abuso del diritto:  v. abuso,  diritto del diritto. 
 diritto agli alimenti:  v. alimenti; danno,  diritto ingiusto. 
 diritto alla riservatezza:  v. riservatezza,  diritto  alla diritto. 
 diritto alla salute:  costituisce  un  diritto della  personalità  (v. diritti della personalità ). V. anche  immissioni. 
 diritto alla vita:  v. vita, diritto  alla diritto. 
 diritto al lavoro:  l’art. 4 Cost.  riconosce  a tutti  i cittadini  il diritto diritto e stabilisce  che la Repubblica promuove le condizioni  atte  a rendere effettivo  il diritto stesso. Presupposto fondamentale di tale  principio  è  da  considerarsi l’art. 1 Cost., che dichiara  la Repubblica fondata  sul lavoro:  il lavoro  assurge  pertanto a elemento di qualificazione della  struttura costituzionale dello  Stato.  Altro presupposto è  rappresentato dall’art.  2 Cost.  che riconosce  e garantisce il diritto inviolabile  dell’uomo  all’affermazione e svolgimento  della  sua  personalità;  diritto che, in un  contesto  sociale  fondato sul lavoro  e che esige  dai singoli l’adempimento di doveri  di solidarietà , non  può  essere  realizzato se non con  l’esercizio  di una  attività  socialmente utile.  Analoga funzione  è  svolta dall’art.  3 Cost.,  che, assicurando a tutti  il pieno  sviluppo  della  persona umana  e l’effettiva  partecipazione di ognuno  alla  vita  del paese,  implica l’assunzione  da  parte  dello  Stato  dell’impegno di mettere ciascuno  nella condizione di poter  lavorare. La  garanzia  contenuta nell’art.  4 si presenta così come  logico  svolgimento  dei principi  che, proclamando il valore assoluto  della  personalità  sociale  dell’uomo,  comportano l’esigenza  di offrire ad  ognuno  la  possibilità  di  esplicare  pienamente  la  propria  personalità.   L’enunciazione del  diritto diritto trova  poi  sviluppo  ed  integrazione nelle  direttive poste  agli interventi statali  nel campo  dell’organizzazione economica al fine di rendere effettivo  il diritto stesso;  in secondo  luogo  in una  serie  di garanzie predisposte per  rafforzare un  sistema  che si avvii sempre  più  verso  la massima  occupazione; infine,  in un  complesso  di norme  protettive dell’attività  lavorativa.  Viene  costituzionalmente imposto,  infatti,  che il lavoro  assegnato non  leda  l’integrità  fisica e la personalità  morale  (art.  41 Cost.  e art.  2087 c.c.), assicuri  una  esistenza  libera  e dignitosa  (art.  36, comma  3o, Cost.).  Ev  inoltre  garantito che venga  mantenuta e reintegrata l’attitudine a prestare lavoro  nei casi di sospensione involontaria (art.  38 Cost.)  e che sia curata  la formazione professionale dei lavoratori (art.  35 Cost.).  Il diritto diritto garantisce una  delle  fondamentali libertà  personali:  assume pertanto un  contenuto negativo,  di pretesa a che lo Stato  si astenga  da  ogni intervento diretto ad  impedire l’esplicarsi  di una  attività  lavorativa o la scelta  o le modalità  di esercizio  della  stessa.  Però , sotto  un  altro  aspetto il diritto diritto si configura  come  diritto a contenuto positivo:  si sostanzia  nella  pretesa a ottenere lavoro  o comunque a che vengano  favorite  occasioni  di lavoro.  (L. Fanan). 
 diritto all’identità  personale:  v. identità  personale,  diritto  all’diritto. 
 diritto all’immagine:  v. immagine,  diritto  all’diritto. 
 diritto all’integrità  fisica:  v. atti, diritto di disposizione del proprio  corpo. 
 diritto all’oblio:  v. riservatezza,  diritto  alla diritto. 
 diritto all’onore:  v. onore,  diritto  all’diritto. 
 diritto al nome:  v. nome,  diritto  al diritto.  
 diritto assoluto:  v. diritti, diritto assoluti. 
 diritto cartolare:  è  il diritto di credito  nascente dall’emissione  di un  titolo  di credito astratto (v. titoli di credito, diritto astratti) cioè  privo  di causa,  avente  ad  oggetto la prestazione menzionata nel titolo  stesso  e circolante secondo  la legge di circolazione  tipica  dei beni  mobili  (artt.  1153 ss. c.c.). Caratteristica fondamentale del  diritto diritto è  il principio  della  letteralità : il titolare del  diritto diritto può farlo  valere  solo  secondo  il tenore letterale del titolo  di credito  senza  alcun riferimento ad  elementi o circostanze non  risultanti dal titolo;  il debitore, da  parte  sua, può  opporre al creditore solo  le eccezioni  fondate  sul contesto letterale del titolo.  Il diritto diritto rappresenta un  diritto ulteriore e distinto  rispetto  a quello  già  sorto  dal rapporto sottostante all’emissione  del titolo  di credito, detto  rapporto causale.  Tra  i due  rapporti si stabilisce,  nei c.d. titoli cambiari,  il seguente nesso:  a) finche´  può  essere  esercitato il diritto diritto, resta sospeso  l’esercizio  del diritto sottostante; b)  il soddisfacimento del  diritto diritto estingue, automaticamente, il diritto sottostante. L’autonomia del  diritto diritto importa l’impossibilità  per  il soggetto  passivo  dello  stesso  di apporre al possessore del titolo  l’eccezione  di mancanza di causa  nella  emissione  del titolo,  salvo che il possessore  non  sia l’immediato  prenditore del titolo.   
 certezza del diritto:  v. certezza  del diritto. 
 diritto comune:  v. norma  giuridica, generalità  e astrattezza  della diritto. 
 concetto  di diritto:  alla  domanda, che cosa  è  il diritto, si può  rispondere solo  per approssimazioni successive.  Si può  dire,  in prima  approssimazione, che è  un sistema  di regole  per  la soluzione  di conflitti  fra gli uomini;  la sua  ragion d’essere  sta  nel carattere di perenne contesa  che assume  la convivenza  umana.  La  funzione  del diritto è , anzitutto, di proibire l’uso della  violenza  per  la soluzione  dei conflitti:  è , quindi,  di risolvere  i conflitti  con  l’applicazione  di regole  predeterminate, le quali  stabiliscono  quale  fra gli interessi  in conflitto  sia degno  di protezione e debba  prevalere e quale  non  sia degno di protezione e debba  soccombere. Questa regole  compongono, nel loro insieme,  un  sistema:  esse  non  provvedono, isolatamente, a questo  o a quel possibile  conflitto;  ciascuna  concorre con  le altre  ad  assolvere  una  funzione complessiva,  che è  di adeguare i rapporti fra gli uomini,  in tutta  la loro varietà  e complessità , ad  un  dato  modello  di ordinata convivenza,  di realizzare un  equilibrio generale e, il più  possibile,  stabile  fra i diversi interessi  in conflitto  nella  società . Per  ordinare una  società  secondo  il diritto è necessario  un’apposita organizzazione: occorre,  in secondo  luogo,  che ad una superiore autorità  sia riconosciuta la preliminare funzione  di creare regole  per  la soluzione  dei conflitti;  occorre,  in secondo  luogo,  che ad  una superiore autorità  sia attribuita l’ulteriore funzione  di applicare  quelle regole per  risolvere  i conflitti  di volta  in volta  insorti.  Queste forme  di organizzazione sociale  sono  mutate  nel tempo  e tuttora si differenziano nello  spazio,  sono  diverse  cioè  da  paese  a paese.  Se consideriamo la società nella  quale  viviamo,  constatiamo che almeno  tre  ordini  di autorità  sono investiti  del potere di creare  il diritto: una  autorità  nazionale,  ossia  lo Stato;  una autorità  sovranazionale, che è  la Cee;  una  serie  di autorità  infrastatuali, che sono  le regioni  e gli enti  locali. Il potere di creare  il diritto è , inoltre,  separato dal potere di applicarlo:  il primo  spetta  ad  appositi  organi  dello  Stato  (il parlamento, il governo), della  Cee  (il consiglio),  delle  regioni  e degli  enti  locali (i consigli regionali,  i consigli provinciali  e comunali);  il secondo  è esercitato da  un  separato organo  dello  Stato,  l’autorità  giudiziaria,  e da  un separato organo  della  Cee,  la Corte  di giustizia.  Ma  in altre  società  del nostro tempo  troviamo forme  notevolmente diverse  di organizzazione giuridica.  Si segnala,  sotto  questo  aspetto, il sistema  anglosassone del precedente giudiziario  vincolante:  le pronunce dei giudici, oltre  che risolvere il caso  concreto sottoposto al loro  esame,  vincolano  tutti  i giudici che  saranno successivamente chiamati  a risolvere  casi analoghi;  e così  l’autorità  giudiziaria  è  essa  stessa,  in quei  paesi,  un  organo  che crea  il diritto. Un successivo  grado  di approssimazione alla  definizione del diritto sta  nel distinguere il sistema  di regole,  in cui il diritto  consiste,  da  altri  sistemi  di regole  che governano la convivenza  umana,  come  i principi  della  morale, basati  sulla distinzione fra il bene  e il male,  le regole  del costume  che distinguono tra  ciò  che è  corretto e ciò  che è  scorretto, i comandamenti delle  religioni,  concepiti  come  regole  di fonte  sovranaturale ecc.. Questi diversi  sistemi  di regole  hanno,  talvolta,  una  intrinseca forza  obbligante superiore a quella  del diritto; ma sono  sistemi  di regole  ai quali  si ubbidisce  solo per  interiore adesione ai valori  che esprimono, non  per  esterna costrizione. Il  diritto si estingue,  all’opposto,  per  il carattere della  coercitività : esso  non consiste  solo  in un  sistema  di regole  che prescrivono o che proibiscono dati compromettenti; è , altresì,  un  sistema  organizzato per  imporre l’osservanza delle  proprie regole.   
 diritto convenzionale:   complesso  di norme  scritte  che costituiscono il secondo livello  delle  fonti  giuridiche  internazionali. Ha  carattere particolare, nel  senso  che si indirizza  e vincola  esclusivamente le parti  contraenti, e si pone in un  rapporto di reciproca  derogabilità  con  la consuetudine. Per  tale ragione,  l’ordinamento internazionale è  considerato come  flessibile.  A differenza del diritto consuetudinario che ha  essenzialmente ad  oggetto  la disciplina  della  sovranità  degli  Stati,  intesa  come  potere di coercizione materiale (diritto della  coesistenza), il diritto diritto ha  ad oggetto  il potere di comando  degli  Stati,  obbligandoli con  le sue  norme  ad  articolare in un determinato modo  l’ordinamento interno, al fine di soddisfare  gli obblighi autonomamente assunti  sul piano  internazionale (diritto della  cooperazione). V. anche  accordo  internazionale;  diritto dei trattati.  
 diritto d’asilo:  v. asilo. 
 diritto dei trattati:  complesso  di norme  consuetudinarie non  scritte  che disciplinano  il procedimento di formazione ed  i requisiti  di validità  e di efficacia  dei trattati internazionali. La  codificazione del  diritto diritto è  stata promossa  dalla  Organizzazione delle  N.U.  ed  operata mediante la elaborazione da  parte  della  Commissione del diritto  internazionale della Convenzione di Vienna  del 23 maggio  1969, entrata in vigore  il 27 gennaio 1980 e ratificata anche  dall’Italia.  Completano tale  codificazione,  le ulteriori convenzioni  concluse  sempre  a Vienna,  ma non  ancora  entrate in vigore: del 1978 sulla successione  degli  Stati  nei trattati e del 1986 sui trattati stipulati  tra  Stati  ed  Organizzazioni internazionali o tra  Organizzazioni internazionali. V. anche  accordo  internazionale;  trattato internazionale.  
 diritto delle  genti:  v. jus gentium.  
 diritto del mare:  complesso  delle  norme  internazionali consuetudinarie e convenzionali che disciplinano  gli spazi  marini  e le loro  utilizzazioni. L’evoluzione subita  nel corso  dei secoli dal  diritto diritto ha visto inizialmente l’affermazione della  sovranità  degli  Stati  sul mare,  quasi  come  un  diritto reale  di proprietà  e, successivamente, fino alla  fine del sec. XIX,  quella  del principio  della  libertà  nel senso  più  ampio,  avente  come  unico  limite  quello del rispetto  dell’eguale  libertà  altrui.  Con  il sec. XX,  e soprattutto dopo  la II Guerra mondiale, si registra  nuovamente la tendenza all’affermazione della  sovranità  degli  Stati  sul mare,  non  più  semplicemente a fini di navigazione, ma soprattutto allo  scopo  dello  sfruttamento delle  risorse marine,  con  la conseguente nascita  di istituti  giuridici  preordinati a tale scopo  (piattaforma continentale; zona  economica esclusiva).  La codificazione del diritto diritto, iniziata  a Ginevra nel 1958 (con  la stipulazione di quattro Convenzioni, su: il mare  territoriale e la zona  contigua;  la piattaforma continentale; l’alto  mare  e la pesca  e la conservazione delle risorse  biologiche  dell’alto  mare),  è  proseguita con  la Conferenza di Ginevra del 1960, che ha  però  fallito  nella  determinazione del limite esterno del mare  territoriale e, più  tardi  con  la III  Conferenza delle  N.U. sul diritto diritto, che ha  prodotto la Convenzione di Montego Bay del 1982, che è entrata in vigore  il 16 novembre 1994, un  anno  dopo  il deposito del sessantesimo strumento di ratifica.  Un  ruolo  importante nella  definizione dei principi  guida  del diritto internazionale del mare  è  stato  svolto  dalla giurisprudenza internazionale, soprattutto in materia  di delimitazioni marittime, a partire dalla  sentenza del 1951, sulle pescherie norvegesi,  in cui  si è  sancita  la legittimità  dell’adozione del sistema  di linee  rette  di base  per la determinazione del limite  interno del mare  territoriale; alla  sentenza del 1969, sulla delimitazione della  piattaforma continentale del mare  del Nord, con  la quale  di è  sancito  il valore  unicamente convenzionale del metodo della  linea  mediana o di equidistanza espresso  nell’art.  6 della  relativa Convenzione di Ginevra del 1958, per  la delimitazione della  piattaforma continentale tra  Stati  contrapposti o contigui;  ed  alle  più  recenti  sentenze del 1982 (Libia/Tunisia); 1984 (Golfo  del Maine);  1985 (Guinea/Guinea Bissau  e Libia/Malta); 1989 (Guinea Bissau/Senegal).  
 diritto di angheria:  v. angheria. 
 diritto di edificare:  la legislazione  urbanistica, pur  nel suo contrastato evolversi,  è pervenuta ad  alcuni  punti  fermi:  spetta  ai comuni,  secondo  i criteri  generali fissati dalle  regioni,  di determinare l’assetto  del territorio mediante appositi piani  regolatori, che stabiliscono  quali  aree  del territorio comunale sono destinate all’agricoltura, quali  ad  insediamenti industriali o commerciali  e quali  all’edilizia  residenziale. Qui  l’interesse  generale ad  un  uso equilibrato del suolo,  basato  sul razionale  coordinamento delle  esigenze  dell’agricoltura, dell’industria e della  residenza abitativa,  prevale  sull’interesse particolare del singolo  proprietario che, fra le tre  destinazioni sopra  indicate,  può essere  indotto a preferire per  il proprio suolo  quella  idonea  a procurargli la più  alta  rendita, non  importa se in contrasto con  l’utilità  generale.  Ne deriva  un  limite  a quello  specifico  modo  di godimento del suolo  che è  la facoltà  di edificare:  di utilizzare  il suolo,  cioè , per  costruirvi  un  edificio. Fuori  dai centri  abitati  operano i vincoli posti  dalla  legge a tutela  dell’ambiente e del paesaggio:  il vincolo  paesaggistico  riguarda  i territori costieri,  quelli  contermini ai laghi, quelli  montani  (l. n. 431 del 1985). Ovunque le costruzioni,  là  dove  sono  consentite, debbono essere  eseguite nel rispetto  delle  prescrizioni,  poste  dai piani  regolatori e dai regolamenti comunali,  che prevedono i caratteri estetici,  igienici ecc. cui le costruzioni debbono adeguarsi.  Per  ogni  costruzione sia rurale,  sia industriale, sia urbana, nonche´  per  la sua  trasformazione, occorre  avere  ottenuto dal comune  la relativa  concessione, che è  rilasciata  dopo  l’accertamento di tutte le condizioni  di legge: chi edifica  senza  concessione  o in violazione  della concessione  ottenuta (cosiddette costruzioni abusive)  può  essere  costretto alla  demolizione, e può  altresì  subire  la confisca  del terreno e della costruzione, che passano  in proprietà  del comune  (art.  15 l. n. 10 del 1977, e artt  7 e 19 l. n. 47 del 1985); mentre l’osservanza  delle  prescrizioni urbanistiche influisce  sulla commerciabilità  degli  edifici  e dei suoli: per  l’art. 17 della  l. n. 47 del 1985 gli atti  fra vivi aventi  ad  oggetto  edifici  sono  nulli e non  possono  essere  stipulati  ove  da  essi non  risultino,  per  dichiarazione dell’alienante, gli estremi  della  concessione  ad  edificare;  per  l’art. 18 anche gli atti  fra vivi aventi  ad  oggetto  terreni sono  nulli e non  possono  essere stipulati  ne  trascritti  nei registri  immobiliari  ove  agli atti  stessi non  sia allegato  il certificato  di destinazione urbanistica. La  legislazione  urbanistica solleva  il problema se il diritto diritto inerisca  al diritto di proprietà  del suolo,  quale facoltà  rientrante nel diritto di godere  delle  cose  di cui all’art.  832 del c.c., o se le norme  che subordinano l’edificazione  al provvedimento amministrativo di concessione  abbiano,  invece,  separato  il  ius  aedificandi  dal  diritto  di  proprietà.   Nella  nostra  legislazione  il principio  della  licenza  di costruzione era  stato, per  la prima  volta,  introdotto dal d.l. n. 640 del 1935, che impose  l’obbligo della  richiesta  di preventiva licenza  del sindaco  a chiunque  intendesse eseguire  costruzioni o modificare le costruzioni esistenti  in qualsiasi  parte del territorio comunale.  Segnò , invece,  un  regresso  la legge urbanistica n. 1150 del 1942: la preventiva licenza  di costruzione fu limitata  alle costruzioni interne ai centri  abitati  e alle  zone  destinate dal piano regolatore  alla  loro  espansione. Solo con  la l. n. 765 del 1967 si tornò all’obbligo  generalizzato di licenza  edilizia.  Restava però  insoluto  il problema se il ius aedificandi fosse  ancora  da  considerare come  facoltà inerente al contenuto del diritto di proprietà  o se, spezzato  ormai  l’antico rapporto fra diritto di proprietà  del suolo  e facoltà  di edificare,  questa  fosse diventata oggetto  di una  concessione  amministrativa (v.),  avente  per semplice presupposto la proprietà  del suolo.  Alla  prima  soluzione  aveva aderito il Consiglio  di Stato:  questo  qualificava  la licenza  edilizia  come semplice  autorizzazione, riconosceva  un  vero  e proprio diritto soggettivo  a costruire e, quindi,  ad  ottenere la licenza  edilizia  al proprietario che avesse presentato al sindaco  un  progetto di costruzione conforme alle  prescrizioni del piano  regolatore e dei regolamenti edilizi. Per  la seconda  soluzione propendeva la Cassazione,  la quale  riteneva che, per  giustificati  motivi  di interesse pubblico  (come,  ad  esempio,  la facoltà  per  il comune  di provvedere alle  opere  di urbanizzazione che la nuova  costruzione avrebbe comportato), il sindaco  potesse  negare  la licenza  edilizia,  e conseguentemente qualificava  l’interesse  del proprietario alla  licenza  come  interesse legittimo  (v. diritti soggettivi, diritto e interessi legittimi),  non  suscettibile di tutela  aquiliana. In  argomento intervenne, con  la sentenza n. 55 del 1968, la Corte  Costituzionale: questa  condivise  la premessa  secondo  la quale  la facoltà  di edificare  è  inerente al diritto di proprietà ; ne  trasse  la conseguenza della illegittimità  costituzionale, per  violazione  dell’art.  42 Cost.,  di una norma della  legge urbanistica del 1942: quella  per  cui i vincoli di zona previsti  nei piani  regolatori e implicanti  inedificabilità  dei suoli non equivalevano ad  espropriazione e non  comportavano diritto all’indennizzo  (art. 40 c.c.). A  modificare questa  premessa  ha,  invece,  mirato  la citata  l. n. 10 del 1977, introducendo la espressa  qualificazione come  concessione  dell’atto del sindaco  e richiedendo la concessione  per  ogni  attività  comportante trasformazione urbanistica ed  edilizia  del territorio comunale (art.  1 l. n. 10 del 1977). Ma, a giudizio  della  Corte  costituzionale, ciò  non  è  ancora  valso a  separare il diritto diritto dal diritto di proprietà : nella  sentenza n. 5 del 1980 si legge che l’edificazione  avviene  ad  opera  del proprietario dell’area,  il quale, concorrendo ogni  altra  condizione, ha  diritto  ad  ottenere la concessione edilizia;  che il diritto diritto continua ad  inerire  alla  proprietà  e alle  altre  situazioni che comprendono la legittimazione a costruire;  che la concessione  a edificare non  è  attributiva di diritti  nuovi  ma presuppone facoltà preesistenti; che essa  non  adempie a funzione  sostanziale diversa  da  quella dell’antica  licenza,  avendo  lo scopo  di accertare la ricorrenza delle condizioni previste  dall’ordinamento per  l’esercizio  del diritto, nei limiti in cui il  sistema  normativo ne  riconosce  e tutela  la sussistenza  (così  la Corte  ha  motivato la illegittimità  costituzionale dell’art.  14 c.c. che, per  determinare  l’indennizzo  per  l’espropriazione, faceva  riferimento al valore  agricolo,  e non  al valore  di mercato, delle  aree  espropriate). L’introduzione della figura  della  concessione, in luogo  della  precedente licenza,  intesa  come autorizzazione, non  è  in verità  risolutiva  del problema. Risolutiva  è piuttosto la circostanza che, in fatto  di concessione  edificatoria, la P.A.  non gode,  in base  alle  leggi ora  menzionate, delle  facoltà  discrezionali che in passato  la Cassazione le aveva  riconosciuto. La  qualificazione della concessione  come  atto  dovuto  è  all’art.  8 della  l. n. 9 del 1982; e il principio  del silenziodirittoaccoglimento, introdotto  dal medesimo  art.  8, è manifestamente incompatibile con  la spettanza di poteri  discrezionali all’amministrazione. Il proprietario che presenti una  domanda conforme alle prescrizioni  di legge, di piano  regolatore e di regolamento edilizio  ha  diritto alla concessione;  e questo  diritto inerisce  al suo diritto di proprietà . Il diritto diritto può  essere escluso  o limitato  dalla  legge o da  altre  fonti  normative cui la legge rinvia; ma,  quando la legge e queste  altre  fonti  ammettono l’edificazione,  e nei limiti entro  le quali  la ammettono, il proprietario del suolo  ha,  in quanto tale,  il diritto diritto. La  destinazione edilizia  dei suoli tocca,  oltre  che il tema  dei limiti del diritto di proprietà , anche  quello  degli  obblighi  del proprietario, di cui fa parola  l’art. 832 c.c.. Al  proprietario che ottiene una  licenza  di costruzione  è  imposto  di corrispondere al comune  somme  mediante le quali contribuire, secondo  coefficienti  predeterminati, al costo  delle  opere  che il comune  esegue  per  attrezzare le aree  destinate all’edificazione,  ossia  per allacciare  le nuove  costruzioni alla  rete  stradale e agli impianti  generali  di acquedotto, di rete  fognaria  ecc. (oneri  di urbanizzazione primaria), e di  quelle  che si rendono necessarie  per  dotare le aree  di nuova  edificazione  di adeguati servizi sociali, come  scuole,  asili, poliambulatori ecc. (oneri  di urbanizzazione secondaria). Il principio  è  che le opere  di urbanizzazione accrescono il valore  delle  costruzioni e che il loro  proprietario, se non  vi contribuisse, si arricchirebbe a spese  della  collettività  (artt.  3, 9  – 12, l. n. 10 del 1977).  
 diritto di esclusiva:  v. esclusiva, diritto  di diritto. 
 diritto di guerra:  v. jus in bello. 
 diritto di inedito:  è  il diritto dell’autore di un’ opera dell’ingegno  (v.) di non pubblicare l’opera.  Tale  diritto è  aspetto del più  generale diritto morale  di autore (v.); non  sussiste  a beneficio  dell’autore di invenzioni  industriali. 
 diritto di informazione:  è  il diritto di ogni  socio  (v.) ad  essere  informato delle  attività della  società  e della  sua  situazione patrimoniale. Materia preminente dell’informazione societaria sono  le notizie  concernenti la gestione  della società . Dall’art.  2261, comma  1o, c.c., relativo  alle  società  di persone, e dall’art.  2489 relativo  alle  s.r.l. prive  di collegio  sindacale,  è  protetto l’interesse  del socio  ad  avere  notizia  dello  svolgimento  degli  affari  sociali. Nella  legge azionaria  tedesca  che è  la più  sensibile  alle  esigenze  di informazione del socio  il § 131 prevede, sotto  la rubrica  diritto  di informazione dell’azionista,  che nell’assemblea ogni  azionista  può  richiedere agli amministratori informazioni sugli affari  della  società , ove  esse  sono necessarie  per  una  adeguata valutazione dell’oggetto  all’ordine  del giorno,  e la richiesta  può  estendersi ai rapporti giuridici  e di affari  che la società abbia  con  imprese  collegate  (una  corrispondente norma,  peraltro, si ritiene  implicita  anche  nel nostro  sistema).  Gli  affari  della  società  sono  l’oggetto preminente dell’informazione, ma non  l’oggetto  esclusivo.  L’art.  2422, comma  1o, soddisfa  l’interesse  del socio  alla  conoscenza di fatti  societari diversi  dalla  gestione  dell’impresa  sociale:  la consentita consultazione del libro  dei soci permette a ciascun  azionista  di prendere diretta conoscenza della  identità  dei coazionisti,  della  entità  dei loro  possessi  azionari,  dei versamenti eseguiti,  dei trasferimenti e dei vincoli sulle azioni;  ugualmente, la consentita consultazione del libro  delle  adunanze e delle  deliberazioni dell’assemblea è  conoscenza documentale (o,  per  i soci che furono  presenti, riscontro documentale) di fatti  societari,  quali  i lavori  assembleari e le relative  deliberazioni, non  necessariamente attinenti alla  gestione dell’impresa sociale.  Quanto alla  funzione  dell’informazione, è  consueta in letteratura la constatazione del suo carattere strumentale. Essa  vale  a porre il socio  nella  condizione di esercitare consapevolmente i diversi  diritti, amministrativi o patrimoniali, che la legge gli attribuisce: la conoscenza acquisita  sulla gestione  sociale  gli permette, in ogni  tipo  di società,  di esercitare a ragion  veduta  il voto  e in genere  i diritti  che gli sono individualmente riconosciuti  (nelle  società  di persone il singolo  socio  può, a norma  dell’art.  2259, comma  3o, chiedere la revoca  per  giusta  causa  degli amministratori; nelle  società  di capitali  può , a norma  dell’art.  2408, denunciare al collegio  sindacale  i fatti  censurabili); gli permette, inoltre,  di trarre elementi di valutazione circa il valore  e le condizioni  di rischio  della sua  partecipazione, al fine di disporre di questa,  di recedere dalla  società  e così via. Analoga valenza  possono  avere,  nelle  società  di capitali,  gli  elementi di conoscenza tratti  dai libri  sociali  cui è  al socio  consentito l’accesso: per  ciò  che attiene, in particolare, al libro  delle  adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea, acquista  preminente rilievo  lo specifico  diritto del socio  di impugnare le deliberazioni assembleari non  conformi  alla  legge o all’atto  costitutivo  (art.  2377) oppure aventi  oggetto  impossibile  o illecito (art.  2379); un  diritto il cui esercizio  presuppone il preliminare esame,  oltre  che l’acquisizione  di copia,  del verbale  di assemblea  recante la deliberazione che  intende impugnare. La  consultazione del libro  dei soci, d’altro  canto, consente al socio, che non  raggiunga  le quote  di capitale  richieste  per domandare la convocazione dell’assemblea (art.  2367) o per  fare  al tribunale denuncia di gravi  irregolarità  nell’adempimento dei doveri  degli amministratori e dei sindaci  (art.  2409), di stabilire  gli opportuni contatti con  altri  soci. Circa  le forme  di tutela  dell’interesse del socio all’informazione la letteratura societaria ha  da  tempo  introdotto la distinzione fra forme  di autotutela e forme  di eterotutela: a volte  è concesso  al socio  di tutelare da  se´  il proprio interesse all’informazione, con il riconoscimento di un  suo individuale diritto  di chiedere notizie  (diritto diritto in senso  stretto) o di consultare documenti (diritto di ispezione);  altre  volte  il bisogno  di informazione dei soci è  soddisfatto, a vantaggio  di tutti,  con  la prescrizione legislativa  dei contenuti e delle  forme  di pubblicità  delle comunicazioni sociali, o con  la predisposizione di appositi  organi  di controllo, quali  il collegio  sindacale,  aventi  il potere di acquisire  notizie sulla  gestione,  di consultare documenti e di riferirne nelle  proprie comunicazioni (artt.  2408, comma  2o, 2432, comma  2o), oltre  che di  assumere  le conseguenti iniziative.  Ev  comune  constatazione che il diritto del singolo  socio  alla  consultazione dei documenti abbia,  nei diversi  tipi  di società , una  intensità  variabile  in ragione,  fondamentale, di questi  criteri: l’appartenenza del socio  a società  di persone o a società  di capitali;  la responsabilità  illimitata  o limitata  del socio; la presenza o l’assenza  del collegio  sindacale.  Nelle  società  di persone il diritto  di controllo di ciascun socio  non  amministratore si estende  fino al diritto di consultare i documenti relativi  all’amministrazione (art.  2261, comma  1o); ma è  diritto proprio dei soci a  responsabilità  illimitata:  i soci accomandanti di s.a.s. possono  sì  consultare i  libri  e gli altri  documenti della  società , ma al solo  fine di controllare l’esattezza  del bilancio  e del conto  dei profitti  e delle  perdite;  ciò  che esclude ogni  loro  possibile  ispezione  in corso  di esercizio.  Nelle  società  di capitali  assume  valore  discriminante la presenza o l’assenza  del collegio sindacale.  Nella  s.r.l. con  capitale  inferiore a duecento milioni,  dove  il collegio  sindacale  può  mancare (art.  2488), ciascun  socio  ha  diritto di avere  dagli amministratori notizia  dello  svolgimento  degli  affari  sociali  e di consultare i libri  sociali  (art.  2489). Qui  mancano limiti temporali; tuttavia  l’oggetto dell’ispezione  del socio  è  più  ristretto, essendo  limitato  ai libri  sociali: espressione che i più  intendono in modo  rigoroso  (solo  i libri  sociali  di cui ai  nn.  1  – 4 dell’art.  2490, comma  1o) ed  altri  nel più  comprensivo senso  dei libri  contabili  obbligatori di cui all’art.  2214, comma  1o, o addirittura delle scritture  contabili  di cui all’art.  2214, comma  2o.  
 diritto di inseguimento:  eccezione  al principio  della  sottoposizione della  nave all’esclusivo  potere dello  Stato  della  bandiera. Ev  previsto  sia dal diritto  internazionale consuetudinario che convenzionale: art.  23, Convenzione di Ginevra del 1958, sull’alto  mare;  art.  111, Convenzione di Montego Bay del 1982, sul diritto del mare.  Potere attribuito alle  navi  da  guerra  ed  alle  navi  in servizio  governativo dello  Stato  costiero  di inseguire  una  nave  straniera in alto  mare  quando si hanno  fondati  sospetti  che questa  abbia  violato  le leggi ed  i regolamenti nazionali,  purche´  l’inseguimento abbia  avuto  inizio nelle acque  interne, nel mare  territoriale o, se distinta  da  questa,  nella  zona contigua  marittima e non  sia stato  interrotto. Per  analogia,  deve  ammettersi anche  rispetto  alla  zona  economica esclusiva  ed  alle  acque  sovrastanti la piattaforma continentale, in relazione  alla  lesione  di particolari interessi riconosciuti  allo  Stato  costiero  in tali  zone.  Sulla  nave  catturata possono essere  esercitati soltanto quei  poteri  esercitabili nella  zona  dalla  quale l’inseguimento ha  avuto  inizio.  Il diritto diritto cessa  non  appena la nave  inseguita entra  nel mare  territoriale dello  Stato  di cui batte  la bandiera o di altro Stato.  V. anche  nave; navigazione,  diritto marittima.   
 diritto di ispezione:  nella  s.p.a.  e nella  s.r.l. con  collegio  sindacale  il diritto diritto dei soci ha  per  oggetto  il libro  dei soci e il libro  delle  adunanze e delle deliberazioni  dell’assemblea (art.  2422, comma  1o, in relazione  all’art.  2412, nn. 2 e 3; art.  2490, comma  3o, in relazione  al comma  1o, nn.  1 e 2). Sicche´ il diritto diritto su altri  documenti, diversi  dai libri  indicati,  non  appare riconosciuto: non  è  riconosciuto in rapporto al libro  delle  adunanze e delle  deliberazioni del consiglio  di amministrazione ne´ , tanto  meno,  su singoli documenti attinenti alla  gestione  dell’impresa  sociale.  Un  più  generale diritto diritto è , per contro, attribuito al collegio  sindacale  ed  ai suoi  singoli componenti: l’art.  2303, dopo  avere  imposto  al collegio  sindacale  il dovere  di controllare l’amministrazione della  società  e di vigilare  sull’osservanza della  legge e dell’atto  costitutivo, precisa  al comma  3o  che i sindaci  possono  in qualsiasi momento procedere, anche  individualmente, ad  atti  di ispezione  e di controllo. Di  qui  la comune  illazione  che alla  autotutela del socio  è sostituita, nella  società  per  azioni  o a responsabilità  limitata  avente  collegio sindacale,  la eterotutela esercitata da  questo  apposito organo  di controllo. La soluzione  legislativa  rivela  l’estrema  cautela  con  la quale  il legislatore riconosce  poteri  ispettivi  ai singoli soci di società  di capitali:  l’art. 2489 postula  una  particolare valutazione delle  caratteristiche dei soci di s.r.l. con esiguo  capitale  sociale,  essendo  essi non  solo  meno  numerosi  e dispersi degli  azionisti,  ma anche  più  interessati di costoro  alle  vicende  sociali  e quindi  più  idonei  ad  esercitare senza  pericolose  turbative una  sia pure contenuta azione  di vigilanza  sulla gestione  dell’impresa. Oggetto del diritto diritto dell’azionista sono  soltanto i libri  sociali  menzionati nell’art.  2422, comma 1o; l’azionista  non  può  chiedere agli amministratori di consultare documenti riguardanti fatti  diversi  da  quelli  destinati alla  trascrizione in detti  libri: non può , in particolare, prendere diretta visione  dei biglietti  di ammissione all’assemblea,  delle  procure all’intervento e del foglio di presenza;  ne´  può instaurare un  autonomo giudizio  avente  quale  petitum la condanna della società  a consentire la consultazione di tali  documenti; l’azionista  può, in assemblea, chiedere che il presidente esegua  specifiche  verifiche  sulle condizioni  di legittimazione degli  intervenuti; non  può , invece,  pretendere di verificare  di persona i documenti relativi;  l’esibizione  di questi  documenti  può  essere  domandata dall’azionista nel corso  di un  giudizio  che abbia quale  petitum l’annullamento di una  deliberazione assembleare e quale causa  petendi l’allegazione  di un  determinato e concreto fatto  invalidante, la cui prova  sia racchiusa  nel documento specifico  del quale  egli chieda l’esibizione.   
 diritto di legazione:  discende  dall’instaurazione delle  relazioni  diplomatiche tra soggetti  internazionali (Stati  ed  organizzazioni internazionali). Consiste nell’invio  da  parte  di uno  Stato  dei propri  rappresentanti  diplomatici presso un  altro  Stato  (diritto diritto attivo)  e nel ricevimento a sua  volta  dei rappresentanti diplomatici di Stati  stranieri  sul suo territorio (diritto diritto passivo).  Essendo  gli Stati  liberi  di instaurare o meno  reciprocamente le relazioni  diplomatiche, si parla  impropriamente di un  diritto diritto. Al  riguardo,  l’art. 2 della  Convenzione di Vienna  del 18 aprile  1961, sulle relazioni  diplomatiche, precisa  che: lo stabilimento delle  relazioni  diplomatiche fra Stati  e l’invio di missioni diplomatiche permanenti avviene  per  mutuo  consenso.  V. anche  agenti diplomatici.   
 diritto di prelazione:  v. prelazione. 
 diritto di rettifica:  v. onore,  diritto  all’diritto. 
 diritto di ritenzione:  v. ritenzione. 
 diritto di seguito:  v. diritti reali. 
 diritto di sequela:  v. diritti reali. 
 diritto di sorvolo:  v. spazio  aereo internazionale;  stretti internazionali. 
 diritto di superficie:  v. superficie,  diritto  di diritto. 
 diritto di visita:  riconosciuto, in tempo  di pace,  alle  navi  da  guerra  in alto  mare  nei confronti  di navi  mercantili  straniere, nel caso  in cui vi sia il fondato sospetto  che esse: a) siano  dedite  alla  pirateria od  alla  tratta degli  schiavi; b)  effettuino trasmissioni  radio  e televisive  non  autorizzate; c) siano  prive di nazionalità  o, benche´  battano bandiera straniera o rifiutino  di mostrare la propria bandiera, abbiano in realtà  la stessa  nazionalità  della  nave  da guerra.  Se l’esito  della  visita porti  a ritenere infondati i sospetti,  la nave fermata deve  essere  indennizzata per  le perdite ed  i danni  subiti (Convenzione di Ginevra 1958, sull’alto  mare,  art.  22; Convenzione di Montego Bay del 1982, art.  110). La  Convenzione di Montego Bay estende il diritto  di visita anche  alle  navi  in servizio  governativo, ove  a ciò autorizzate dallo  Stato  di appartenenza (art.  110, comma  5o). In  tempo  di guerra,  il diritto diritto è  consentito in alto  mare  alle  navi  da  guerra  dei belligeranti nei confronti  delle  navi  mercantili  di qualsiasi  Stato  per  accertare nazionalità  e natura del carico  trasportato e, per  verificare,  quindi,  che esse rispettino le norme  sulla neutralità . V. anche  navigazione, diritto marittima;  nave, nazionalità  della diritto; neutralità .  
 diritto erga omnes:  v. diritti, diritto assoluti. 
 errore di diritto:  v. errore, diritto di diritto. 
 diritto ex cartula:  equivale  a diritto cartolare (v.). 
 diritto generale:  v. codici e codificazioni. 
 diritto internazionale privato:  il principio  della  statualità  del diritto (v. Stato)  non comporta, necessariamente, che sul territorio di ciascuno  Stato  si applichi sempre  e soltanto il diritto di quello  Stato.  Ciascuno  Stato  può , nella  sua sovranità , autonomamente stabilire  che a certi  rapporti si applichi,  anziche´  il diritto  da  esso  prodotto, quello  prodotto da  altri  Stati;  può, conseguentemente, richiedere a propri  giudici di applicare, anziche´  il proprio diritto, il diritto di altri  Stati.  Ciò  accade  in forza  di una  norma  di diritto statuale che rinvia,  per  la regolazione di certi  rapporti, al diritto di altri  Stati;  e questo rinvio,  appunto perche´  fatto  da  una  norma  dello  Stato,  non  è  rinuncia  alla sovranità:  è , esso  stesso,  espressione di sovranità  dello  Stato.  Le  preleggi  e la successiva  l. 31 maggio  1995, n. 218, contengono una  serie  di norme, dette norme  di diritto diritto, che stabiliscono  quando il giudice  italiano  deve applicare il diritto italiano  e quando, invece,  il diritto di altri  Stati.  A  loro  volta  gli altri  Stati  hanno  proprie norme  di diritto diritto che risolvono,  dal loro  punto  di vista,  i medesimi  problemi. Ma  anche  le norme  di diritto diritto sono  espressione della statualità  del diritto; e ciascuno  Stato  formula  a propria discrezione le proprie norme  di diritto, senza  tenere in alcun  conto  le norme  formulate dagli altri  Stati,  con  conseguente possibilità  di conflitti:  può  accadere,  così, che al rapporto fra due  cittadini  di Stati  diversi  entrambi gli Stati  di appartenenza pretendano di applicare  il proprio diritto, movendo  ciascuno  da  una  diversa norma  di diritto diritto; può  accadere,  all’opposto,  che per  quel  rapporto entrambi gli Stati  rinviino  al diritto straniero. Per  superare questi  possibili  conflitti  vengono spesso  stipulate convenzioni  internazionali, con  le quali  più  Stati  si impegnano reciprocamente ad  adottare norme  omogenee di diritto; e sono convenzioni  diverse  dalle  convenzioni  di diritto uniforme, perche´  non  realizzano, a differenza di quelle,  un  diritto a contenuto uniforme  nei diversi  Stati,  ma concordano i criteri  in base  ai quali  ciascuno  Stato  applica  il proprio diverso  diritto. Ma  queste  convenzioni, sebbene numerose, si riferiscono solo  a  specifiche  materie  (l’Italia  ha  aderito a tre  convenzioni  dell’Aja  del 1905 in materia  di matrimonio, a due  convenzioni  di Ginevra del 1930 e del 1931 sui conflitti  di legge in materia  di cambiale  e di assegno,  alla  convenzione di  Roma  del 19 giugno  1980 sulla legge applicabile alle  obbligazioni contrattuali): per  le materie  non  regolate da  convenzioni  internazionali o rispetto  agli Stati  che non  vi abbiano aderito la possibilità  di conflitto permane. Ciascuno  Stato  risolve  il conflitto  facendo  valere  la propria norma di diritto: vale  il principio  secondo  il quale,  quando la legge dello  Stato  rinvia  ad una  legge straniera, questa  va applicata tenendo conto  del rinvio  da  essa fatto ad  altra  legge solo  se il diritto  di tale  Stato  accetta  il rinvio  o se si tratta di rinvio  alla  legge italiana  (art.  13 l. cit.). Perciò , il giudice  italiano applica  allo  straniero il diritto nazionale di questo  anche  se, secondo  il diritto del suo paese,  si dovrebbe applicare  il diritto italiano.  Le  nostre  leggi adottano, fondamentalmente, due  criteri,  che applicano alternativamente alle  diverse materie. Uno  è  il criterio  della  legge nazionale:  è  il criterio  per  il quale  il giudice  italiano  applica  il diritto italiano  oppure il diritto straniero a seconda  che si tratti  di regolare rapporti relativi  a cittadini  o a stranieri. Per  i vari criteri di collegamento si rinvia  alle  voci: cittadinanza;  legge regolatrice, diritto dello Stato  e della capacità  delle persone  e dei rapporti  di famiglia;  legge regolatrice, diritto del possesso,  della proprietà  e degli altri diritti sulle cose; legge regolatrice, diritto delle successioni  per causa di morte;  legge regolatrice, diritto delle donazioni;  legge regolatrice, diritto delle obbligazioni; legge regolatrice, diritto della forma  degli atti. Alle  singole  norme  che, a seconda  della  materia, adottano il criterio  della  legge nazionale e quello  della  legge del luogo  si aggiungono  altre  due  norme  che contengono affermazioni di principio.  Una  è  quella relativa  alla  condizione di reciprocità  (v. reciprocità , condizione di diritto); l’altra norma  di principio  pone,  per  converso,  un  generale limite  all’applicazione nel  territorio italiano  del diritto straniero e, più  in generale,  degli  atti  di Stati esteri  e di qualunque istituzione  o ente,  nonche´  delle  convenzioni  private formate all’estero:  si tratta dell’ordine pubblico  internazionale (v. ordine pubblico,  diritto internazionale). Il giudice  può , secondo  le norme  di diritto, essere tenuto ad  applicare  il diritto di un  altro  Stato;  non  è  però  tenuto a conoscerlo. L’antico  principio  secondo  il quale  il giudice  conosce  il diritto (iura  novit  curia) era  tradizionalmente ritenuto valido  solo  per  il suo diritto nazionale:  il diritto straniero  doveva,  invece,  essere  provato dalla  parte  che ha  interesse alla sua  applicazione. Ma  più  recentemente si è  precisato (art.  14 l. cit.) che il giudice  può  e deve  avvalersi  di ogni  mezzo  idoneo  per  acquisire  conoscenza della  legge straniera applicabile, ovviando  con  la sua  scienza  e la sua ricerca  diretta al difetto  di prova.   
 diritto internazionale pubblico:  complesso  delle  norme  consuetudinarie e convenzionali che appartengono all’ordinamento della  comunità  degli  Stati  e disciplinano  i rapporti tra  questi  ultimi,  pur  avendo  ad  oggetto  non  solo materie  attinenti a rapporti interstatali ma anche  a rapporti interindividuali, cioè  a rapporti interni  alle  comunità  statali.  Dal  principio  della  eguaglianza sovrana  degli  Stati  discende  il carattere anorganico e paritario della comunità  internazionale. Pertanto, i rapporti disciplinati  dal  diritto diritto hanno  un carattere più  eminentemente privatistico (in  quanto paritari) che pubblicistico.  V. anche  fonti  del diritto  internazionale.    
 diritto morale d’autore:  è  il diritto alla  paternità  dell’opera frutto  della  propria creatività  intellettuale e consiste  nel diritto: 1) ad  essere  riconosciuto come autore;  2) di non  pubblicare l’opera  (v. diritto di inedito);  3) di opporsi  alle pubblicazioni che possano  recare  pregiudizio alla  sua  reputazione (art.  2577, comma  2o, c.c.); 4) di ritirare l’opera  dal commercio qualora  concorrano gravi  ragioni  morali,  salvo  l’indennizzo  di chi abbia  acquistato il diritto all’utilizzazione  commerciale dell’opera (art.  2582 c.c.). Il diritto diritto è  concepito dalla  legge come  un  diritto della  personalità . Pertanto trattasi  di un  diritto imprescrittibile, irrinunciabile, intrasferibile (artt.  2577, comma  2o, 2582, comma  2o, e 2589 c.c.): l’eventuale cessione  del  diritto diritto è  nulla.  Dopo  la morte dell’autore il diritto diritto può  essere  fatto  valere,  senza  limite  di tempo,  dal coniuge o dai figli o, in mancanza,  dagli  ascendenti o da  altri  discendenti diretti (art.  23 l. 22 aprile  1941, n. 633), indipendentemente dalla  loro  qualità  di eredi:  il diritto diritto non  si trasmette agli eredi,  ma può  solo  essere  esercitato, a tutela  del proprio sentimento familiare,  dai suoi  congiunti.   
 diritto morale d’inventore:  è  il diritto alla  paternità  dell’invenzione industriale frutto della  propria creatività  intellettuale, analogo  al diritto morale  d’autor e (v.), salvo  che per  l’assenza  del c.d. diritto di inedito  (v.). 
 diritto naturale:  nozione  propria della  scienza  romanistica sulla base  della  quale inquadrare il contenuto e giustificare  la giuridicità  del complesso  di norme formatosi nell’ambito della  Comunità  internazionale caratterizzata dal principio  dell’eguaglianza sovrana  degli  Stati  e dalla  conseguente anorganicità  di essa. diritto fondato e scritto  nella  ratio  e nel cuore  di tutti  gli uomini  viventi  in una  società  e, quindi,  ad  essi inerente, non  necessariamente determinato e posto  in essere  da  un’autorità  superiore. Riposa  sulla concezione dell’uomo  come  essere  sociale  e libero  che il diritto diritto protegge garantendo la sua  libertà  e limitato  il potere cui esso  è  sottoposto. Grozio,  padre  del diritto internazionale, nella  sua  opera  De  jure  belli  ac pacis costruisce  la concezione di una  società  necessaria  di potenze sovrane superiorem non  recognoscentes, la cui sovranità  è  limitata  unicamente dal diritto.  
 diritto oggettivo:  con  il termine di diritto diritto o norma  agendi  si designano le norme giuridiche,  ossia  le norme  che prescrivono agli individui  dati  comportamenti. 
 diritto patrimoniale d’autore:  è  il diritto all’utilizzazione  esclusiva  dell’opera di ingegno  compiuta, quando questa  non  è  l’oggetto  di un  contratto di lavoro subordinato. Ev  un  diritto trasferibile (artt.  2581 e 2589 c.c.) e può , inoltre, formare oggetto  di contratti che, ferma  restando la titolarità  del diritto da  parte dell’autore, consentano ad  altri  lo sfruttamento dell’opera. Il modo  normale per  l’autore  delle  opere  di ingegno  di ricavare  un  vantaggio  economico dalla  propria opera  consiste  proprio nel trasferimento, dietro  corrispettivo, del diritto diritto relativo  ad  essa  (v. contratto,  diritto di edizione). Esso  sorge,  in capo all’autore,  all’atto  stesso  della  creazione dell’opera (art.  2576 c.c.) e dura  70 anni  dopo  la sua  morte.   
 diritto patrimoniale d’inventore:  è  analogo  al diritto patrimoniale  d’autore (v.),  e sorge,  in capo  all’autore,  solo  nel momento in cui egli ha  conseguito il brevetto  per invenzione (v.) (art.  2584 c.c.) con  effetti  che decorrono, una volta  che l’ha conseguito, alla  data  della  domanda; l’ideazione dell’invenzione attribuisce solo  il diritto di ottenere il brevetto. Fra  più  autori  della  medesima  invenzione acquista  il diritto, morale  e patrimoniale di inventore, quello  che fra essi per  primo  ha  fatto  domanda di brevetto. Il diritto diritto può formare oggetto  di pegno  (art.  2806 c.c.).  
 diritto privato e pubblico:  tutto  il diritto si scompone in due  grandi  sistemi  di norme, che si distinguono tra  loro  con  il diverso  nome  di diritto privato  e di diritto pubblico. La  terminologia è  antica,  risale  al diritto romano;  ma il suo significato  è  più volte  mutato nel corso  del tempo,  e sarebbe vano  ricercarne il significato attuale nel senso  comune  dei concetti  di privato  e di pubblico.  Solo in via di prima  approssimazione si può  dire,  ripetendo l’insegnamento tradizionale, che diritto privato  corrisponde a diritto che regola  i rapporti fra privati  e che diritto pubblico  equivale  a diritto che regola  i rapporti ai quali  partecipa lo Stato,  o altro  ente  pubblico.  Di  vero,  in un  simile criterio  di distinzione,  c’è  solo questo,  che i rapporti fra privati  non  possono  essere  regolati  se non  dal diritto privato.  Non  si può  dire,  invece,  che i rapporti ai quali  partecipa lo Stato,  o altro  ente  pubblico,  siano  regolati  sempre  e soltanto dal diritto pubblico:  essi possono  essere  tanto  rapporti di diritto privato  quanto rapporti di diritto pubblico. Ancora in via di prima  approssimazione si può  dire,  ripetendo i termini della  distinzione tracciata dai Romani, che il diritto privato  attiene alla protezione  di interessi  particolari (l’utilità  dei singoli)  e che il diritto pubblico protegge l’interesse  generale della  collettività  (la  prosperità  di Roma, secondo le fonti  romane). Di  vero,  anche  qui,  c’è  solo  questo:  allo  Stato,  e agli altri  enti  pubblici,  si chiede  di realizzare l’interesse  generale,  e solo  ai privati  è  lecito  soddisfare  interessi  particolari. Ma  il diritto privato  è  in se´  neutro rispetto  al tipo  di interessi  da  realizzare:  ci sono  paesi,  come  la Gran  Bretagna e gli Stati  Uniti  d’America, dove  l’attività  degli  apparati esecutivi dello  Stato,  diretta a realizzare l’interesse  generale,  si svolge prevalentemente nelle  forme  del diritto privato.  Ed  anche  nell’Europa continentale lo Stato  e gli enti  pubblici  agiscono,  assai spesso,  secondo  le norme  del diritto privato:  comprano o vendono,  danno  o prendono in locazione, partecipano a s.p.a.  o esercitano direttamente imprese  come  qualsiasi privato, ubbidendo alle  stesse  norme  che regolano i rapporti fra privati.  Il significato  della  distinzione fra diritto diritto, per  quanto la materia  formi  oggetto  di molte  dispute,  è  nei suoi  termini  generali  assai semplice.  Possiamo  dire  che il diritto privato  è  il diritto senza  ulteriore qualificazione:  la sua  più  esatta denominazione è  quella  di diritto comune  applicabile tanto  nei rapporti fra soggetti  privati  quanto nei rapporti ai quali  partecipa lo Stato  o altro  ente pubblico  (rapporti fra privati  ed  ente  pubblico,  rapporti fra enti  pubblici). Gli  istituti  caratteristici del diritto privato,  come  la proprietà  (v.),  il contratto  (v.),  la responsabilità  civile (v.),  l’impresa (v.) e così  via, valgono  sia per  i  soggetti  privati  sia per  i soggetti  pubblici:  proprietario, contraente, responsabile per  fatto  illecito,  imprenditore, può  essere  un  privato  cittadino come  può  essere  lo Stato  o altro  ente  pubblico.  Le  norme  del c.c. o delle altre  leggi, che regolano questi  istituti,  sono  norme  indifferentemente applicabili  a soggetti  privati  e pubblici,  salvo  che non  sia espressamente precisato che si applicano soltanto ai primi.  Solo quegli  istituti  che presuppongono, come  soggetto,  un  singolo  essere  umano,  come  ad  esempio gli istituti  del diritto di famiglia  o delle  successioni  a causa  di morte  sono, ovviamente, applicabili  solo  a soggetti  privati  (ma  questi  istituti  non  valgono  per  gli enti  pubblici  come  non  valgono  per  qualsiasi  ente  o persona giuridica,  anche  privata). Dal  diritto privato  il diritto pubblico  si distingue  sulla base di due  specifici  presupposti: anzitutto perche´  riguarda  solo  i rapporti ai quali  partecipa lo Stato  o altro  ente  pubblico;  inoltre,  perche´  riguarda  quei rapporti (ed  è  questo  il suo elemento caratterizzante) ai quali  lo Stato  o altri  enti  pubblici  partecipano quali  enti  dotati  di sovranità . Possiamo definire il diritto pubblico  come  il sistema  di norme  che regola  i presupposti, le forme  e i modi  di esercizio  della  sovranità , ossia  della  potestà  di comando della  quale  sono  investiti  gli apparati dello  Stato  e gli altri  enti  pubblici  che concorrono con  essi nell’esercizio  della  sovranità  (come  le regioni,  gli enti locali e i cosiddetti enti  strumentali dello  Stato).  Il concetto di diritto pubblico  è, perciò , implicito  nel concetto di Stato  di diritto: questo  è  lo Stato  che esercita  la sovranità , come  la esercita  lo Stato  moderno, secondo  precostituite norme di legge; queste  norme  regolatrici  dell’esercizio  della  sovranità  sono, appunto,  il diritto pubblico.  Ev  diritto pubblico,  in particolare, quello  che regola:  a) l’organizzazione dello  Stato,  cioè  i modi  di formazione, la composizione e le attribuzioni dei suoi  apparati legislativi,  esecutivi  e giudiziari,  nonche´  i modi di formazione e le attribuzioni degli  apparati degli  altri  enti  pubblici;  b)  i rapporti autoritativi, cioè  basati  sull’esercizio  di poteri  sovrani,  che lo Stato o altro  ente  pubblico  stabilisce  con  singoli individui  o con  enti.  Il diritto pubblico  si articola,  a sua  volta,  in sottosistemi: il diritto costituzionale (che  non coincide  con  il diritto posto  dalla  costituzione, giacche´  esistono  paesi,  come  la Gran  Bretagna, che hanno  un  diritto costituzionale pur  non  avendo  una costituzione) attiene alle  regole  fondamentali di organizzazione dello  Statodirittocomunità  (le  libertà  e i doveri  fondamentali del cittadino) e dello Statodirittoapparato (a  quali  organi  e secondo  quali  regole  spetta  l’esercizio  delle funzioni  sovrane);  il diritto amministrativo riguarda  i compiti  e l’attività  degli apparati dell’esecutivo  e degli  enti  pubblici  (cosiddetta P.A.);  il diritto penale regola  la potestà  punitiva  dello  Stato:  stabilisce  quali  fatti  costituiscono reato  e quali  pene  si possono  applicare  a chi li commette; il diritto processuale attiene all’esercizio  della  giurisdizione,  ossia  dell’attività  dei giudici di applicazione del diritto ai casi concreti,  e si distingue  in diritto processuale civile (di applicazione del diritto privato), diritto processuale penale  (di  applicazione del diritto penale), diritto processuale amministrativo (di  applicazione del diritto amministrativo). La  possibilità , per  gli apparati dello  Stato  o per  gli altri enti  pubblici,  di stabilire  con  i privati  rapporti autoritativi, basati  sulla sovranità , può  essere  concessa  dal diritto con  maggiore  o minore  larghezza.  In alcuni  paesi  appare riconosciuta più  estesamente, in altri  paesi  assai meno. In  Italia,  come  negli  altri  paesi  del continente europeo, vige il modello  (di origine  francese)  del cosiddetto Stato  a diritto amministrativo: l’attività  degli apparati dell’esecutivo  dello  Stato  e quella  degli  enti  pubblici  si svolge, prevalentemente, per  atti  autoritativi (o  cosiddetti atti  amministrativi), regolati  dal diritto amministrativo. Ma  un  diritto amministrativo non  esiste  ovunque: in Gran  Bretagna e negli  altri  paesi  che ne  hanno  seguito  l’esempio  vige l’opposto  modello  dello  Stato  a diritto comune,  e la P.A.  agisce, come  si è  già accennato, secondo  il diritto privato:  perciò  lo strumento principale dell’amministrazione è , in quei  paesi,  il contratto fra la pubblica  autorità  e il privato,  mentre all’atto  autoritativo si fa ricorso  nelle  materie, come  la  pubblica  sicurezza  e la difesa,  per  le quali  non  se ne  può  fare  a meno.  In ogni  caso,  i principi  dello  Stato  di diritto esigono  ovunque che la P.A.  non  possa fare  uso di poteri  autoritativi se non  quando la legge la autorizzi  a farne uso:  in mancanza di una  norma  di legge, che le riconosca  poteri  autoritativi, essa  resta  sottoposta al diritto privato  comune.  Se sussistono  i presupposti di legge, la P.A.  può , con  atto  d’autorità , espropriare i beni  dei privati  o può requisirli;  se mancano i presupposti di legge per  un  atto  di autorità , essa può  ugualmente procurarsi quei  beni,  ma li dovrà  comperare o li dovrà prendere in locazione,  comportandosi come  qualsiasi  privato.  Ancora:  pur sussistendo i presupposti di legge per  l’espropriazione o per  la requisizione, la P.A.  può  ugualmente preferire comperare o prendere in locazione.  Essa ha,  di regola,  la facoltà  di agire  secondo  il diritto amministrativo o secondo  il diritto privato  (e  la seconda  soluzione  può , in concreto,  rivelarsi  meglio rispondente  alle  esigenze  pubbliche,  perche´  può  consentire una  più  rapida, anche  se più  costosa,  acquisizione  del bene).  L’applicazione del diritto privato caratterizza poi  un  intero  e vasto  settore dell’attività  pubblica:  quello dell’attività  economica. Le  imprese  esercitate dallo  Stato  o da  altri  enti pubblici  sono  sottoposte, salvo  alcune  eccezioni,  alle  medesime  norme applicabili  alle  imprese  private.  Il diritto privato  si rivela,  a questo  riguardo, come il diritto meglio  adeguato allo  svolgimento  di attività  imprenditoriali e, perciò , come  più  rispondente al perseguimento delle  finalità  di interesse generale che le attività  economiche pubbliche debbono realizzare.   
 pronuncia secondo  diritto:  di solito  il giudice  nel pronunciare sulla causa  è obbligato ad  attenersi alle  norme  di diritto. Può  decidere secondo  equità  solo  se  la legge espressamente gli attribuisca tale  potere, o se il merito  della  causa riguarda  diritti  disponibili  delle  parti,  ed  esse  gliene  facciano  concorde richiesta.  Tale  principio  vige anche  per  l’arbitrato (art.  822 c.p.c.). L’obbligo per  il giudice  di pronunciare secondo  diritto, salvo  i casi eccezionali  di cui sopra, è  riconducibile all’art.  101, comma  1o, Cost..  Per  diritto si intendono sia le norme  italiane  che quelle  straniere, purche´  valide,  vigenti,  ed  applicabili  al caso  concreto.  (G.R.  Stufler). 
 diritto singolare:  v. negozio  giuridico,  origine del concetto  di diritto. 
 diritto soggettivo  ed interesse legittimo:  v. diritti soggettivi, diritto e interessi legittimi. 
 diritto sovranazionale:  v. diritto uniforme. 
 diritto speciale:  v. norma  giuridica, generalità  e astrattezza  della diritto; codici e codificazione. 
 stato di diritto:  v. Stato, diritto di diritto. 
 diritto transnazionale:  v. società , diritto multinazionali; transnational  law. 
 diritto tributario:  il diritto rappresenta un  particolare settore dell’ordinamento giuridico,  costituito  dalle  norme  e dai principi  che regolamentano l’istituzione  e l’attuazione dei tributi  da  parte  dello  Stato.  Ev  dunque la nozione  di tributo  (v.) ad  assumere  una  posizione  centrale nella individuazione del diritto. Esso  peraltro si distingue,  almeno  concettualmente, dal diritto  finanziario, in quanto quest’ultimo indica  le norme  che regolamentano la raccolta,  la gestione  e l’erogazione  di mezzi finanziari pubblici.  Può  dirsi  dunque che il diritto costituisce  una  parte  del diritto finanziario. Una  questione che ha  a lungo  appassionato gli studiosi  della materia  fiscale  è  quella  dell’autonomia del diritto rispetto  agli altri  settori  dell’ordinamento giuridico.  I riflessi pratici  di tale  questione riguardavano in sostanza  i criteri  ermeneutici delle  norme:  i fautori  dell’autonomia sostenevano l’esistenza  di criteri  interpretativi specifici  in materia  tributaria; i sostenitori della  tesi antiautonomistica ritenevano al contrario che si dovessero applicare  i criteri  validi per  il diritto  comune.  Ciò  dava  luogo  in particolare ad  un  diverso  apprezzamento dei termini  e delle  categorie  già presenti in altri  settori  giuridici.  Essendo  stato  risolto  tale  problema in modo indipendente da  un’impostazione aprioristica sulla autonomia del diritto (vedi  interpretazione), ne  discende  lo scadimento della  questione in oggetto che assume  a questo  punto  un  sapore  sostanzialmente accademico.   
 diritto umanitario:  v. crimina  juris gentium;  dichiarazioni internazionali;  diritti dell’uomo;  jus cogens. 
 diritto uniforme:  dalla  statualizzazione delle  fonti,  attuata sul continente europeo a  partire dal principio  dell’Ottocento, è  derivata la nazionalità  del diritto privato, la sua  differenziazione per  società  nazionali.  Il che ha  soddisfatto le esigenze  di concentrazione della  sovranità , proprie degli  Stati  moderni  (v. Stato),  ma ha  contraddetto un’altra  esigenza,  connessa  al carattere dei mercati,  che già  erano  e sarebbero sempre  più  diventati mercati internazionali, estesi  a territori ben  più  vasti dei territori dei singoli Stati. La  nazionalità  del diritto privato  si rivela  un  ostacolo  ai rapporti economici, sempre  più  intensi,  fra cittadini  di Stati  diversi:  un  ostacolo,  soprattutto, per le imprese  che agiscono  su mercati  internazionali e che collocano  merci  in Stati  diversi,  aventi  ciascuno  un  diverso  diritto. A  cominciare dalla  fine dell’Ottocento si punta,  per  superare l’ostacolo,  sulla formazione di un  diritto  privato  uniforme. Lo  strumento adoperato è  quello  della  convenzione fra Stati:  gli Stati  più  interessati al commercio internazionale stipulano  fra loro convenzioni  di diritto privato  uniforme  che poi,  con  legge nazionale,  detta  legge di  esecuzione delle  convenzioni  internazionali, recepiscono nei singoli Stati. Nasce  una  nuova  fase del diritto privato,  tutt’oggi  in atto.  Il primo  terreno  sul quale  la tendenza si manifesta è  quello  della  proprietà  industriale e della concorrenza: l’internazionalità  degli  interessi  imprenditoriali postula l’esistenza,  soddisfatta dalla  Convenzione di Parigi  del 1883, di una protezione ultranazionale dei diritti  di esclusiva  (invenzioni,  marchi  di fabbrica  e di commercio,  indicazione di origine  e di provenienza delle  merci e dei prodotti) e di una  repressione ultranazionale della  concorrenza sleale. La  svolta  saliente,  riguardo a quest’ultima, è  nella  convenzione dell’Aja  del 1929. La  progressiva tendenza verso  il diritto privato  uniforme  concorre a mettere in crisi i codici, come  fonti  di produzione del diritto privato:  il procedere per  settori  del processo  di unificazione  fa si che i singoli settori, regolati  uniformemente dalle  convenzioni  internazionali, escano  dal corpo dei codici e formino  oggetto  di leggi speciali.  Il polo  di aggregazione è, sempre  più , metadirittonazionale; la specialità  delle  leggi di esecuzione delle convenzioni  internazionali accentua l’autonomia della  normazione  internazionalmente uniforme  dal restante diritto nazionale.  Così  ad  esempio  accade,  dopo  la convenzione di Ginevra del 1930, per  le norme  sulla cambiale  e sull’assegno,  che escono  dal codice  di commercio per  formare materia  delle  specifiche  leggi del 14 dicembre  1933, n. 1669, e del 21 dicembre  1934, n. 1736, che resteranno poi  fuori  del c.c. unificato  del 1942.  Fra  le convenzioni  più  recenti  si segnala  quella  di Vienna  del 1980 sulla vendita  internazionale di cose  mobili,  cui è  stata  data  esecuzione in Italia con  l. n. 765 del 1985. Dopo  la seconda  guerra  mondiale  nuove sollecitazioni hanno  spinto  verso  l’uniformità  del diritto privato.  Alla  generale ricerca  di una  uniformità  su largo  raggio,  estesa  all’intero  mercato mondiale, ma per  singoli e specifici  settori  normativi,  si aggiunge  negli  Stati Uniti  d’America  una  ulteriore tendenza, di più  limitato  raggio,  ma rivolta ad  una  uniformità  organica  e globale.  Fra  il 1943 e il 1952 si elabora un Uniform Commercial Code,  che nel 1963 risulta  adottato da  tutti  gli Stati, esclusa  solo  la Louisiana (che,  a suo tempo,  rifiutò  anche  la common  law), e che si presenta, per  le materie  regolate (vendita, contratti bancari,  titoli  di credito  ecc.), alla  stregua  di un  codice  delle  obbligazioni  e dei contratti. L’Uniform Commercial Code  statunitense si segnala  sotto  un  duplice aspetto:  non  solo  per  l’uniformità  di regolazione normativa che esso  ha realizzato,  o tende  a realizzare,  nei cinquanta Stati  che lo hanno  adottato, in omaggio  alle  esigenze  di disciplina  uniforme  dei rapporti inerenti ad  un medesimo  mercato (anche  se l’uniformità  rischia  di vanificarsi,  giacche´ alcuni  Stati  hanno  recepito con  modifiche  il codice  uniforme, altri  lo hanno successivamente modificato); ma anche  perche´  questa  uniformità  di disciplina  normativa è  stata  realizzata nel segno  della  commerciabilità  delle materie  da  sottoporre a disciplina  uniforme, rilanciando in un  ambiente che fino ad  allora  l’aveva ignorata, oltre  che l’idea di codice,  la categoria formale  del diritto commerciale. In  Europa il rapporto fra unità  del mercato e uniformità  del diritto privato  si instaura con  il Trattato di Roma  del 1957,  istitutivo  della  Cee.  Qui,  a differenza che in America,  il rapporto non  è stabilito  all’interno  di un  unitario mercato già  esistente,  ed  al fine di una sua  razionalizzazione, ma è  visto in funzione  della  creazione stessa  di un mercato unitario. Per  instaurare un  mercato comune,  scopo  enunciato dall’art.  2 del Trattato, sono  indicati,  fra gli altri,  strumenti di ordine normativo, come  quello  consistente, anzitutto, nella  creazione di un  regime inteso  a garantire che la concorrenza non  sia falsata  nel mercato comune (art.  3, lett.  f). Prendono forma,  su questa  traccia,  norme  di diritto privato sovranazionale: sono  le norme  poste  dagli  artt.  85 e seguenti  dello  stesso Trattato, direttamente applicabili  nel territorio della  Comunità, ma limitatamente al commercio fra gli Stati  membri.  Un  ulteriore strumento, per il quale  non  vale  questa  limitazione,  è  quello  del ravvicinamento delle legislazioni  nazionali  nella  misura  necessaria  al funzionamento del mercato comune  (art.  3, lett.  h).  Spetta  al consiglio  della  Cee  di formulare direttive al riguardo,  cui gli Stati  membri  sono  tenuti  ad  adeguarsi con  propria legge interna (art.  100). Il disegno  è  vasto:  il concetto ispiratore, si legge nella relazione  della  Commissione alla  direttiva  9 marzo  1968, è  la necessità  di assicurare la rapidità  e la certezza  del diritto nelle  transazioni internazionali. La certezza  del diritto diventa,  a questo  modo,  anche  una  esigenza  economica:  il diritto diritto rende  certe  le norme  regolatrici  dei rapporti interni  ad  un  mercato plurinazionale, facilita  gli scambi  al suo interno, concorre alla  instaurazione di un  mercato unitario. 		
			
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