo per acquisire conoscenza della legge straniera applicabile, ovviando con la sua scienza e la sua ricerca diretta al difetto di prova.

diritto internazionale pubblico: complesso delle norme consuetudinarie e convenzionali che appartengono all’ordinamento della comunità degli Stati e disciplinano i rapporti tra questi ultimi, pur avendo ad oggetto non solo materie attinenti a rapporti interstatali ma anche a rapporti interindividuali, cioè a rapporti interni alle comunità statali. Dal principio della eguaglianza sovrana degli Stati discende il carattere anorganico e paritario della comunità internazionale. Pertanto, i rapporti disciplinati dal diritto diritto hanno un carattere più eminentemente privatistico (in quanto paritari) che pubblicistico. V. anche fonti del diritto internazionale.

diritto morale d’autore: è il diritto alla paternità dell’opera frutto della propria creatività intellettuale e consiste nel diritto: 1) ad essere riconosciuto come autore; 2) di non pubblicare l’opera (v. diritto di inedito); 3) di opporsi alle pubblicazioni che possano recare pregiudizio alla sua reputazione (art. 2577, comma 2o, c.c.); 4) di ritirare l’opera dal commercio qualora concorrano gravi ragioni morali, salvo l’indennizzo di chi abbia acquistato il diritto all’utilizzazione commerciale dell’opera (art. 2582 c.c.). Il diritto diritto è concepito dalla legge come un diritto della personalità . Pertanto trattasi di un diritto imprescrittibile, irrinunciabile, intrasferibile (artt. 2577, comma 2o, 2582, comma 2o, e 2589 c.c.): l’eventuale cessione del diritto diritto è nulla. Dopo la morte dell’autore il diritto diritto può essere fatto valere, senza limite di tempo, dal coniuge o dai figli o, in mancanza, dagli ascendenti o da altri discendenti diretti (art. 23 l. 22 aprile 1941, n. 633), indipendentemente dalla loro qualità di eredi: il diritto diritto non si trasmette agli eredi, ma può solo essere esercitato, a tutela del proprio sentimento familiare, dai suoi congiunti.

diritto morale d’inventore: è il diritto alla paternità dell’invenzione industriale frutto della propria creatività intellettuale, analogo al diritto morale d’autor e (v.), salvo che per l’assenza del c.d. diritto di inedito (v.).

diritto naturale: nozione propria della scienza romanistica sulla base della quale inquadrare il contenuto e giustificare la giuridicità del complesso di norme formatosi nell’ambito della Comunità internazionale caratterizzata dal principio dell’eguaglianza sovrana degli Stati e dalla conseguente anorganicità di essa. diritto fondato e scritto nella ratio e nel cuore di tutti gli uomini viventi in una società e, quindi, ad essi inerente, non necessariamente determinato e posto in essere da un’autorità superiore. Riposa sulla concezione dell’uomo come essere sociale e libero che il diritto diritto protegge garantendo la sua libertà e limitato il potere cui esso è sottoposto. Grozio, padre del diritto internazionale, nella sua opera De jure belli ac pacis costruisce la concezione di una società necessaria di potenze sovrane superiorem non recognoscentes, la cui sovranità è limitata unicamente dal diritto.

diritto oggettivo: con il termine di diritto diritto o norma agendi si designano le norme giuridiche, ossia le norme che prescrivono agli individui dati comportamenti.

diritto patrimoniale d’autore: è il diritto all’utilizzazione esclusiva dell’opera di ingegno compiuta, quando questa non è l’oggetto di un contratto di lavoro subordinato. Ev un diritto trasferibile (artt. 2581 e 2589 c.c.) e può , inoltre, formare oggetto di contratti che, ferma restando la titolarità del diritto da parte dell’autore, consentano ad altri lo sfruttamento dell’opera. Il modo normale per l’autore delle opere di ingegno di ricavare un vantaggio economico dalla propria opera consiste proprio nel trasferimento, dietro corrispettivo, del diritto diritto relativo ad essa (v. contratto, diritto di edizione). Esso sorge, in capo all’autore, all’atto stesso della creazione dell’opera (art. 2576 c.c.) e dura 70 anni dopo la sua morte.

diritto patrimoniale d’inventore: è analogo al diritto patrimoniale d’autore (v.), e sorge, in capo all’autore, solo nel momento in cui egli ha conseguito il brevetto per invenzione (v.) (art. 2584 c.c.) con effetti che decorrono, una volta che l’ha conseguito, alla data della domanda; l’ideazione dell’invenzione attribuisce solo il diritto di ottenere il brevetto. Fra più autori della medesima invenzione acquista il diritto, morale e patrimoniale di inventore, quello che fra essi per primo ha fatto domanda di brevetto. Il diritto diritto può formare oggetto di pegno (art. 2806 c.c.).

diritto privato e pubblico: tutto il diritto si scompone in due grandi sistemi di norme, che si distinguono tra loro con il diverso nome di diritto privato e di diritto pubblico. La terminologia è antica, risale al diritto romano; ma il suo significato è più volte mutato nel corso del tempo, e sarebbe vano ricercarne il significato attuale nel senso comune dei concetti di privato e di pubblico. Solo in via di prima approssimazione si può dire, ripetendo l’insegnamento tradizionale, che diritto privato corrisponde a diritto che regola i rapporti fra privati e che diritto pubblico equivale a diritto che regola i rapporti ai quali partecipa lo Stato, o altro ente pubblico. Di vero, in un simile criterio di distinzione, c’è solo questo, che i rapporti fra privati non possono essere regolati se non dal diritto privato. Non si può dire, invece, che i rapporti ai quali partecipa lo Stato, o altro ente pubblico, siano regolati sempre e soltanto dal diritto pubblico: essi possono essere tanto rapporti di diritto privato quanto rapporti di diritto pubblico. Ancora in via di prima approssimazione si può dire, ripetendo i termini della distinzione tracciata dai Romani, che il diritto privato attiene alla protezione di interessi particolari (l’utilità dei singoli) e che il diritto pubblico protegge l’interesse generale della collettività (la prosperità di Roma, secondo le fonti romane). Di vero, anche qui, c’è solo questo: allo Stato, e agli altri enti pubblici, si chiede di realizzare l’interesse generale, e solo ai privati è lecito soddisfare interessi particolari. Ma il diritto privato è in se´ neutro rispetto al tipo di interessi da realizzare: ci sono paesi, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d’America, dove l’attività degli apparati esecutivi dello Stato, diretta a realizzare l’interesse generale, si svolge prevalentemente nelle forme del diritto privato. Ed anche nell’Europa continentale lo Stato e gli enti pubblici agiscono, assai spesso, secondo le norme del diritto privato: comprano o vendono, danno o prendono in locazione, partecipano a s.p.a. o esercitano direttamente imprese come qualsiasi privato, ubbidendo alle stesse norme che regolano i rapporti fra privati. Il significato della distinzione fra diritto diritto, per quanto la materia formi oggetto di molte dispute, è nei suoi termini generali assai semplice. Possiamo dire che il diritto privato è il diritto senza ulteriore qualificazione: la sua più esatta denominazione è quella di diritto comune applicabile tanto nei rapporti fra soggetti privati quanto nei rapporti ai quali partecipa lo Stato o altro ente pubblico (rapporti fra privati ed ente pubblico, rapporti fra enti pubblici). Gli istituti caratteristici del diritto privato, come la proprietà (v.), il contratto (v.), la responsabilità civile (v.), l’impresa (v.) e così via, valgono sia per i soggetti privati sia per i soggetti pubblici: proprietario, contraente, responsabile per fatto illecito, imprenditore, può essere un privato cittadino come può essere lo Stato o altro ente pubblico. Le norme del c.c. o delle altre leggi, che regolano questi istituti, sono norme indifferentemente applicabili a soggetti privati e pubblici, salvo che non sia espressamente precisato che si applicano soltanto ai primi. Solo quegli istituti che presuppongono, come soggetto, un singolo essere umano, come ad esempio gli istituti del diritto di famiglia o delle successioni a causa di morte sono, ovviamente, applicabili solo a soggetti privati (ma questi istituti non valgono per gli enti pubblici come non valgono per qualsiasi ente o persona giuridica, anche privata). Dal diritto privato il diritto pubblico si distingue sulla base di due specifici presupposti: anzitutto perche´ riguarda solo i rapporti ai quali partecipa lo Stato o altro ente pubblico; inoltre, perche´ riguarda quei rapporti (ed è questo il suo elemento caratterizzante) ai quali lo Stato o altri enti pubblici partecipano quali enti dotati di sovranità . Possiamo definire il diritto pubblico come il sistema di norme che regola i presupposti, le forme e i modi di esercizio della sovranità , ossia della potestà di comando della quale sono investiti gli apparati dello Stato e gli altri enti pubblici che concorrono con essi nell’esercizio della sovranità (come le regioni, gli enti locali e i cosiddetti enti strumentali dello Stato). Il concetto di diritto pubblico è, perciò , implicito nel concetto di Stato di diritto: questo è lo Stato che esercita la sovranità , come la esercita lo Stato moderno, secondo precostituite norme di legge; queste norme regolatrici dell’esercizio della sovranità sono, appunto, il diritto pubblico. Ev diritto pubblico, in particolare, quello che regola: a) l’organizzazione dello Stato, cioè i modi di formazione, la composizione e le attribuzioni dei suoi apparati legislativi, esecutivi e giudiziari, nonche´ i modi di formazione e le attribuzioni degli apparati degli altri enti pubblici; b) i rapporti autoritativi, cioè basati sull’esercizio di poteri sovrani, che lo Stato o altro ente pubblico stabilisce con singoli individui o con enti. Il diritto pubblico si articola, a sua volta, in sottosistemi: il diritto costituzionale (che non coincide con il diritto posto dalla costituzione, giacche´ esistono paesi, come la Gran Bretagna, che hanno un diritto costituzionale pur non avendo una costituzione) attiene alle regole fondamentali di organizzazione dello Statodirittocomunità (le libertà e i doveri fondamentali del cittadino) e dello Statodirittoapparato (a quali organi e secondo quali regole spetta l’esercizio delle funzioni sovrane); il diritto amministrativo riguarda i compiti e l’attività degli apparati dell’esecutivo e degli enti pubblici (cosiddetta P.A.); il diritto penale regola la potestà punitiva dello Stato: stabilisce quali fatti costituiscono reato e quali pene si possono applicare a chi li commette; il diritto processuale attiene all’esercizio della giurisdizione, ossia dell’attività dei giudici di applicazione del diritto ai casi concreti, e si distingue in diritto processuale civile (di applicazione del diritto privato), diritto processuale penale (di applicazione del diritto penale), diritto processuale amministrativo (di applicazione del diritto amministrativo). La possibilità , per gli apparati dello Stato o per gli altri enti pubblici, di stabilire con i privati rapporti autoritativi, basati sulla sovranità , può essere concessa dal diritto con maggiore o minore larghezza. In alcuni paesi appare riconosciuta più estesamente, in altri paesi assai meno. In Italia, come negli altri paesi del continente europeo, vige il modello (di origine francese) del cosiddetto Stato a diritto amministrativo: l’attività degli apparati dell’esecutivo dello Stato e quella degli enti pubblici si svolge, prevalentemente, per atti autoritativi (o cosiddetti atti amministrativi), regolati dal diritto amministrativo. Ma un diritto amministrativo non esiste ovunque: in Gran Bretagna e negli altri paesi che ne hanno seguito l’esempio vige l’opposto modello dello Stato a diritto comune, e la P.A. agisce, come si è già accennato, secondo il diritto privato: perciò lo strumento principale dell’amministrazione è , in quei paesi, il contratto fra la pubblica autorità e il privato, mentre all’atto autoritativo si fa ricorso nelle materie, come la pubblica sicurezza e la difesa, per le quali non se ne può fare a meno. In ogni caso, i principi dello Stato di diritto esigono ovunque che la P.A. non possa fare uso di poteri autoritativi se non quando la legge la autorizzi a farne uso: in mancanza di una norma di legge, che le riconosca poteri autoritativi, essa resta sottoposta al diritto privato comune. Se sussistono i presupposti di legge, la P.A. può , con atto d’autorità , espropriare i beni dei privati o può requisirli; se mancano i presupposti di legge per un atto di autorità , essa può ugualmente procurarsi quei beni, ma li dovrà comperare o li dovrà prendere in locazione, comportandosi come qualsiasi privato. Ancora: pur sussistendo i presupposti di legge per l’espropriazione o per la requisizione, la P.A. può ugualmente preferire comperare o prendere in locazione. Essa ha, di regola, la facoltà di agire secondo il diritto amministrativo o secondo il diritto privato (e la seconda soluzione può , in concreto, rivelarsi meglio rispondente alle esigenze pubbliche, perche´ può consentire una più rapida, anche se più costosa, acquisizione del bene). L’applicazione del diritto privato caratterizza poi un intero e vasto settore dell’attività pubblica: quello dell’attività economica. Le imprese esercitate dallo Stato o da altri enti pubblici sono sottoposte, salvo alcune eccezioni, alle medesime norme applicabili alle imprese private. Il diritto privato si rivela, a questo riguardo, come il diritto meglio adeguato allo svolgimento di attività imprenditoriali e, perciò , come più rispondente al perseguimento delle finalità di interesse generale che le attività economiche pubbliche debbono realizzare.

pronuncia secondo diritto: di solito il giudice nel pronunciare sulla causa è obbligato ad attenersi alle norme di diritto. Può decidere secondo equità solo se la legge espressamente gli attribuisca tale potere, o se il merito della causa riguarda diritti disponibili delle parti, ed esse gliene facciano concorde richiesta. Tale principio vige anche per l’arbitrato (art. 822 c.p.c.). L’obbligo per il giudice di pronunciare secondo diritto, salvo i casi eccezionali di cui sopra, è riconducibile all’art. 101, comma 1o, Cost.. Per diritto si intendono sia le norme italiane che quelle straniere, purche´ valide, vigenti, ed applicabili al caso concreto. (G.R. Stufler).

diritto singolare: v. negozio giuridico, origine del concetto di diritto.

diritto soggettivo ed interesse legittimo: v. diritti soggettivi, diritto e interessi legittimi.

diritto sovranazionale: v. diritto uniforme.

diritto speciale: v. norma giuridica, generalità e astrattezza della diritto; codici e codificazione.

stato di diritto: v. Stato, diritto di diritto.

diritto transnazionale: v. società , diritto multinazionali; transnational law.

diritto tributario: il diritto rappresenta un particolare settore dell’ordinamento giuridico, costituito dalle norme e dai principi che regolamentano l’istituzione e l’attuazione dei tributi da parte dello Stato. Ev dunque la nozione di tributo (v.) ad assumere una posizione centrale nella individuazione del diritto. Esso peraltro si distingue, almeno concettualmente, dal diritto finanziario, in quanto quest’ultimo indica le norme che regolamentano la raccolta, la gestione e l’erogazione di mezzi finanziari pubblici. Può dirsi dunque che il diritto costituisce una parte del diritto finanziario. Una questione che ha a lungo appassionato gli studiosi della materia fiscale è quella dell’autonomia del diritto rispetto agli altri settori dell’ordinamento giuridico. I riflessi pratici di tale questione riguardavano in sostanza i criteri ermeneutici delle norme: i fautori dell’autonomia sostenevano l’esistenza di criteri interpretativi specifici in materia tributaria; i sostenitori della tesi antiautonomistica ritenevano al contrario che si dovessero applicare i criteri validi per il diritto comune. Ciò dava luogo in particolare ad un diverso apprezzamento dei termini e delle categorie già presenti in altri settori giuridici. Essendo stato risolto tale problema in modo indipendente da un’impostazione aprioristica sulla autonomia del diritto (vedi interpretazione), ne discende lo scadimento della questione in oggetto che assume a questo punto un sapore sostanzialmente accademico.

diritto umanitario: v. crimina juris gentium; dichiarazioni internazionali; diritti dell’uomo; jus cogens.

diritto uniforme: dalla statualizzazione delle fonti, attuata sul continente europeo a partire dal principio dell’Ottocento, è derivata la nazionalità del diritto privato, la sua differenziazione per società nazionali. Il che ha soddisfatto le esigenze di concentrazione della sovranità , proprie degli Stati moderni (v. Stato), ma ha contraddetto un’altra esigenza, connessa al carattere dei mercati, che già erano e sarebbero sempre più diventati mercati internazionali, estesi a territori ben più vasti dei territori dei singoli Stati. La nazionalità del diritto privato si rivela un ostacolo ai rapporti economici, sempre più intensi, fra cittadini di Stati diversi: un ostacolo, soprattutto, per le imprese che agiscono su mercati internazionali e che collocano merci in Stati diversi, aventi ciascuno un diverso diritto. A cominciare dalla fine dell’Ottocento si punta, per superare l’ostacolo, sulla formazione di un diritto privato uniforme. Lo strumento adoperato è quello della convenzione fra Stati: gli Stati più interessati al commercio internazionale stipulano fra loro convenzioni di diritto privato uniforme che poi, con legge nazionale, detta legge di esecuzione delle convenzioni internazionali, recepiscono nei singoli Stati. Nasce una nuova fase del diritto privato, tutt’oggi in atto. Il primo terreno sul quale la tendenza si manifesta è quello della proprietà industriale e della concorrenza: l’internazionalità degli interessi imprenditoriali postula l’esistenza, soddisfatta dalla Convenzione di Parigi del 1883, di una protezione ultranazionale dei diritti di esclusiva (invenzioni, marchi di fabbrica e di commercio, indicazione di origine e di provenienza delle merci e dei prodotti) e di una repressione ultranazionale della concorrenza sleale. La svolta saliente, riguardo a quest’ultima, è nella convenzione dell’Aja del 1929. La progressiva tendenza verso il diritto privato uniforme concorre a mettere in crisi i codici, come fonti di produzione del diritto privato: il procedere per settori del processo di unificazione fa si che i singoli settori, regolati uniformemente dalle convenzioni internazionali, escano dal corpo dei codici e formino oggetto di leggi speciali. Il polo di aggregazione è, sempre più , metadirittonazionale; la specialità delle leggi di esecuzione delle convenzioni internazionali accentua l’autonomia della normazione internazionalmente uniforme dal restante diritto nazionale. Così ad esempio accade, dopo la convenzione di Ginevra del 1930, per le norme sulla cambiale e sull’assegno, che escono dal codice di commercio per formare materia delle specifiche leggi del 14 dicembre 1933, n. 1669, e del 21 dicembre 1934, n. 1736, che resteranno poi fuori del c.c. unificato del 1942. Fra le convenzioni più recenti si segnala quella di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di cose mobili, cui è stata data esecuzione in Italia con l. n. 765 del 1985. Dopo la seconda guerra mondiale nuove sollecitazioni hanno spinto verso l’uniformità del diritto privato. Alla generale ricerca di una uniformità su largo raggio, estesa all’intero mercato mondiale, ma per singoli e specifici settori normativi, si aggiunge negli Stati Uniti d’America una ulteriore tendenza, di più limitato raggio, ma rivolta ad una uniformità organica e globale. Fra il 1943 e il 1952 si elabora un Uniform Commercial Code, che nel 1963 risulta adottato da tutti gli Stati, esclusa solo la Louisiana (che, a suo tempo, rifiutò anche la common law), e che si presenta, per le materie regolate (vendita, contratti bancari, titoli di credito ecc.), alla stregua di un codice delle obbligazioni e dei contratti. L’Uniform Commercial Code statunitense si segnala sotto un duplice aspetto: non solo per l’uniformità di regolazione normativa che esso ha realizzato, o tende a realizzare, nei cinquanta Stati che lo hanno adottato, in omaggio alle esigenze di disciplina uniforme dei rapporti inerenti ad un medesimo mercato (anche se l’uniformità rischia di vanificarsi, giacche´ alcuni Stati hanno recepito con modifiche il codice uniforme, altri lo hanno successivamente modificato); ma anche perche´ questa uniformità di disciplina normativa è stata realizzata nel segno della commerciabilità delle materie da sottoporre a disciplina uniforme, rilanciando in un ambiente che fino ad allora l’aveva ignorata, oltre che l’idea di codice, la categoria formale del diritto commerciale. In Europa il rapporto fra unità del mercato e uniformità del diritto privato si instaura con il Trattato di Roma del 1957, istitutivo della Cee. Qui, a differenza che in America, il rapporto non è stabilito all’interno di un unitario mercato già esistente, ed al fine di una sua razionalizzazione, ma è visto in funzione della creazione stessa di un mercato unitario. Per instaurare un mercato comune, scopo enunciato dall’art. 2 del Trattato, sono indicati, fra gli altri, strumenti di ordine normativo, come quello consistente, anzitutto, nella creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune (art. 3, lett. f). Prendono forma, su questa traccia, norme di diritto privato sovranazionale: sono le norme poste dagli artt. 85 e seguenti dello stesso Trattato, direttamente applicabili nel territorio della Comunità, ma limitatamente al commercio fra gli Stati membri. Un ulteriore strumento, per il quale non vale questa limitazione, è quello del ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune (art. 3, lett. h). Spetta al consiglio della Cee di formulare direttive al riguardo, cui gli Stati membri sono tenuti ad adeguarsi con propria legge interna (art. 100). Il disegno è vasto: il concetto ispiratore, si legge nella relazione della Commissione alla direttiva 9 marzo 1968, è la necessità di assicurare la rapidità e la certezza del diritto nelle transazioni internazionali. La certezza del diritto diventa, a questo modo, anche una esigenza economica: il diritto diritto rende certe le norme regolatrici dei rapporti interni ad un mercato plurinazionale, facilita gli scambi al suo interno, concorre alla instaurazione di un mercato unitario.


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