Enciclopedia giuridica

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Contratti



contratti ad evidenza pubblica: modello procedimentale applicabile ai contratti stipulati dallo Stato e da alcuni enti pubblici. La struttura del contratto ad evidenza pubblica si caratterizza per la coesistenza di una procedura di conclusione negoziale e di procedimenti amministrativi di controllo tesi ad evidenziare le ragioni di pubblico interesse che inducono la P.A. a contrattare. Possono distinguersi diverse fasi fondamentali della sequenza procedimentale: la deliberazione, la conclusione, l’approvazione, l’esecuzione ed i relativi controlli. Presupposto per la realizzazione di qualsiasi negozio da parte della P.A. è la deliberazione a contrarre da parte degli organi qualificati. Questa è preceduta da un parere (del Consiglio di Stato, se contraente è lo Stato, da altri organi consultivi, se contraenti sono altri enti pubblici) ed è sottoposta ad un controllo dell’autorità tutoria. La deliberazione a contrarre predetermina il contenuto del futuro contratto, salvo il suo importo, e legittima l’azione dell’organo esecutivo qualificato alla rappresentanza dell’ente. Il progetto di contratto è un atto unilaterale della P.A. e può consistere o in uno schema di contrattocontrattitipo, che il privato può accettare o respingere in toto, o in uno schema ad hoc per un determinato contratto, elaborato eventualmente sulla base di informali contratti con l’altro contraente. La deliberazione, nel fissare il contenuto del contratto, deve attenersi, fra l’altro, ai capitolati d’oneri. (Mestichella).

contratti a esecuzione continuata: sono ad esecuzione continuata o periodica i contratti che obbligano le parti, o una di esse, ad una prestazione continuativa o che deve essere periodicamente ripetuta nel tempo. Continuativa o periodica può essere una prestazione di dare: così la somministrazione (v.) (art. 1559 c.c.) differisce dalla vendita (v.) per il fatto che il somministrante si obbliga ad una prestazione di dare continuata nel tempo (il flusso continuativo della erogazione di energia elettrica o di acqua o di gas) o a scadenze periodiche (come nel contratto con il quale il produttore industriale si obbliga a rifornire i negozi di vendita al pubblico). Può essere una prestazione di fare: è il caso del contratto di lavoro (v.), che obbliga il lavoratore a svolgere continuativamente la propria attività alle dipendenze del datore di lavoro; dell’appalto di servizi (manutenzione periodica di impianti industriali, pulizie periodiche di locali) e così via. Può essere, infine, una prestazione di non fare, come nel caso del contratto che obbliga un imprenditore a non fare concorrenza ad un altro imprenditore (v. concorrenza, patto di non contratti). Si tratta di contratti la cui esecuzione si protrae nel tempo, e a volte per molti anni: li si definisce, sotto questo aspetto, come contratti di durata. V. anche contratto, cessione del contratti.

contratti a esecuzione differita: sono contratti contratti quei contratti il cui adempimento viene eseguito con un apprezzabile intervallo di tempo rispetto alla conclusione degli stessi. V. anche contratto, cessione del contratti.

contratti a esecuzione istantanea: sono tali i contratti il cui adempimento si esaurisce, per ciascuna delle parti, nel compimento di un solo fatto simultaneo alla conclusione del contratto e senza apprezzabile intervallo di tempo rispetto ad essa. Così, la vendita (v.) si esegue, da parte del venditore, con il solo fatto di consegna della cosa e, da parte del compratore, con il solo fatto del pagamento del prezzo; e sono fatti che, normalmente, si compiono nella medesima unità di tempo della conclusione del contratto (si firma il contratto di vendita di un appartamento e, contestualmente, si consegnano le chiavi dell’appartamento venduto e si paga il prezzo). V. anche contratto, cessione del contratti.

contratti a esecuzione periodica: v. contratti a esecuzione continuata.

contratti aleatori: sono i contratti nei quali un contraente si obbliga ad una prestazione, ma è incerto, al momento della conclusione del contratto, se gli sarà dovuta la controprestazione; accetta, perciò , il rischio di dover eseguire la propria prestazione senza ricevere nulla in cambio. Il contratto può essere aleatorio per sua natura, come il contratto di assicurazione (v.) (art. 1882 c.c.), o per volontà delle parti, come può essere la vendita di cosa futura (v.) (art. 1472, comma 2o, c.c.). Nell’assicurazione una parte, l’assicurato, si obbliga a pagare somme periodiche all’assicuratore, dette premi; ma l’assicuratore gli dovrà la controprestazione, ossia l’indennizzo, solo se si verificherà l’evento coperto dall’assicurazione, ossia il sinistro. La vendita di cosa futura può essere voluta dalle parti come vendita commutativa (v. vendita, contratti di cose future) (o emptio rei speratae) oppure come vendita aleatoria (o emptio spei): il compratore, nel secondo caso, si obbliga a pagare il prezzo anche nell’eventualità che la cosa non venga ad esistenza. I contratti contratti sono a prestazioni corrispettive, e ad essi si applicano le norme sulla risoluzione (v. risoluzione del contratto) per inadempimento o per impossibilità sopravvenuta della prestazione; si distinguono, tuttavia, dai contratti commutativi (v.) e, a differenza di questi, non sono sottoposti alle norme sulla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. V. anche assicurazione, contratto di contratti; vendita di cosa futura.

contratti associativi agrari: sono i contratti per mezzo dei quali proprietario e coltivatore di un fondo danno vita ad un’impresa agricola comune, nella quale il primo conferisce la proprietà del terreno e il secondo il lavoro manuale proprio o della propria famiglia. Nel novero dei contratti contratti rientrano mezzadria, (v.), colonia parziaria (v.) e soccida (v.). Secondo il c.c. il proprietario aveva poteri di direzione dell’impresa comune e il coltivatore doveva conferire la metà dei prodotti agricoli. La l. n. 756 del 1964 ha vietato la stipulazione di nuovi contratti contratti, considerati non rispondenti alle esigenze di sviluppo agricolo del paese, nonche´ socialmente iniqui. In seguito (l. n. 203 del 1982) è stata disposta la conversione dei contratti contratti in affitto, su richiesta di una delle parti.

contratti astratti: i contratti contratti sono quelli diretti a produrre effetti per sola volontà delle parti, indipendentemente dalla esistenza di una causa (v.), sia essa una causa tipica (v.), corrispondente a un tipo contrattuale previsto dalla legge (vendita, mutuo ecc.), oppure una causa atipica (v.) non prevista dalla legge, ma giudicabile come idonea a soddisfare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322, comma 2o, c.c.). Non sono ammessi nel nostro ordinamento, che eleva la causa a requisito del contratto (art. 1325 n. 2). Coerente con questo generale principio è l’art. 1988 c.c.: la semplice promessa di pagamento o il semplice riconoscimento del debito (v. promessa, contratti di pagamento e ricognizione di debito) sono dichiarazioni (unilaterali) astratte, dalle quali non emerge la causa in forza della quale si promette il pagamento o ci si riconosce debitori (se si tratti della restituzione di un mutuo, del prezzo di una vendita e così via). Perciò la dichiarazione ha solo efficacia processuale, dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale, cioè la causa in forza della quale si è promosso il pagamento o riconosciuto il debito. Si attua una inversione dell’onere della prova (v. onere, contratti della prova): l’esistenza di questo si presume fino a prova contraria. Si suole parlare, a questo riguardo, di astrazione solo processuale della causa: anziche´ essere il creditore, secondo i principi generali sull’onere della prova, a dover provare il titolo costitutivo del credito, sarà il debitore, per sottrarsi al pagamento, a doverne provare l’inesistenza. Perciò la dichiarazione di Caio: prometto di pagare un milione a Tizio il tale giorno dispensa Tizio dall’onere di provare il fatto o l’atto generatore del suo credito, che può essere superata dal promittente con la prova che il credito non è mai sorto, che è sorto da contratto nullo, che è stato già soddisfatto da un terzo, e via di seguito. L’astrazione processuale è legislativamente ammessa per la promessa di pagamento e per la ricognizione di debito. La si ritiene, invece, non ammissibile per il riconoscimento del diritto reale: fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, come quello di cui all’art. 969 c.c., relativo al riconoscimento, da parte dell’enfiteuta (v. enfiteusi), della proprietà spettante al concedente, anziche´ essere il creditore, secondo i principi generali sull’onere della prova, a dover provare il titolo costitutivo del credito, sarà il debitore, per sottrarsi al pagamento, a doverne provare l’inesistenza. Perciò la dichiarazione di Caio: prometto di pagare un milione a Tizio il tale giorno dispensa Tizio dall’onere di provare il fatto o l’atto generatore del suo credito, che può essere superata dal promittente con la prova che il credito non è mai sorto, che è sorto da contratto nullo, che è stato già soddisfatto da un terzo, e via di seguito. La distinzione fra causalità e astrattezza non va confusa, come pure talvolta accade di constatare, con quella che si pone fra contratto accessorio e contratto autonomo. Si insegna che la procura (v.) è un negozio di gestione; ma il concetto di astrattezza è qui usato impropriamente, volendosi piuttosto alludere al fatto che la procura (che pure ha una propria causa) non è atto unilaterale accessorio al sottostante contratto di mandato (e il primo resta valido anche se è invalido il secondo). Tipico contratto accessorio è la fideiussione (v.), esposta alle vicende che colpiscono il contratto costitutivo del debito principale (art. 1939 c.c.); ma ancora si equivoca quando si definisce astratto l’atipico contratto autonomo di garanzia (v. contratto, contratti autonomo di garanzia); laddove si deve piuttosto dire che esso, a differenza della fideiussione, non è contratto accessorio. Al collegamento economico fra più contratti non corrisponde, in questi casi, un collegamento giuridicamente rilevante. V. anche astrazione dalla causa.

contratti atipici: sono quei contratti che non corrispondono a nessuno dei tipi contrattuali previsti dal c.c. o da altri fonti normative. I contratti contratti sono validi purche´ siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322, comma 2o, c.c.). La concorde volontà delle parti è requisito necessario, ma non ancora sufficiente, del contratto atipico. Occorre altresì una causa (v.), che l’art. 1325, n. 2 c.c. eleva a ulteriore requisito essenziale dei contraenti e, per il richiamo di cui all’art. 1324 c.c., degli atti unilaterali. I contratti tipici, proprio perche´ previsti e regolati dalla legge, hanno tutti una causa (cosiddetta causa tipica); e per essi non si pone il problema, già risolto positivamente dalla legge, di accertare la ricorrenza o no di una funzione economicocontrattisociale. Considerati sotto questo aspetto, i contratti tipici si presentano come altrettanti modelli o schemi precostituiti di affari o di operazioni economiche, secondo i quali i privati possono, se vogliono, regolare i loro reciproci interessi. Per ciascuno di questi modelli di contratto il trasferimento del diritto e l’assunzione dell’obbligazione sono direttamente giustificati dalla legge. Il problema della causa si pone invece per i contratti contratti o innominati, non previsti dalla legge. Per essi il giudice dovrà accertare, in applicazione del criterio dell’art. 1322, comma 2o, c.c., se siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico; dovrà , in altre parole, accertare se nel modello di operazione economica, non previsto dalla legge, al quale le parti hanno conformato il regolamento dei propri interessi, ricorra il requisito della causa (cosiddetta causa atipica). Il giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2o, c.c., assume a questo modo la funzione di vaglio per l’immissione di schemi contrattuali atipici entro l’ordinamento giuridico. Ev così riconosciuto un controllo giudiziario sull’uso che i privati fanno della propria autonomia contrattuale (v.). Ed è un controllo che il giudice non esercita solo in senso negativo, per accertare se si tratta di interessi illeciti, contrari all’ordinamento giuridico (è il caso della causa illecita, previsto dall’art. 1343 c.c.); ma che esercita anche in senso positivo, per accertare se gli interessi perseguiti dalle parti siano meritevoli di tutela (e potrà non ritenerli tali anche se si tratta di interessi leciti) e, perciò , se il contratto atipico abbia una causa o se questa, invece, manchi. Il giudice, inoltre, deve qui giudicare secondo l’ordinamento giuridico: secondo il diritto, cioè , e non secondo equità ; si pronuncerà sulla meritevolezza degli interessi perseguiti avendo le norme che regolano casi simili o materie analoghe o, in mancanza, secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico (art. 12, comma 2o, prel.). Un caso significativo è quello del biancosegno (v.), ossia che affida ad un terzo l’incarico di provvedere al suo riempimento. Che l’interesse in tal caso perseguito dalle parti sia meritevole di tutela risulta da una norma dettata per una dichiarazione unilaterale, quale è quella che, nella legge cambiaria (art. 14), regola l’ipotesi della cambiale in bianco. Questo potere di controllo dell’autonomia contrattuale non è attribuito al giudice a protezione di interessi pubblici. Spetta all’autorità governativa, non all’autorità giudiziaria, provvedere al riguardo. Ev riconosciuto, invece, a protezione degli stessi contraenti: per tutelarli contro il rischio di atti capricciosi o imponderati e, soprattutto, a protezione del contraente più debole, perche´ le dichiarazioni prive di causa generano il sospetto che anche il consenso al vincolo giuridico sia difettoso. Nella maggior parte i contratti contratti sono normativamente tali, perche´ non regolati dalla legge, ma sono socialmente tipici, ossia corrispondono a modelli contrattuali uniformi largamente praticati nel mondo degli affari. Spesso si tratta di modelli a grande diffusione internazionale come accade per leasing (v.), factoring (v.), franchising (v.), performance bond (v.) ecc.. In questi casi il giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti è influenzato dalla uniformità internazionale del modello contrattuale. Per quanto il nostro giudice debba, a rigore, esprimere quel giudizio sulla base del nostro ordinamento giuridico, ben difficilmente egli riterrà invalido, alla stregua di questo, un modello contrattuale ovunque riconosciuto come valido. Egli sarà consapevole dell’isolamento economico nel quale altrimenti collocherebbe il proprio paese nel contesto dei mercati internazionali: fatalmente sarà portato ad esprimere il giudizio di meritevolezza, piuttosto che rispetto al solo ordinamento interno, con riferimento ai principi vigenti in quelle che, con il linguaggio del diritto internazionale privato (v. ordine pubblico, contratti internazionale), vengono indicate come le nazioni di civiltà giuridica affine: ciò che è valido in queste nazioni non può non essere valido nella nostra nazione. In materia di performance bond, o contratto autonomo di garanzia (v.), la giurisprudenza ha esplicitamente adottato una simile ratio decidendi, riconoscendo la permeabilità del nostro ordinamento alle influenze di figure giuridiche già codificate all’estero; essa può tuttavia considerarsi come una ratio tacita delle decisioni in altre materie. Con la recezione giurisprudenziale dei contratti contratti internazionalmente uniformi (che possono essere anche, come accade per il contratto autonomo di garanzia, contratti altrove tipici) prende vita una forma, questa volta giurisprudenziale, di uniformità internazionale del diritto privato, ulteriore rispetto a quella che si attua con le convenzioni internazionali di diritto uniforme. Il c.c., mentre pone le condizioni di validità dei contratti contratti, non offre criteri per la loro disciplina. Ad essi sono certamente applicabili le norme sui contratti in generale (art. 1323 c.c.); ma è altrettanto certo che queste non possono da sole soddisfare le esigenze di disciplina normativa del contratto atipico. Ciò fa comprendere perche´ la nostra giurisprudenza abbia imboccato una drastica, ma non condivisibile, strada, che l’ha condotta ad approdare a questo duplice principio: a) la qualificazione di un contratto nominato non è alterata dalla presenza di elementi estranei a quelli che caratterizzano lo schema tipico, ove gli interessi rimangano preminenti, con la conseguenza che per la sua regolazione occorre far capo alla disciplina dello schema negoziale prevalente; b) un contratto nel quale siano commisti e combinati elementi di due tipi contrattuali potrà essere qualificato come contratto misto (v.), ma andrà sottoposto alla disciplina di uno dei due tipi di contratti, in base al criterio della prevalenza degli elementi distintivi dell’una o dell’altra figura negoziale. A questo modo, il contratto traslativo della proprietà di un immobile contro corrispettivo costituito in parte da una somma di danaro e in parte dalla esecuzione di un’opera viene qualificato come contratto misto di vendita e di appalto, ma viene al tempo stesso sottoposto interamente alle norme sulla vendita, in base alla valutazione di preminenza del carattere traslativo del contratto: si esclude, in particolare, l’applicazione dell’art. 1667 c.c. e del relativo termine di prescrizione. Analogamente, l’acquisto di una autovettura nuova contro un corrispettivo costituito in parte da una somma di danaro e in parte dal trasferimento di una autovettura usata è qualificato come contratto misto di vendita e di permuta, ma è sottoposto alle sole norme sulla vendita; se la vettura usata risulta altrui o viziata, si attribuisce al venditore della vettura nuova il diritto dell’intero prezzo. C’è una evidente contraddizione fra il contratto con causa mista e la sua sottoposizione alla disciplina relativa alla causa (v.) giudicata prevalente. Si finisce, a questo modo, con il frustrare lo stesso principio di atipicità , giacche´ contratto complesso e contratto misto si riducono sempre a contratto tipico, secondo la regola della prevalenza; si adotta un criterio lesivo dell’autonomia contrattuale, che per l’art. 1322, comma 2o, c.c., è libertà di concludere contratti diversi da quelli aventi una disciplina particolare. Un criterio rispettoso dell’autonomia contrattuale è quello della integrazione, anziche´ della prevalenza, delle discipline relative alle diverse cause che si combinano entro il contratto misto. Nel contratto misto di vendita e appalto, alla prestazione del compratorecontrattiappaltatore si addice la disciplina propria dei vizi dell’opera, anche sotto l’aspetto del termine di prescrizione dell’azione di cui all’art. 1667 c.c.; nel contratto misto di vendita e permuta, alla prestazione del compratore della vettura nuova, che ha consegnato un usato altrui o viziato, si addice l’art. 1553 c.c.: egli non potrà essere condannato al pagamento dell’intero prezzo della vettura nuova, ma ad una somma di danaro pari al valore contrattualmente assegnato all’usato. Anche il c.c., del resto, suggerisce il criterio dell’integrazione allorche´ detta, all’art. 1677 c.c., che all’appaltocontrattisomministrazione (v.) si applicano in quanto compatibili, le norme sull’appalto e quelle sulla somministrazione. Analoghe valutazioni vanno formulate per i contratti associativi atipici (v. associazione, contratti atipica), che si collocano in posizione intermedia fra l’associazione (v.) (della quale presentano lo scopo non lucrativo) e la società (v.) (della quale presentano gli elementi della struttura chiusa o del voto rapportato alla quota di partecipazione al contratto, come nel caso dei consorzi di urbanizzazione). Esse vanno ripetute anche per il caso, poc’anzi menzionato, della qualificazione della s.r.l. come associazione non riconosciuta: qui non si potrà , sulla base del criterio della prevalenza, assoggettare il rapporto a tutte le norme sulla società (come le norme relative al voto per quote) che risultano confacenti all’atipico rapporto posto in essere dalle parti.

contratti commutativi: sono tali quei contratti a prestazioni corrispettive che hanno la funzione di attuare uno scambio fra prestazioni economicamente equivalenti; onde le vicende, successive alla formazione del contratto, che modificano il valore di una prestazione e provocano uno squilibrio economico fra le prestazioni, influiscono sulla misura della controprestazione o, addirittura, sulla sorte del contratto. V. anche rendita; vendita, contratti di cosa futura.

contratti con effetti obbligatori: i contratti contratti sono quelli che presentano la caratteristica di essere solo fonte di obbligazioni delle parti, di una di esse o di entrambe, così la locazione (v.), il mandato (v.), il comodato (v.) ecc.. Si parla anche di effetti obbligatori del contratto quando si fa riferimento alle obbligazioni che dal contratto derivano: così l’obbligazione del venditore di consegnare la cosa venduta e quella del compratore di pagare il prezzo sono effetti obbligatori della vendita (v.).

contratti con effetti reali: sono contratti contratti quelli che producono l’effetto di trasferire la proprietà o altri diritti, come donazione (v.), vendita (v.), permuta (v.) ecc., oltre ad essere, al tempo stesso, fonti di obbligazioni (l’obbligazione di consegnare la cosa donata o venduta, l’obbligazione di pagare il prezzo ecc.). Si parla di effetti reali del contratto quando si fa riferimento agli effetti traslativi prodotti direttamente dal contratto, al momento stesso della formazione dell’accordo delle parti o in un momento successivo: così il trasferimento della proprietà dal venditore al compratore è un effetto reale della vendita, un effetto che si produce all’atto stesso della conclusione del contratto di vendita, indipendentemente dalla consegna; ma, se la vendita ha per oggetto cose indicate solo nel genere, l’effetto reale si produce al momento della individuazione.

contratti consensuali e reali: il contratto si perfeziona con l’accordo delle parti: da quel momento esso produce tutti i suoi effetti, siano essi effetti reali oppure effetti obbligatori. In linea generale, l’accordo delle parti è necessario e sufficiente per perfezionare il contratto: la consegna della cosa che forma oggetto del contratto è esecuzione del già perfezionato contratto. In alcuni casi, tuttavia, esso è necessario, ma non sufficiente: occorre, oltre all’accordo delle parti, la consegna della cosa che forma oggetto del contratto. I contratti che, secondo il principio generale, si perfezionano per il solo accordo delle parti sono detti contratti consensuali; agli altri si suole dare, invece, il nome di contratti reali (v. contratto reale).

contratti di durata: sono i contratti ad esecuzione continuata o periodica (v. contratti ad esecuzione continuata): l’esecuzione di tali contratti si protrae nel tempo, ed a volte per molti anni.

contratti di formazione e lavoro: v. formazione e lavoro, contratto di contratti.

contratti di solidarietà: sono contratti collettivi aziendali (v. contratto collettivo, contratti aziendale) (stipulati con i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale) cui la legge attribuisce la capacità di stabilire una riduzione dell’orario di lavoro con una corrispondente decurtazione delle retribuzioni. La l. 19 dicembre 1984, n. 863, prevede due tipi di contratti. I contratti difensivi, ossia quei contratti aziendali mediante i quali si concorda una riduzione dell’orario di lavoro al fine di evitare, in tutto o in parte la riduzione o la dichiarazione di esuberanza del personale anche attraverso un suo più razionale impiego (art. 1); i contratti espansivi con i quali si intende invece, incrementare gli organici attraverso una programmata assunzione di nuovo personale a tempo indeterminato, contestualmente, anche in questo caso, ad una stabile diminuzione dell’orario di lavoro. I contratti difensivi sono previsti dalla legge come presupposto per la concessione di uno speciale trattamento di integrazione salariale, determinato nella misura della metà della retribuzione persa a seguito della riduzione d’orario e corrisposto per non più di 24 mesi. Nel caso di contratti espansivi, invece, l’intervento pubblico assume forme diverse: previo accertamento, da parte dell’Ispettorato provinciale del lavoro, della corrispondenza tra la riduzione concordata dell’orario di lavoro e le assunzioni effettuate, viene concesso all’imprenditore, per un triennio, un pubblico contributo in misura scalare per ogni lavoratore dal contratto collettivo, o, in sostituzione, un alleggerimento del costo del lavoro giovanile per i primi tre anni e comunque non oltre il compimento del 29o anno di età del lavoratore assunto a tempo indeterminato con richiesta motivata (art. 2). Nella realtà delle relazioni industriali, si ha già nutrita esemplificazione di contratti difensivi; non vi è ancora traccia (o quasi) di quelli espansivi. Nell’ambito dei contratti contratti la l. 19 luglio 1993, n. 236 (art. 5), ha creato un’ulteriore distinzione, affiancando alla nota figura dei contratti stipulati da imprese rientranti nel campo di applicazione dell’intervento straordinario di integrazione salariale (cfr. circ. min. lav. n. 6 del 1994) un nuovo tipo di contratto riservato alle imprese con più di quindici dipendenti non rientranti nel campo anzidetto, a tutte le imprese alberghiere e alle aziende termali pubbliche e private operanti nelle località termali che presentano gravi crisi occupazionali, nonche´ alle imprese artigiane, diverse da quelle soggette ad influsso gestionale prevalente (art. 12 l. n. 223 del 1991), anche ove occupino meno di sedici dipendenti. A queste ultime è però richiesto per la stipulazione del contratto che i lavoratori con orario ridotto da esse dipendenti percepiscano, a carico dei fondi bilaterali istituiti da contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, una prestazione di entità non inferiore (art. 4 della l. 19 luglio 1994, n. 451) a quella corrispondente alla metà del contributo pubblico destinato ai lavoratori. Rispetto al modello generale di cui alla l. n. 863 del 1984, le novità introdotte dalla l. n. 236 del 1993, comuni ai due tipi, sono sostanzialmente due: innanzitutto, mentre prima erano solo i lavoratori a trarre vantaggi economici dal contratto, ora gli incentivi riguardano anche le imprese. A favore di queste ultime si prevedono, da un lato, agevolazioni contributive correlate all’entità della riduzione di orario di lavoro e all’ubicazione geografica dell’impresa (per i contratti del primo tipo), dall’altro, un contributo pari ad un quarto del monte retributivo da esse non dovuto a seguito della riduzione di orario (per i contratti sia del primo che del secondo tipo). Quanto ai lavoratori, per i contratti del primo tipo l’ammontare del trattamento di integrazione salariale è elevato, per un massimo di due anni, alla misura del 75% del trattamento perso a seguito della riduzione; per i contratti del secondo tipo, è offerto un contributo pari al 25% del trattamento perso. La seconda novità attiene al regime di riduzione dell’orario di lavoro: la legge riconosce infatti un’ampia libertà di modulare l’orario giornaliero, settimanale, mensile o annuale. Inoltre, per entrambi i tipi di contratto, compresi quelli già stipulati, le parti contraenti, o, per i contratti già stipulati alla data del 11 maggio 1993, l’Ispettorato del lavoro, possono autorizzare un aumento dell’orario di lavoro ridotto per soddisfare temporanee esigenze di maggior lavoro. La disciplina di cui all l. n. 236 del 1993 è stata di recente riformata dall’art. 9 d.l. 8 agosto 1995, n. 326 (in attesa di conversione o di reiterazione). Anzitutto è stata eliminata la possibilità di riduzione dell’orario di lavoro in ambito annuale, restando utilizzabili le modalità di riduzione in ambito giornaliero, settimanale o mensile. Inoltre, si prevede che al lavoratore spetti una integrazione salariale del 60% del trattamento retributivo perso (contro il precedente 75%), mentre viene eliminato il contributo pari ad un quarto del monte ore retributivo non dovuto a seguito della riduzione di orari, a beneficio delle imprese. Si conferma, invece, la riduzione dell’ammontare della contribuzione previdenziale ed assistenziale dovuta dai datori di lavoratori per i lavoratori interessati alla riduzione di orario (v. fiscalizzazione degli oneri sociali): la misura della riduzione è del 25% ed è elevata al 30% per le aree di cui agli obiettivi 1 e 2 del regolamento Cee n. 2052/88, nel caso in cui la riduzione di orario sia superiore al 20%; nel caso in cui l’accordo disponga una riduzione dell’orario superiore al 30%, la predetta misura è elevata, rispettivamente, al 35 e 40%. Infine, l’art. 6, comma 9o, del d.l. n. 326 del 1995 precisa che, laddove gli speciali benefici previsti a favore di imprese e lavoratori dalla l. n. 236 del 1993 non siano stati ottenuti in conseguenza dei limiti delle risorse finanziarie, vanno comunque applicate, quanto al trattamento di integrazione salariale, le disposizioni di cui all’art. 1 l. n. 863 del 1984 (meno favorevoli, ma in grado di garantire ai prestatori una copertura del 50% della retribuzione perduta).

contratti di sorte: i contratti contratti sono i contratti aleatori (v.).

durata dei contratti: il carattere proprio dei contratti di durata (v.), che instaurano fra le parti un vincolo destinato a protrarsi nel tempo, pone problemi di protezione della libertà contrattuale dei contraenti e, in particolare, del contraente più debole. Il c.c. è ispirato da un principio di sfavore per i rapporti contrattuali perpetui, che vincolino le parti per tutta la loro esistenza (o se si tratta di contratti trasmissibili, che vincolino in perpetuo anche i loro eredi). Ev vero che il contratto è , esso stesso, atto di autonomia contrattuale (v.) del singolo e che sarebbe, in astratto, espressione della libertà del singolo anche l’accettazione, per contratto, di un vincolo perpetuo. Ma l’accettazione di un simile vincolo equivarrebbe a una rinuncia alla libertà contrattuale: il singolo disporrebbe, con un unico (ed estremo) atto di libertà , di tutta la sua libertà futura. All’ammissibilità di vincoli perpetui si oppongono, d’altra parte, anche esigenze di protezione dell’interesse generale: lo sviluppo dipende dal più proficuo impiego delle risorse materiali e umane; e vincoli contrattuali perpetui, impedendo il mutamento della destinazione delle risorse, sarebbero un ostacolo al loro impiego più proficuo (solo l’atto di fondazione (v.) può costituire su beni un vincolo perpetuo di destinazione). Per soddisfare queste esigenze la legge utilizza due figure: il termine (finale) massimo, il recesso legale. Per alcuni contratti a esecuzione continuata o periodica è considerato requisito essenziale del contratto la previsione di un termine di durata (così per il contratto di società di capitali, l’art. 2338 n. 11 c.c.); per altri è direttamente stabilito un termine massimo di durata: così la locazione non può durare oltre trent’anni (art. 1573 c.c.); il patto di non concorrenza non può durare oltre cinque anni (art. 2596 c.c.). Un più elastico concetto è utilizzato per il patto di non alienare (v. patto, contratti di non alienare), che deve essere contenuto entro convenienti limiti di tempo (art. 1379 c.c.). Per altri contratti è ammessa, invece, una durata a tempo indeterminato, ma riconoscendo alle parti la facoltà di recesso. Bisogna al riguardo distinguere fra due forme di recesso: a volte è concesso alla parte il recesso puro e semplice, quale mero atto di autonomia del singolo, che non richiede giustificazione; altre volte è riconosciuto solo il recesso per giusta causa, che deve essere giustificato dal contraente che recede. Il recesso puro e semplice è concesso talvolta a ciascuna delle parti, come nella somministrazione (art. 1569 c.c.) e nel contratto di società di persone (art. 2285 c.c.); talaltra ad una sola parte: solo al committente nell’appalto (art. 1671 c.c.) e così via. Può recedere dal contratto di lavoro solo per giusta causa (o per giustificato motivo) il datore di lavoro (l. n. 604 del 1966); può recedere dall’apertura di credito a tempo determinato solo per giusta causa la banca (art. 1845 c.c.) e così via. Resta il problema se siano ammissibili contratti atipici perpetui. A rigore, questi sarebbero soggetti alla regola generale dell’art. 1373 c.c., per il quale il recesso unilaterale è ammissibile solo se previsto dal contratto; ne´ si potrebbero applicare loro, per analogia, le norme sui singoli contratti dai quali è espressamente ammesso il recesso unilaterale, trattandosi di norme che fanno eccezione a principi generali. Si impone però l’opinione che l’inammissibilità di vincoli contrattuali perpetui sia, per le ragioni sopra esposte, un principio di ordine pubblico (v.): il contratto perpetuo è , perciò, nullo o può , tutt’al più , convertirsi in contratto a tempo indeterminato, con facoltà di recesso delle parti.

durata massima dei contratti: v. durata dei contratti.

contratti nominati: v. contratti tipici.

contratti parasociali: v. patti parasociali.

contratti pubblici: posti in essere dallo Stato e da alcuni enti pubblici per conseguire un fine pubblico. I contratti contratti sono disciplinati sia da norme di diritto pubblico che di diritto privato. Più specificamente, la fase anteriore alla stipulazione del contratto (ad esempio le attività inerenti al processo di formazione della volontà del soggetto pubblico, le imposizioni al privato contraente di obblighi accessori nel corso del rapporto, la caducazione della deliberazione amministrativa a contrarre) rientra principalmente nell’ambito del diritto pubblico. Si applica invece la normativa di diritto privato alla fase dell’esecuzione del contratto ed ai limiti posti nello svolgimento dell’attività negoziale (i limiti possono derivare dal fatto che solo le persone fisiche possono porre in essere determinati atti, ovvero dall’obbligo di non perseguire fini contrastanti con quello pubblico). L’autonomia contrattuale è attribuita all’amministrazione statale, agli enti pubblici funzionali, compatibilmente con i limiti posti dalla legge o dallo statuto ai singoli enti. Nel rapporto tra privato contraente e P.A. vi è un incontro di volontà libere; il privato è sempre libero di rifiutare la stipulazione del contratto, ma, qualora lo stipuli, si sottopone a taluni poteri di supremazia della P.A., ad essa attribuiti per il miglior perseguimento del fine pubblico. Tuttavia, gli interessi patrimoniali del contraente sono sempre tutelati, onde evitare che le pubbliche esigenze si risolvano in un danno per il privato. I contratti contratti possono essere attivi, qualora producano entrate, passivi se produttivi di spesa. Si distinguono in ordinari (es. vendita, appalto), speciali di diritto privato (es. contratti di trasporto ferroviario), e ad oggetto pubblico, caratterizzati dalla commistione tra provvedimento amministrativo e contratto (es. convenzioni con concessione di bene pubblico). Le ultime disposizioni legislative (d.leg. n. 29 del 1993, l. n. 537 del 1993, l. n. 109 del 1994) in materia di contratti contratti, stabiliscono una maggiore trasparenza nelle procedure e criteri più certi in merito alla determinazione dei prezzi contrattuali, nel tentativo di eliminare l’inefficienza e la corruzione amministrativa. (Mestichella).

contratti tipici: detti anche contratti nominati, sono i contratti che appartengono ai tipi che hanno una disciplina normativa particolare (art. 1323 c.c.), come la vendita, la locazione, il mandato ecc.. V. contratto, norme generali sul contratti; contratto, contratti atipico.


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