Il possesso è , giuridicamente, situazione diversa  della  proprietà , anche  se spesso  il linguaggio  corrente (ma,  talvolta,  anche  il linguaggio  normativo e il linguaggio  colto)  attribuisce ai due  termini  un  significato  equivalente. La proprietà  (v.) è  una  situazione di diritto:  è  il diritto  sulla cosa  definito dall’art.  832 c.c.; il possesso è , per  contro,  una  situazione di fatto:  l’art. 1140, comma  1o, c.c. lo definisce  come  il potere sulla cosa  che si manifesta in un’attività  corrispondente all’esercizio  del diritto  di proprietà.  Ev  la differenza fra titolarità  ed  esercizio  del diritto:  fra l’essere  proprietari di una  cosa  e il comportarsi come  proprietari di essa. Di  regola  il proprietario è  anche  possessore:  ha  il diritto  sulla cosa  e, di fatto,  lo esercita.  Ma  può accadere che il proprietario non  possieda  la cosa  e che altri,  non proprietario,  ne  abbia  il possesso. Ev  il caso  del furto:  il derubato resta  proprietario della  cosa,  ma non  è  più  possessore, il ladro  ne  ha  il possesso senza  esserne proprietario. Ev  il caso,  ancora,  della  consegna  dal venditore al compratore a seguito  di una  vendita  nulla:  il venditore ne  è  rimasto  proprietario, il compratore ne  ha  conseguito il possesso. Oltre  che al possesso corrispondente al diritto  di proprietà  (cosiddetto possesso pieno)  l’art. 1140, comma  1o, c.c. fa menzione del possesso corrispondente al contenuto di altri  diritti reali (v.): si può  così possedere  l’usufrutto  (v.),  l’uso (v.),  la superficie  (v.) e così  via, ossia  comportarsi di  fatto  da  usufruttuari, da  superficiari ecc. (possesso minore), essendo  titolari  del relativo  diritto  oppure no.  Per  i diritti  reali  di godimento l’art. 1153, comma 3o, c.c., è  esplicito  nell’ammettere il possesso dell’usufrutto e dell’uso.  Dalla giurisprudenza è  ammesso  il possesso delle  servitù  (v.),  quando la situazione di  fatto  corrispondente al diritto  venga  posta  in essere  dal proprietario di fondo  definibile  come  fondo  dominante (v. fondo,  possesso dominante). Lo  si ammette per  le servitù  apparenti (v. servitù , possesso apparenti  e non  apparenti)  e per  le servitù  positive  (v. servitù , possesso positive  e negative)  anche  se discontinue (v. servitù , possesso continue  e discontinue);  ma si è  finito  con  l’ammettere anche  il possesso delle  servitù  non  apparenti e negative,  pur  richiedendo per  queste  ultime un  comportamento del proprietario del fondo  servente  che sia apprezzabile come  osservanza della  proibizione (proibizione di costruire,  nella  servitus non  aedificandi) del proprietario del fondo  dominante, e non  veramente casuale.  Nessun  dubbio  si nutre  per  il compossesso,  corrispondente all’esercizio  di fatto  della  comproprietà   (v.),  e per  il possesso della  quota  di coeredità  (v.).  Il pegno  (v.),  quale  diritto  reale  di garanzia,  è  esplicitamente considerato suscettibile di possesso dagli  artt.  1153, comma  3o, c.c., e 2789 c.c.. Per contro,  un  possesso del diritto  di ipoteca (v.) sembra  impensabile, attesa  la natura costitutiva  dell’iscrizione  nei registri  immobiliari;  lo si è , tuttavia, configurato per  l’ipotesi  in cui l’ipoteca  sia stata  iscritta  sulla base  di un titolo  nullo;  ma sul punto  mancano precedenti di giurisprudenza. Al  possesso, sebbene situazione di fatto,  è  concessa  protezione giurisdizionale con  le azioni  a difesa  del possesso (v. azione,  possesso di reintegrazione;  azione,  possesso di manutenzione) (artt.  1168  – 70 c.c.); gli sono,  inoltre,  attribuiti molteplici effetti  giuridici.  Agli  effetti  del possesso il c.c. dedica  gli artt.  1148  – 67 c.c.: fra essi dominano l’acquisto  della  proprietà  e degli  altri  diritti  reali  mediante il possesso (v. acquisto,  possesso a non  domino;  usucapione)  (artt.  1153  – 67 c.c.). Fra  la protezione giurisdizionale e gli effetti  del possesso non  c’è  nesso  necessario:  il possesso è  protetto con  le azioni  possessorie anche  in ipotesi  nelle  quali  esso  non consente l’acquisto  della  proprietà  o degli  altri  diritti  reali.  Basti considerare il possesso dei beni  demaniali (v. beni, possesso demaniali):  l’art. 1145, comma 2o, c.c., concede  al privato  possessore  l’azione  di manutenzione, quando sia molestato nell’esercizio  di attività  corrispondenti a facoltà  che possono formare oggetto  di concessione  da  parte  della  P.A.;  tuttavia, i beni demaniali sono  cose  fuori  commercio (v. beni, possesso fuori  commercio), delle quali  i privati  non  possono  acquistare la proprietà , neppure per  effetto  del possesso (art.  1145, comma  1o, c.c.). Analogo discorso  può  essere  ripetuto per  il possesso delle  servitù  apparenti e delle  servitù  negative:  la giurisprudenza lo considera protetto dalle  azioni  possessorie;  non  lo considera utile  ai fini dell’acquisto del diritto  reale  mediante il possesso. Di  qui  l’evidente  illazione  che i diversi  effetti  del possesso non  hanno  la medesima  giustificazione. L’acquisto  del diritto  reale  mediante il possesso ha  la funzione  di dare  certezza  alla  circolazione della  ricchezza.  La  tutela  possessoria non  può , invece,  dirsi  strumentale all’acquisto  del diritto  reale,  dal momento che è  invocabile  anche  quando il possesso non  conduce  all’acquisto  del diritto.  Essa  ha,  dunque, una  autonoma ragion  d’essere,  che verrà  meglio  individuata nella  voce relativa  alla difesa del possesso (v.),  ma fin d’ora  va segnalata  l’esigenza  di una  distinzione:  di tutela del possesso in senso  proprio si può  parlare con  riferimento al conflitto  fra possessore  non  proprietario e proprietario non  possessore;  se ne  parla impropriamente quando vengono  in considerazione i conflitti  fra non proprietari. Nel  primo  ordine  di rapporti vale  la regola,  che racchiude l’essenza  della  tutela  possessoria,  secondo  la quale  il possessore  non  proprietario è  protetto, sia pure  temporaneamente, anche  nei confronti  del proprietario non  possessore  che pretenda di esercitare il suo ius possidendi; nel secondo  ordine  di rapporti non  può  tanto  parlarsi  di norme  a difesa  del possesso quanto, piuttosto, di criteri  legislativamente predisposti per  comporre i conflitti  fra le ragioni  di diversi  possessori.  Si ritrova  talvolta  la proposizione secondo  la quale  il possesso fa presumere la proprietà ; talaltra quella per  cui il possesso crea  una  apparenza di proprietà . Si tende,  con  l’una  o con l’altra,  ad  accreditare la conclusione  che gli effetti  giuridici  del  possesso e la sua protezione giurisdizionale siano,  in tutto  o in parte,  spiegati  da  quella presunzione o da  quella  apparenza. Entrambe le proposizioni non  hanno fondamento. La  prima  di esse  è  vera  solo  in un  campo  particolare: il possesso di buona  fede  dei titoli di credito (v.),  gli effetti  del quale  non  sono  regolati dalle  norme  generali  sul possesso ma,  per  il rinvio  di cui all’art.  1157 c.c., dalle specifiche  norme  del titolo  V del libro  IV,  ha  effettivamente la valenza  di farne  presumere la proprietà . La  legittimazione cartolare, che è  data  dal possesso (semplice  e qualificato) del titolo,  altro  non  è  se non  presunzione (relativa) di proprietà  del titolo  stesso.  Fuori  da  questo  particolare campo  il possesso non fonda  alcuna  presunzione di proprietà : esso  produce effetti  ed  è  protetto in quanto tale,  non  in quanto proprietà  presunta. Lo  dimostra a sufficienza  il fatto  che il possesso è  protetto anche  nei confronti  di chi sia in grado  di contrastare una  simile presunzione, con  la prova  del proprio diritto  di proprietà . D’altro  canto,  i principi  sulla apparenza del diritto  (v. apparenza giuridica)  non  hanno  nulla  in comune  con  la disciplina  del possesso: l’apparenza, quando è  rilevante,  è  trattata allo  stesso  modo  della  realtà  (il socio  apparente, ad  esempio,  è  trattato alla  stessa  stregua  del socio  reale),  mentre la disciplina  del possesso è  una  disciplina  differenziata da  quella  della  proprietà; senza  dire  che l’apparenza produce conseguenze giuridiche  svantaggiose per chi l’ha determinata (la  non  corrispondenza dell’apparenza alla  realtà  è inopponibile ai terzi),  mentre al possesso si collegano  conseguenze vantaggiose  per il  possessore  (abilitato a difendere il possesso nei confronti  di chiunque). V. anche accessione, possesso del possesso; atti, possesso di tolleranza; detenzione;  interversione  del possesso; possessore.   
 accessione  del possesso:  v. accessione, possesso del possesso. 
 acquisto del possesso:  v. acquisto,  possesso del possesso. 
 possesso corpore et animo:  v. detenzione. 
 possesso dei titoli di credito:  v. legittimazione,  possesso attiva; girata; titoli di credito, possesso al portatore; titoli di credito, possesso nominativi. 
 possesso della quota di eredità:   v. quota,  possesso  di possesso di coeredità . 
 possesso delle  azioni di società:   v. azioni  di società , possesso  delle possesso. 
 possesso delle  servitù:  v. oggetto del possesso. 
 possesso dell’uso:  v. oggetto del possesso. 
 possesso dell’usufrutto:  v. oggetto del possesso. 
 detenzione  e possesso:   v. detenzione. 
 possesso di buona fede  dei beni mobili:  v. acquisto,  possesso a non  domino. 
 possesso di buona fede  dei titoli di credito:  v. titoli di credito. 
 possesso di buona fede  di titolo azionario nominativo:  la proprietà  delle  azioni  di società  (v.),  e la connessa  qualità  di socio, si acquista  secondo  i modi  di acquisto  dei beni  mobili  (v. beni, possesso mobili).  Ne  consegue  che, ai sensi  dell’art.  1153 c.c., l’acquirente dell’azione  acquista  la qualità  di socio  per effetto  dell’acquisto della  proprietà  del titolo  e l’acquista  se in buona  fede, indipendentemente dalla  circostanza che l’alienante  fosse  o no  proprietario del titolo  e, quindi,  socio. Pertanto, le quote  di partecipazione alla  società possono  circolare  secondo  la legge di circolazione  dei beni  mobili,  che garantisce sicurezza  e rapidità  di trasferimento.  
 possesso di buona fede  e di mala fede:  la protezione giuridica  del possesso prescinde dallo  stato  di buona  (v. buona  fede, possesso soggettiva)  o di mala  fede (v.) del possessore;  ed  è , perciò , possessore, e sia pure  possessore  di mala  fede, anche  il ladro,  il ricettatore ecc.: la mala  fede  non  gli preclude l’esercizio delle  azioni  a tutela  del possesso, non  lo priva  del diritto  al rimborso delle  spese  e dell’indennità  per  i miglioramenti; ne´  gli impedisce  di acquistare la proprietà  per  usucapione  (v.).  Per  molteplici  altri  effetti  è , invece,  rilevante lo stato  soggettivo  della  buona  fede  del possessore:  solo  il possessore  di buona  fede  fa propri  i frutti  della  cosa  altrui  posseduta, acquista  la proprietà  delle  cose  mobili  mediante il possesso, fruisce  dell’usucapione abbreviata. Ev  in buona  fede  chi possiede  la cosa  ignorando di ledere  l’altrui  diritto (art.  1147, comma  1o, c.c.), cioè  ignorando l’altruità  della  cosa; è , per contro, in mala  fede  chi sa di possedere la cosa  altrui.  Non  è  più  richiesto, perche´  il possesso sia di buona  fede,  che esso  tragga  origine,  come  richiedeva  il previgente c.c., da  un  titolo  idoneo  a trasferire il diritto:  è  possessore  di buona  fede  chi si sia impossessato della  cosa  mobile  altrui  ritenendola res nullius;  ma a diversi  effetti  il titolo  idoneo  è  rilevante,  come  per  l’acquisto a non  domino  (v. acquisto,  possesso a non  domino) delle  cose  mobili,  per  l’accessione  del possesso (v. accessione, possesso del possesso).  La  presenza di un  titolo, d’altra  parte,  non  implica  sempre  buona  fede:  chi compera dal ladro  o dal ricettatore dispone  di un  titolo,  ma sa di ledere  il diritto  del derubato. Lo stato  di buona  fede  non  è  escluso  dall’errore di fatto  o di diritto;  è  però escluso  dalla  colpa  grave  (art.  1147, comma  2o, c.c.): è  mala  fede  la cosiddetta buona  fede  temeraria, ossia  lo stato  soggettivo  di chi, pur ignorando l’altruità  della  cosa,  poteva  venirne  a conoscenza usando  un minimo  di diligenza,  come  nel caso  di chi faccia incauto  acquisto  di una cosa  rubata, in presenza di circostanze (ad  esempio,  il prezzo  troppo basso) tali  da  ingenerare il ragionevole dubbio  o il ragionevole sospetto  che il venditore non  ne  fosse  il proprietario, ma il ladro  o il ricettatore; oppure nel  caso  di chi acquista  un  bene  la cui vendita  è  sottoposta ad  altrui prelazione legale  (v. prelazione,  possesso legale), senza  indagare sulla esistenza  di soggetti  aventi  diritto  alla  prelazione. In  questa  materia  vale  una presunzione  (v.) di legge: il possessore  si presume in buona  fede,  salvo prova  contraria (art.  1147, comma  3o, c.c.); onde  profitta della  più  estesa protezione giuridica  del possesso di buona  fede  anche  il possessore  del quale  non si riesca  a provare la mala  fede.  Inoltre basta,  perche´  il possesso sia considerato di buona  fede,  che il possessore  fosse  originariamente in buona  fede,  anche  se successivamente abbia  acquistato coscienza  dell’altruità  della  cosa  (art.  1147, comma  3o, c.c.). Il che si suole  ripetere con  l’antica  massima:  mala  fides superveniens non  nocet.  La  buona  fede  di cui all’art.  1147 c.c. è  la cosiddetta buona  fede  soggettiva;  va tenuta distinta  dalla  buona  fede oggettiva  (v. buona  fede, possesso oggettiva),  intesa  come  dovere  di comportarsi  con  correttezza e lealtà . Questo diverso  significato  assume  la buona  fede contrattuale: buona  fede  nelle  trattative, nell’esecuzione, nell’interpretazione del contratto, in pendenza della  condizione, nella  proposizione dell’eccezione  di inadempimento. Fuori  di questi  casi, nei quali  è  assunto  in senso  oggettivo,  il concetto di buona  e di mala  fede  è  utilizzato  dal c.c. in senso  soggettivo,  come  stato  psicologico  di conoscenza o di ignoranza.  L’art. 1147 c.c. si riferisce  alla  buona  fede  nel possesso, non  alla  buona  fede  soggettiva  in genere.  In  linea  di massima,  ma solo  in linea  di massima.  l’art. 1147 c.c. può  essere  considerato come  espressione di generali  principi  regolatori dello stato  soggettivo  di buona  o di mala  fede:  non  sempre  la buona  fede  si presume;  non  sempre  la buona  fede  implica  un  dovere  di diligenza  ed  è esclusa  dalla  colpa  grave.  La  buona  fede  non  si presume,  ad  esempio, nell’acquisto della  proprietà  per  accessione  invertita  (v. accessione, possesso invertita) (art.  938 c.c.) o nel pagamento al creditore apparente (v. creditore, possesso apparente)  (art.  1189 c.c.).  
 possesso di diritti reali:  v. oggetto del possesso; diritti reali. 
 possesso di enfiteusi:  v. oggetto del possesso; possesso minore. 
 difesa del possesso:  al possesso è , tradizionalmente,  riconosciuta protezione giurisdizionale: il possessore, sia o no  proprietario, che sia stato  da  altri  spogliato  del possesso della  cosa  oppure sia da  altri  molestato nel suo possesso può  rivolgersi  al giudice ed  ottenere, con  procedimento rapido,  un  provvedimento che ordina  la reintegrazione del  possesso o la cessazione  delle  molestie  (v. azione,  possesso di manutenzione; azione,  possesso di reintegrazione).  Questa protezione giurisdizionale è  riconosciuta al possesso in quanto tale:  non  solo  è  irrilevante che il possessore  non  sia, o non  possa  provare di essere,  proprietario del bene;  è  anche irrilevante la inidoneità  del bene  a formare oggetto  di proprietà  privata. Basti  ricordare che la protezione del possesso è  riconosciuta, nei rapporti fra privati,  anche  al possessore  di beni  demaniali (v. beni, possesso demaniali)  (art. 1145 c.c.), rispetto  ai quali  è  certo  ed  a tutti  evidente (come  nel caso  del possesso di un  tratto di spiaggia  da  parte  di chi vi ha,  di fatto,  installato  uno stabilimento balneare) che il possessore  non  è  e non  può  essere proprietario.  L’azione  di reintegrazione, in quanto basata  (almeno  nel sistema  del c.c.) sull’altrui  fatto  violento  o clandestino, è  data  a qualsiasi possessore, indipendentemente  dalla  durata del suo  possesso e dal modo  con  il quale  se lo era  procurato; ed  è  questa  una  importante innovazione rispetto al diritto  previgente, suscettibile di spostare  sensibilmente i termini  della classica questione del fondamento della  tutela  possessoria:  l’antico  requisito del possesso legittimo,  che il c.c. previgente richiedeva  a tutti  gli effetti,  è  ora prescritta, oltre  che ai fini dell’usucapione, solo  per  l’azione  di manutenzione. L’azione  di manutenzione è  data  solo  se il possesso durava, continuo e ininterrotto, da  oltre  un  anno  e non  era  stato  conseguito in modo violento  o clandestino oppure, se conseguito in tal  modo,  se è trascorso almeno  un  anno  da  quando la violenza  o la clandestinità  è  cessata (art.  1170, comma  2o, c.c.). Perciò , l’azione  di reintegrazione può  essere esercitata anche  dal ladro  ed  anche,  al limite,  dal ladro  che si fosse impossessato della  cosa  il giorno  prima  di esserne,  a sua  volta,  spogliato. L’azione  di manutenzione, invece,  potrà  essere  esercitata da  chi aveva violentemente o clandestinamente conseguito il possesso (dall’usurpatore  dell’immobile  altrui,  dal ladro  di una  universalità  di mobili)  solo  dopo  avere per  almeno  un  anno  posseduto la cosa  alla  luce  del sole, comportandosi  agli occhi di tutti  come  il suo proprietario. Problema classico in questa  materia è  quello  della  giustificazione  della  tutela  possessoria.  Ev  evidente che il possessore  spogliato  non  è , necessariamente, più  meritevole di tutela dell’autore dello  spoglio:  il primo  può , anch’egli,  essersi  procurato il possesso per spoliazione altrui.  Può , insomma,  trattarsi di due  ladri,  e non  c’è , nel confronto fra i due,  ragione  per  la quale  il primo  ladro  debba  essere giudicato  degno  di maggiore  protezione del secondo.  Si sogliono  addurre, per  giustificare  questa  protezione, superiori esigenze  attinenti all’ordine pubblico  e alla  pace  sociale:  se chiunque  potesse  liberamente  impossessarsi di ciò  che altri  possiede  senza  esserne  (o  senza  poter  provare di esserne) proprietario, si legittimerebbero spoliazioni  a catena,  e l’ordine  pubblico  ne sarebbe gravemente pregiudicato. Ev  stato  così introdotto, per  antica tradizione, il principio  per  il quale  il possessore  può , anche  se non proprietario, ottenere dal giudice  la protezione della  già  conseguita situazione di fatto;  ma è  principio  che solo  indirettamente protegge il possessore:  esso  ha,  direttamente, di mira  la salvaguardia dell’ordine pubblico  (ne  cives ad  arma  veniant,  ripeteva Savigny, nella  prima  metà dell’Ottocento, ed  è  giustificazione  della  tutela  possessoria tuttora insuperata). Questo è  uno  dei tanti  casi possesso il sistema  del c.c. ne  è disseminato  possesso in cui la protezione di interessi  individuali  è  solo  il mezzo mediante il quale  vengono  perseguiti interessi  di ordine  superiore. Si può però  osservare che solo  impropriamente si parla  di protezione del possesso: anche  l’autore  dello  spoglio  è , a rigore,  un  possessore  (tant’è  che anche  a lui spetta,  se viene  a sua  volta  spossessato in modo  violento  o clandestino, l’azione  di spoglio).  Si deve  dire,  piuttosto, che la legge introduce un criterio  per  comporre i conflitti  sul possesso dei beni;  ed  il criterio  è  quello  per  cui il possesso antecedente (il possesso di chi ha  subito  lo spoglio  o le molestie)  prevale  sul possesso successivo  (quello  dell’autore dello  spoglio  o delle  molestie), salvo  che il possesso successivo  non  sia durato almeno  un  anno  senza  reazione del primo possessore. Le  azioni  possessorie spettano al possessore, anche  se non proprietario; ma si intende che di esse  può  avvalersi  possesso e normalmente si avvale  possesso anche  il proprietario, che sia stato  spogliato  del  possesso o molestato nel godimento del bene.  In  tal  caso  egli non  agisce  come  proprietario, ma come possessore;  e le azioni  possessorie gli offrono  una  protezione assai più rapida  di quella  che otterrebbe con  le azioni  petitorie, essendo  dispensato dall’onere della  prova,  spesso  ardua,  della  proprietà  del bene.  Le  azioni possessorie spettano al possessore  nei confronti  di chiunque, anche  nei confronti  del proprietario. Lo  si desume  dall’art.  705, comma  1o, c.p.c., ai sensi  del quale  il convenuto nel giudizio  possessorio non  può  proporre giudizio  petitorio, finche´  il primo  giudizio  non  sia definito  e la decisione non  sia stata  eseguita:  il convenuto nel giudizio  possessorio non  può difendersi eccependo di essere  il proprietario della  cosa; ne´  può  iniziare  il giudizio  petitorio finche´  il giudizio  possessorio non  sia stato  definito  e la decisione  non  sia eseguita.  Ogni  azione  o eccezione  riguardante la legittimità  del  possesso è  estranea al giudizio  possessorio.  La  ragione  di queste preclusioni processuali è  nel divieto  di autotutela privata:  il proprietario,  che sia stato  privato  del possesso della  cosa,  ha  tutto  il diritto  di riottenerlo; ma deve,  per  realizzare questo  risultato, esercitare in giudizio  quella  apposita azione  che è  l’azione  di rivendicazione (v. azione,  possesso di rivendicazione), e deve  ottenere la sentenza che, accertato il suo diritto  di proprietà , ordini  al possessore  di restituirgli  la cosa  di propria mano;  e, se lo fa con  violenza sulle persone o sulle cose,  commette il reato  di esercizio  arbitrario delle proprie ragioni  (v. esercizio,  possesso arbitrario delle proprie  ragioni),  punito  dagli artt.  392 ss. c.p.. Analogamente, il compratore che sia, in base  al principio consensualistico  (v. consenso,  effetto  traslativo del possesso) (art.  1376 c.c.), già proprietario del bene  comperato non  potrà , di fronte  al rifiuto  del venditore di consegnarglielo, impossessarsene contro  la volontà  di quest’ultimo. Egli  dovrà  agire  per  l’adempimento ed  ottenere una  sentenza che condanni  il venditore alla  consegna.  Si intende poi  che, nei confronti del proprietario, la protezione del possessore  è  solo  provvisoria:  vinto  il giudizio  possessorio e ottenuta la restituzione della  cosa,  il possessore soccomberà  nel successivo  giudizio  petitorio, e dovrà  definitivamente consegnarla al proprietario. Tale  norma  del c.p.c., poteva,  in qualche  caso  particolare, rivelarsi  eccessivamente garantista e frustrare così  la tutela  del  diritto  di proprietà , costituzionalmente garantita (art.  24, comma  1o, e 42 comma  2o, Cost.):  di conseguenza la Corte  Costituzionale, 3 febbraio  1992, n. 25, ha  dichiarato la illegittimità  costituzionale dell’art.  705, comma  1o, c.p.c. nella  parte  in cui subordina la proposizione del giudizio  petitorio alla definizione della  controversia possessoria e all’esecuzione  della  decisione  nel caso  che ne  derivi  o possa  derivare un  pregiudizio irreparabile al  convenuto. Solo alla  P.A.  è  consentito di farsi  giustizia  da  se´ : il privato possessore  di beni  demaniali ha  azione  possessoria verso  altri  privati,  ma non  nei confronti  dello  Stato  o degli  altri  enti  pubblici  (art.  1145 c.c.), i quali  possono  utilizzare  la forza  pubblica  per  ricuperare il possesso del bene  o per fare  cessare  le molestie  (art.  823, comma  2o, c.c.), senza  bisogno  di rivolgersi  all’autorità  giudiziaria  e di ottenere una  sentenza.  Una  simile iniziativa  è , tuttavia, ad  essi consentita solo  in relazione  alla  natura pubblica del bene,  non  in considerazione della  natura pubblica  dell’ente,  il quale  può invocare  solo  la tutela  giurisdizionale per  i beni  che gli appartengono iure privatorum. Correlativamente, il privato  gode  di tutela  possessoria nei confronti  della  P.A.  quando l’apprensione del bene  da  parte  di questa, anche  se diretta a realizzare pubbliche finalità , non  sia espressione della potestà  di imperio  della  P.A..  Legittimato passivo  alle  azioni  possessorie è, oltre  che l’autore  materiale dello  spoglio  o delle  molestie,  anche  il suo autore morale,  ossia  il mandante dell’esecuzione materiale o colui  che l’abbia  autorizzata o che l’abbia  successivamente ratificata;  e l’azione  potrà essere,  indifferentemente, rivolta  sia nei confronti  dell’autore materiale sia nei confronti  dell’autore morale.  V. anche  azione,  possesso di manutenzione; azione, possesso di reintegrazione.   
 possesso di mala fede:  v. possesso di buona  e di mala  fede. 
 possesso di quota di s.r.l.:  secondo  la grande  maggioranza di dottrina è giurisprudenza, la quota  (v.) di una  s.r.l. (v.) non  è  suscettibile di possesso, così come  i diritti  di credito  (v. obbligazione) e i beni  immateriali (v. beni, possesso immateriali).  Secondo  una  parte  della  giurisprudenza, il possesso di quota  sarebbe  stato  dato  dall’iscrizione  del trasferimento nel libro  dei soci, che immette l’acquirente nell’organizzazione societaria e lo pone  in condizione di esercitare i suoi  poteri  di socio. La  maggioranza della  giurisprudenza costantemente nega  una  materiale trasmissione del possesso nel trasferimento della  quota,  dimostrando così   l’insussistenza  dello  stesso  concetto di possesso di quota.  
 possesso diretto:  è  il possesso esercitato direttamente, detenendo la cosa  con  l’animo  di considerarla propria. 
 possesso di stato:  è  un  mezzo  di prova  del matrimonio (v. matrimonio, prova  del possesso) e dello  stato  di figlio legittimo  (v. filiazione  legittima). 
 possesso di usufrutto:  v. possesso minore. 
 possesso e beni immateriali:  v. oggetto del possesso. 
 effetti del possesso:  al possesso, benche´  mera  situazione di fatto,  sono  attribuiti molteplici effetti  di diritto.  Il c.c. formula  al riguardo una  tripartizione: riconosce diritti  e impone  obblighi  al possesso possessore  nella  restituzione della  cosa  al proprietario (artt.  1148 ss. c.c.); regola  l’acquisto  della  proprietà  mediante il possesso di buona  fede  di beni  mobili  (v. acquisto,  possesso a non  domino) (artt.  1153 ss. c.c.) e mediante l’usucapione  (v.) (artt.  1158 ss. c.c.). Il possessore  può  non essere  proprietario: nei suoi  confronti  il proprietario può  esercitare l’azione di rivendicazione (v. azione,  possesso di rivendicazione) e, data  la prova  del diritto di proprietà , ottenere la restituzione della  cosa  (art.  948 c.c.). Nel  frattempo la cosa  ha  prodotto frutti  e il possessore  li ha  percepiti (ha,  ad  esempio, coltivato  il fondo  e raccolto  i prodotti, ha  dato  in locazione  l’appartamento e riscosso  i canoni).  I frutti  spetterebbero, a rigore,  al proprietario della  cosa,  secondo  il principio  generale dell’art.  821 c.c. (v. frutti, acquisto  dei possesso); ma la rigida  applicazione di questo  principio  è  legislativamente valutata come  iniqua  rispetto  al possessore  di buona  fede,  che ha  utilizzato  la cosa nella  convinzione  di esserne  proprietario. Perciò , l’art. 1148 c.c. distingue:  il possessore  di buona  fede  fa propri  i frutti  naturali separati fino al giorno della  domanda giudiziale  di restituzione e i frutti  civili maturati fino allo stesso  giorno;  il possessore  di mala  fede  deve,  invece,  restituirli, o restituire l’equivalente in danaro dei frutti  naturali.  Va  notato che il possessore  di buona  fede  risponde,  a norma  dell’art.  1148 c.c., dei frutti  percipiendi, con l’uso della  normale  diligenza,  dal giorno  della  domanda giudiziale  a quello della  restituzione della  cosa.  Ev  evidente la ratio della  norma,  la quale  mira ad  evitare  che il possessore, sapendo di dover  restituire la cosa  con  i frutti percepiti dopo  la domanda giudiziale,  ne  abbandoni l’utilizzazione,  con danno per  il proprietario. Questa essendo  la sua  giustificazione, si dovrà ritenere che corrispondente norma  valga per  il possessore  di mala  fede (consapevole ab  initio  del proprio dovere  di restituzione), il quale  risponde, oltre  che dei frutti  percetti, anche  di quelli  percipiendi con  l’uso dell’ordinanza diligenza.  Il proprietario non  deve  trarre profitto  dagli investimenti finanziari  altrui:  al possessore  di mala  fede  è  dovuto  il rimborso delle  spese  incontrate per  la produzione e il raccolto  (art.  1149 c.c.). Il possessore, inoltre,  può  avere  eseguito  riparazioni della  cosa  o averle  apportato miglioramenti. Ogni  possessore, anche  di mala  fede,  ha diritto  al rimborso delle  spese  fatte  per  le riparazioni straordinarie (escluse, cioè , quelle  relative  all’ordinaria manutenzione della  cosa);  e il relativo  debito  del proprietario è  considerato debito  di valuta  (v. debito,  possesso di valuta). Al  possessore  di buona  fede  è , inoltre,  riconosciuto dall’art.  1150 c.c. il diritto  ad  una  indennità  pari  al maggior  valore  che la cosa  ha conseguito per  effetto  dei miglioramenti apportati, mentre al possessore  di mala  fede  spetta  solo  la minor  somma  fra l’aumento di valore  della  cosa  e l’importo  delle  spese  affrontate. Si tratta, in questi  casi, di debito  di valore (v. debito,  possesso di valore),  per  la cui determinazione occorre  tenere conto  della svalutazione monetaria fino alla  data  della  liquidazione. Al  possessore  di buona  fede  spetta,  a tutela  delle  proprie ragioni,  il diritto  di ritenzione  (v.): egli può  rifiutarsi  di restituire la cosa  al proprietario fino a quando questi non  gli abbia  corrisposto le indennità  dovutegli  (art.  1152 c.c.). Vale  la regola secondo  la quale  il creditore, che detenga una  cosa  del debitore, può rifiutarsi  di restituirla fino a quando il suo credito  non  sia stato  soddisfatto; e  il creditore può , se si tratta di ritenzione privilegiata (v. ritenzione,  diritto di possesso), rifiutarsi  di restituire la cosa  anche  se questa  sia stata  nel frattempo alienata e la consegna  gli venga  chiesta  dal terzo  acquirente. Al  diritto  di ritenzione può  accompagnarsi un privilegio  (v.) del creditore sulla cosa (cosiddetta ritenzione privilegiata), che gli permette di soddisfarsi  sulla cosa ritenuta con  preferenza rispetto  agli altri  creditori;  ma può  anche  esserci diritto  di ritenzione senza  privilegio,  cosiddetta ritenzione semplice  (v. ritenzione,  diritto  di possesso): è  il caso  del diritto  di ritenzione spettante al possessore  di buona  fede  di bene  immobile  finche´  non  gli siano  corrisposte le indennità  dovutegli.  Al  possessore  di bene  mobile  spetta,  invece,  il privilegio  di cui all’art.  2756, comma  3o, c.c., avendo  effettuato spese  relative  alla  conservazione e al miglioramento della  cosa; il suo diritto  di ritenzione è , perciò , opponibile ai terzi  acquirenti. V. anche  acquisto,  possesso a non  domino;  usucapione.   
 possesso e invenzioni industriali:  v. oggetto del possesso. 
 possesso e ipoteca:  v. ipoteca, possesso  e possesso. 
 possesso e modelli industriali:  v. oggetto del possesso. 
 possesso e opere dell’ingegno:  v. oggetto del possesso. 
 possesso e segni distintivi:  v. oggetto del possesso. 
 possesso e servitus non aedificandi:  v. possesso minore. 
 possesso indiretto:  v. possesso mediato. 
 interversione del possesso:  v. interversione  del possesso. 
 possesso mediato:  è  il possesso esercitato per  mezzo  di altri  che abbia  la detenzione della cosa  posseduta (art.  1140, comma  2o, c.c.). 
 possesso minore:  è  il possesso di diritti  reali  diversi  dal diritto  di proprietà  (v. anche oggetto del possesso). 
 oggetto  del possesso:  possesso sono  le cose  (art.  1140 c.c.), allo  stesso  modo  in cui sono  le cose  l’oggetto  della  proprietà  (v.) (art.  832 c.c.) e degli  altri  diritti reali (v.). Il  concetto di cosa  è  equivalente al concetto di bene  di cui all’art.  810 c.c., ed include  le energie  suscettibili  di valutazione economica, che sono  beni mobili  per  l’art. 814 c.c.. Tutto  ciò  che può  formare oggetto  di proprietà può , in linea  di principio,  formare oggetto  di possesso, incluse  l’acqua  sorgiva  e le energie.  Non  è  però  sempre  vera  la reciproca, come  risulta  dall’art.  1145 c.c.: i beni  demaniali non  possono  formare oggetto  di proprietà  privata,  ne´ di possesso utile  ai fini dell’acquisto della  proprietà ; il loro  possesso è  tuttavia  tutelato,  nei rapporti fra privati,  con  le azioni  possessorie.  Su queste  basi risulta ammissibile  la tutela  possessoria delle  bande  di frequenza, quantunque l’etere  sia bene  pubblico:  ammissibile  nei rapporti fra private  emittenti, non nei rapporti fra queste  e l’emittente pubblica.  Più  complesso  problema sollevano  i beni  immateriali (v. beni, possesso immateriali),  quali  i segni  distintivi (ditta,  insegna,  marchi),  le opere  dell’ingegno  e le invenzioni  e i modelli industriali. Il problema non  è  sollevato  tanto  dell’esigenza  di apprestare una tutela  possessoria dei beni  immateriali, giacche´  gli specifici  strumenti di tutela dei quali  godono  appaiono sufficienti  a tale  riguardo,  come  è  del resto  testimoniato dalla  assenza  di una  casistica  giurisprudenziale. Emerge, piuttosto, dalle  esigenze  connesse  alla  circolazione  di questi  beni,  ed  è  tanto più  avvertibile  quanto più  i beni  immateriali e, soprattutto, i segni  distintivi tendono a presentarsi quali  valori  di scambio,  negoziati  allo  stesso  modo  dei beni  materiali. Si spiega  così  perche´  la giurisprudenza abbia  talora  ritenuto che i beni  immateriali siano  suscettibili  di possesso e che si possono acquistare mediante il possesso i diritti  su di essi. Resta  però  la non  controvertibile considerazione che il potere di fatto  sul bene  immateriale non  ha  il medesimo significato  socialmente univoco  del potere di fatto  sul bene materiale: il primo  non  è  altrettanto esclusivo  del secondo  e non  è , come  il secondo,  incompatibile con  un  potere di fatto  concorrente. L’acquisto mediante il possesso finirebbe, perciò , con  il rendere insicura  la circolazione  dei beni immateriali, mentre rende  sicura  quella  delle  cose.  I beni  immateriali compongono una  categoria  a se´  stante,  distinta  dai beni  cui allude  l’art. 810  c.c., e sono  sottoposti ad  una  propria disciplina,  diversa  da  quella  alla  quale sono  sottoposte le cose  in senso  tecnico.   
 perdita del possesso:  la possesso quando non  è  conseguenza dell’altrui  acquisto,  originario o derivativo (v. acquisto,  possesso del possesso)  può  avvenire  in tre  modi:  a) lo smarrimento della  cosa  che è  perdita del corpus  possessionis,  ma non ancora  perdita del possesso, che perdura fino a quando permane la ragionevole possibilità  del ritrovamento, e sempre  che gli altri  non  se ne  siano impossessati, facendone oggetto  di spoglio;  b)  l’abbandono o derelizione della  cosa  che è  perdita, oltre  che del corpus,  dell’animus  possidendi: comporta anche  perdita della  proprietà  oltre  che del possesso, quando è  consentita la rinuncia  alla  proprietà  o quando la rinuncia  non  è  sottoposta a forma vincolata;  altrimenti, come  accade  per  gli immobili  abbandonati, comporta solo  perdita del possesso, e la perdita della  proprietà  seguirà  se e in quanto altri se ne  sia reso  proprietario con  l’usucapione  (v.) ventennale; c) l’appropriazione da  parte  del detentore, che non  procura a questo, mancando i requisiti  dell’interversione, il possesso della  cosa,  ma fa perdere il possesso al possessore  mediato.  
 possesso  pieno:   è  il  possesso  corrispondente  al  diritto  di  proprietà.  
 prova del possesso:  possesso e detenzione  (v.) sono,  concettualmente, situazioni  ben differenziate. Ma  altro  è  la loro  concettuale distinzione,  altro  la prova  (v.), in concreto,  che una  data  situazione di fatto  sia possesso oppure detenzione. Al riguardo vige una  presunzione: chi esercita  il potere di fatto  sulla cosa, ossia ne  è  materiale detentore, si presume possessore, si presume,  cioè, il suo animo  di possedere, salvo  che non  si provi  che egli ha  cominciato a   esercitarlo come  semplice  detentore (art.  1141, comma  1o, c.c.), e cioè  sulla base  di un  titolo  (locazione, trasporto ecc.) che implica  il riconoscimento dell’altrui  possesso. La  prova  del corpus  possessionis  può  essere  data  con  qualsiasi mezzo,  anche  per  presunzioni (v. presunzione); ma deve,  in ogni  caso, vertere  sulla situazione di fatto  nella  quale  il possesso consiste.  La  giurisprudenza considera inidonei  a far presumere il possesso il solo  titolo  di acquisto  del bene (come,  ad  esempio,  il contratto di compravendita, che si considera utilizzabile  solo  ad  colorandam possessionem) oppure le sole risultanze catastali.  La  prova  presuntiva si può  considerare, tuttavia, raggiunta quando concorrono l’uno  e le altre,  e la conclusione  appare sorretta dall’art.  567, comma  2o, c.p.c., che addossa  questa  duplice  prova  al creditore che voglia sottoporre a vendita  forzata  un  immobile  del debitore (il possesso ventennale, così presuntivamente provato,  equivale  ad  acquisto  della  proprietà  per usucapione). A  diversi  effetti  conta  la durata del possesso. Per  la prova  di questa durata il possessore  è  assistito  da  due  presunzioni: a) chi prova  di essere possessore  attuale e, al tempo  stesso,  prova  di avere  posseduto anche  in tempo  più  remoto si presume abbia  posseduto anche  nel tempo  intermedio (art.  1142 c.c.), mentre incombe  sulla parte  interessata l’onere  di provare (v. onere,  possesso della prova)  che il possesso è  mancato,  per  un  tempo  più  o meno  lungo, nel  periodo intermedio; b)  chi prova  il possesso attuale e, al tempo  stesso,  il titolo in forza  del quale  possiede  (ad  esempio,  il contratto di acquisto dell’immobile) si presume che abbia  posseduto dalla  data  del titolo  (art. 1143 c.c.). Secondo  una  giurisprudenza, quest’ultima norma  alluderebbe ad un  valido  titolo  a domino,  già  traslativo  della  proprietà , e non  opererebbe  agli effetti  dell’usucapione; in dottrina si discute  se davvero  occorra  un titolo  a domino  o non  basti,  come  sembra  più  convincente, un  qualsiasi atto, valido  o nullo,  diretto al trasferimento del diritto  corrispondente al possesso, anche  un  titolo  a non  domino:  il titolo  ha  qui  la medesima  funzione,  agli effetti  probatori del possesso (anche  ad  usucapionem), del possesso remoto ex art.  1142 c.c..  
 possesso qualificato di titoli di credito:  v. legittimazione,  possesso attiva; titoli di credito. 
 quasi possesso:  v. quasi possesso. 
 possesso senza proprietà:   v. usucapione. 
 possesso solitario:  è  il possesso corrispondente al diritto  di proprietà  solitaria (v.).  V. anche  interversione  del possesso. 
 possesso solo  animo:  il possesso si consegue  corpore et  animo,  ossia  con  la materiale detenzione  (v.) e con  l’intenzione  di comportarsi come  proprietario (animus possidendi), ma si conserva  solo  animo:  non  si perde  il possesso per  il fatto  di avere  perso  la detenzione della  cosa  fino a quando permane la possibilità  di ricuperarla, e sempre  che la cosa  non  sia entrata nella  materiale disponibilità  di altri.   
 successione  nel possesso:  sia agli effetti  della  durata del possesso sia agli effetti  della qualificazione del possesso (se  di buona  fede  o di mala  fede)  vale  il principio secondo  il quale  il possesso dell’erede continua quello  del defunto (e  i due  periodi si sommano), conservandone l’originaria  qualificazione. Ev  la possesso possesso: se il possesso del defunto era  di buona  fede,  resta  tale  quello  dell’erede,  anche  se questi  sia personalmente in mala  fede;  e, se era  di mala  fede  nel defunto,  continua ad   esserlo  nell’erede (art.  1146, comma  1o, c.c.). V. anche  accessione, possesso del possesso.   
 turbative del possesso:  v azione,  possesso di manutenzione, azione,  possesso di reintegrazione. 
 tutela del possesso:  v. difesa del possesso. 		
			
| Positivismo | | | Possessore |