qualificazione del contratto:  è  l’operazione mirante ad  identificare l’astratto tipo  legale cui sussumere  il concreto contratto, in vista dell’assoggettamento del secondo  alla  disciplina  particolare del primo.  La  Cassazione suole scomporre l’operazione in due  fasi, l’una  consistente nell’individuazione della  comune  intenzione delle  parti,  l’altra  concernente l’inquadramento della  fattispecie  nello  schema  legale  corrispondente. Questa seconda  fase viene  ulteriormente scomposta  in descrizione del modello  della  fattispecie giuridica  e giudizio  sulla rilevanza  giuridica  qualificante degli  elementi di fatto  in concreto accertati.  Il tutto  per  concludere che solo  la prima  fase è di pertinenza esclusiva  del giudice  di merito;  mentre la seconda  è suscettibile di riesame  in sede  di legittimità  anche  per  ciò  che attiene alla rilevanza  giuridica  qualificante. Un  problema di qualificazione sorge  in molteplici  ordini di casi. Anzitutto quando nessun  nomen  iuris  è  fornito  dalle  parti,  come  nel caso  di contratto tacito.  Tizio, ad  esempio,  ha  lavorato  nell’impresa  di Caio: vi ha  lavorato  quale  dipendente (v. lavoro,  qualificazione subordinato), come  sostiene Caio,  oppure come  socio  d’opera  (v. socio, qualificazione d’opera),  come  pretende Tizio, reclamando la sua  partecipazione agli utili dell’impresa? Qui  il problema di qualificazione è  tutto  rimesso  al giudice,  che lo risolverà  attribuendo rilevanza  giuridica qualificante agli elementi di fatto  dedotti dalle  parti.  Talvolta  la stessa  legge  offre  un  criterio  per  identificare l’elemento  di fatto  qualificante: così  l’art.  2223 c.c. impone  la qualificazione qualificazione, come  vendita  (v.) o come  contratto d’opera  (v. contratto,  qualificazione d’opera)  con  materia  fornita  dal prestatore d’opera,  a seconda che risulti  che le parti  abbiano avuto  prevalentemente in considerazione la  materia  oppure l’opus. Un  problema di qualificazione sorge,  in secondo  luogo,  quando c’è  uno  scarto  fra il nomen  iuris  dato  dalle  parti  al contratto e l’effettivo contenuto di questo:  le parti,  ad  esempio,  hanno  scritto  di volere  l’una vendere e l’altra  comperare l’edificio che sarà  costruito dalla  seconda;  ma la seconda  risulta  obbligata  verso  la prima  ad  eseguire  la costruzione. Sicche´  il giudice  supererà  il significato  letterale delle  parole  usate  dai contraenti e deciderà  che non  si tratta di vendita  (di  cosa  futura) (v. vendita,  qualificazione di cose future),  bensì  di appalto  (v.),  applicando di conseguenza le norme  relative  a questo  tipo  contrattuale, anziche´  quelle  della  vendita.  Maggiore  gravità  il problema di qualificazione presenta quando il concreto contratto oppone resistenza alla sua  riconduzione ad  un  dato  tipo  legale:  o per  la presenza in esso  di elementi estranei alla  fattispecie  del tipo  legale  o per  la contemporanea presenza di elementi caratterizzanti più  tipi  legali. In  questo  ordine  di casi l’operazione di qualificazione qualificazione concreto può  condurre ad  esiti  clamorosi,  addirittura drammatici. Una  s.r.l. (v.),  con  clausola  statuaria che prevede una  illimitata partecipazione dei soci alle  perdite della  società,  è  stata  qualificata  come s.n.c. (v.); altra  società  di capitali (v.),  con  clausola  statutaria che vieta  la distribuzione degli  utili e ne  impone  la devoluzione a fini ideali,  è  stata dalla  giurisprudenza qualificata  come  associazione  (v.) e, potendo le associazioni  conseguire il riconoscimento della  personalità  giuridica  solo  per atto  amministrativo (art.  12 c.c.), come  associazione non  riconosciuta (v. associazione,  qualificazione non  riconosciuta),  con  la conseguenza (ecco  l’esito drammatico dell’operazione di qualificazione) che i loro  amministratori si troveranno a rispondere personalmente delle  obbligazioni  assunte,  a norma  dell’art.  38  c.c.. L’esito,  per  quanto clamoroso, è  ineccepibile:  il contratto associativo con  scopo  ideale  è  associazione e non  società ; e la responsabilità  personale di coloro  che hanno  agito  in nome  e per  conto  dell’associazione non riconosciuta attiene al contenuto legale  inderogabile del contratto. Analoghi esiti  drammatici l’operazione di qualificazione può  avere  nel caso  delle  società  di comodo  (v. società , qualificazione di comodo). Sempre  in questo  ordine  di casi l’operazione di qualificazione ammette una  soluzione  ulteriore rispetto  alla  scelta  di uno tra  i diversi  tipi  contrattuali aventi  una  disciplina  particolare: ammette, a norma  dell’art.  1322, comma  2o, c.c., la qualificazione del contratto come  contratto atipico (v. contratto,  qualificazione atipico).  Ev  però  un  fatto  che il c.c., mentre pone  le condizioni  di validità  dei contratti atipici,  che debbono essere  diretti  a realizzare interessi  meritevoli  di tutela  secondo  l’ordinamento giuridico,  non offre  criteri  per  la loro  disciplina.  Ad  essi sono  certamente applicabili  le norme  sui contratti in generale (art.  1323 c.c.); ma è  altrettanto certo  che queste  non  possono  da  sole soddisfare  le esigenze  di disciplina  normativa del contratto atipico.  Ciò  fa comprendere perche´  la nostra  giurisprudenza abbia  imboccato  una  drastica,  ma non  condivisibile,  strada,  che l’ha condotta ad  approdare a questo  duplice  principio:  a) la qualificazione di un  contratto nominato non  è  alterata dalla  presenza di elementi estranei a quelli  che caratterizzano lo schema  tipico,  ove  gli stessi rimangono preminenti, con  la conseguenza che per  la sua  regolazione occorre  far capo  alla  disciplina dello  schema  negoziale  prevalente; b)  un  contratto nel quale  siano  commisti e combinati elementi di due  tipi  contrattuali potrà  essere  qualificato  come contratto misto,  ma andrà  sottoposto alla  disciplina  di uno  dei due  tipi  di  contratto, in base  al criterio  della  prevalenza degli  elementi distintivi dell’una  o dell’altra  figura  negoziale.  A  questo  modo,  il contratto traslativo della  proprietà  di un  immobile  contro  un  corrispettivo costituito  in parte  da una  somma  di danaro e in parte  dalla  esecuzione di un’opera viene qualificato  come  contratto misto  di vendita  e di appalto, ma viene  al tempo stesso  sottoposto interamente alle  norme  sulla vendita,  in base  alla valutazione di preminenza del carattere traslativo  del contratto: si esclude, in particolare, l’applicazione  dell’art.  1667 c.c. e del relativo  termine di prescrizione. Analogamente, l’acquisto  di una  autovettura nuova  contro  un corrispettivo costituito  in parte  da  una  somma  di danaro e in parte  dal trasferimento di una  autovettura usata  è  qualificato  come  contratto misto  di vendita  e di permuta, ma è  sottoposto alle  sole norme  sulla vendita;  se la vettura usata  risulta  altrui  o viziata,  si attribuisce al venditore della  vettura nuova  il diritto  all’intero  prezzo.  C’è  una  evidente contraddizione fra la qualificazione qualificazione come  contratto con  causa  mista  e la sua  sottoposizione alla  disciplina relativa  alla  causa  giudicata  prevalente. Si finisce, a questo  modo,  con  il frustrare lo stesso  principio  di atipicità , giacche´  contratto complesso  e contratto misto  si riducono sempre  a contratto tipico,  secondo  la regola della  prevalenza; si adotta un  criterio  lesivo dell’autonomia contrattuale  (v.), che per  l’art. 1322, comma  2o, c.c., è  libertà  di concludere contratti diversi da quelli  aventi  una  disciplina  particolare. Un  criterio  rispettoso dell’autonomia contrattuale è  quello  della  integrazione, anziche´  della prevalenza, delle  discipline  relative  alle  diverse  cause  che si combinano entro  il contratto misto.  Nel  contratto misto  di vendita  e appalto, alla  prestazione del compratorequalificazioneappaltatore si addice  la disciplina  propria dei vizi dell’opera, anche  sotto  l’aspetto  del termine di prescrizione dell’azione di cui all’art.  1667 c.c.; nel contratto misto  di vendita  e permuta, alla prestazione del compratore della  vettura nuova,  che ha  consegnato un  usato altrui  o viziato,  si addice  l’art. 1553 c.c.: egli non  potrà  essere  condannato al pagamento dell’intero  prezzo  della  vettura nuova,  ma ad  una  somma  di danaro pari  al valore  contrattualmente assegnato all’usato.  Anche  il c.c., del resto,  suggerisce  il criterio  dell’integrazione allorche´  detta,  all’art.  1677 c.c., che all’appaltoqualificazionesomministrazione (v. appalto,  qualificazione somministrazione) si applicano, in quanto compatibili,  le norme  sull’appalto  e quelle  sulla somministrazione. Analoghe valutazioni possono  essere  formulate per  i contratti associativi  atipici  (v. associazione,  qualificazione atipica), che si collocano  in posizione  intermedia fra l’associazione  (v.) (della  quale  presentano l’elemento dello  scopo  non  lucrativo) e la società  (v.) (della  quale  hanno  gli elementi della  struttura chiusa  o del voto  rapportato alla  quota  di partecipazione al contratto, come  nel caso  dei consorzi  di urbanizzazione) (v. consorzi,  qualificazione di urbanizzazione). Esse  vanno  ripetute anche  per  il caso, poc’anzi  menzionato, della  qualificazione della  s.r.l. come  associazione non  riconosciuta: qui  non  si potrà , sulla base  del criterio  della  prevalenza, assoggettare il rapporto a tutte  le norme  sulle associazioni;  si dovrà  qualificare  il contratto come  contratto associativo  atipico  e, secondo  il criterio  dell’integrazione, salvare  quelle  fra le norme  sulla società  (come  le norme  relative  al voto per  quote) che risultano confacenti  all’atipico  rapporto posto  in essere  dalle parti.    
 qualificazione della disposizione  testamentaria:  il problema di qualificazione, se a titolo  universale  o a  titolo  particolare, trova  un  criterio  di soluzione  nell’art.  588 c.c.. Il primo comma  adotta un  criterio  sostanziale,  fondato sulla ricerca  della  volontà  del testatore, e non  letterale, basato  sulle espressioni usate.  Le  disposizioni testamentarie, vi è  stabilito,  qualunque sia l’espressione o la denominazione usata  dal testatore, sono  a titolo  universale  e attribuiscono la qualità  di erede,  se comprendono l’universalità  o una  quota  dei beni  del testatore; altrimenti sono  a titolo  particolare e attribuiscono la qualità  di legatario. Può  accadere che il testatore, anziche´  indicare  una  frazione  aritmetica del suo patrimonio, faccia riferimento a determinati beni  o a un complesso  di beni,  pur  avendo  inteso  assegnarli  come  quota  del suo patrimonio (art.  588, comma  2o, c.c.). La  ricostruzione di una  sua  volontà  in tal  senso  pone,  a volte,  ardui  problemi di interpretazione del testamento (v. testamento, interpretazione del qualificazione): è  certo  a titolo  universale  la disposizione  con  cui si lasciano  ad  una  persona tutti  gli immobili  oppure tutti  i beni  mobili; ugualmente, se si lascia un  bene  o un  complesso  di beni  (ad  esempio, l’azienda)  il cui valore  è  pari  o, addirittura, supera  il valore  del restante patrimonio, si deve  da  ciò  dedurre che si sia voluto,  precostituendo norme per  la divisione  (v.),  istituire  un  erede  per  una  quota  corrispondente al valore  dei beni  lasciatigli.  Se, invece,  si assegna  un  bene  il valore  del quale corrisponde ad  una  piccola  frazione  dell’intero  asse  ereditario, ben difficilmente il beneficiario potrà  essere  qualificato  come  erede (occorrerebbe, ad  esempio,  che egli venisse  indicato  nel testamento come tenuto a concorrere nel pagamento dei debiti  ereditari). 		
			
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