bisogni della famiglia:  v. coniugi,  diritti e doveri  dei famiglia; coniugi,  responsabilità solidale dei famiglia. 
 famiglia come società  naturale:  v. famiglia legittima. 
 compiti della famiglia:  v. famiglia legittima. 
 famiglia di fatto:  la famiglia, costituita  da  persone non  unite  fra loro  in matrimonio, dà luogo  ad  una  situazione giuridicamente lecita,  per  vari aspetti  protetta dal diritto.  Bisogna  però  distinguere fra due  ordini  di rapporti: a) rapporti fra i conviventi  di fatto.  Hanno, nel nostro  diritto,  limitata  rilevanza:  fra i conviventi  di fatto  non  esistono,  come  esistono  fra i coniugi,  i diritti  e i doveri  reciproci  alla  coabitazione, all’assistenza  materiale e morale,  alla  fedeltà . Il suo carattere di unione  libera  fa sì  che, in ogni  momento ed  a  propria discrezione,  ciascuno  dei conviventi  possa  interrompere il rapporto. La  reciproca  assistenza  materiale non  è  oggetto  di una  obbligazione (v.) civile, ma,  secondo  la qualificazione che ne  dà  la giurisprudenza, di una obbligazione naturale (v. obbligazioni, famiglia naturali),  con  la conseguenza giuridicamente rilevante che non  è  ammessa  la ripetizione  di indebito  (v.). Diversa  è  però  l’ipotesi  in cui l’assistenza  materiale venga  meno  per  la morte  del convivente dovuta  al fatto  illecito  (v. fatti illeciti) di un  terzo:  al convivente superstite deve  essere  riconosciuto, ma la giurisprudenza è  al riguardo divisa,  il diritto  al risarcimento del danno  da  parte  del terzo.  Una indiretta rilevanza  è , invece,  data  dalla  giurisprudenza alla  relazione  more uxorio  in materia  di diritto  all’assistenza  materiale: il coniuge  divorziato perde  il diritto  al mantenimento o agli alimenti  se, convivendo  di fatto  con  altri,  goda  dell’assistenza  materiale del familiare  di fatto.  Tra  i conviventi non esiste  alcun  diritto  alla  successione  legittima  (v. successione,  famiglia legittima) (salva,  naturalmente, la facoltà  di disporre per  testamento nei limiti della quota  disponibile): la legislazione  pensionistica attribuisce però  il diritto  alla pensione di guerra  alla  convivente del caduto,  se la convivenza  era  durata almeno  un  anno  (da  ultima,  l. n. 313 del 1968). Ancora:  la Corte Costituzionale, dopo  averla  più  volte  respinta, ha  infine  accolto  l’eccezione di  incostituzionalità  dell’art.  6 della  l. n. 392 del 1978 nella  parte  in cui non prevede fra i successibili  nella  titolarità  del contratto di locazione,  in caso di morte  del conduttore, il convivente more  uxorio;  oltre  che nella  parte  in cui non  prevede la successione  nel contratto di locazione  al conduttore che abbia  cessato  la convivenza,  a favore  del già  convivente quando vi sia prole naturale. La  Corte  si è  però  studiata di non  enunciare la parificazione del convivente al coniuge:  l’incongruenza della  norma  dichiarata illegittima  sta, secondo  la Corte,  nel fatto  che essa  non  menziona il convivente,  sebbene oggetto  di tutela  sia non  la famiglia nucleare,  ne´  quella  parentale, ma la convivenza  di un  aggregato esteso  fino a comprendervi estranei, quali  gli eredi  testamentari; b)  rapporti fra genitori  e figli naturali.  Sotto  questo aspetto l’equiparazione della  famiglia famiglia alla  famiglia legittima  è , nel nostro  diritto, pressoche´  totale,  e diventa  totale  se nessuno  dei genitori  sia unito  con  altri in matrimonio (altrimenti sono  fatti  salvi i diritti  della  famiglia legittima).  In particolare, i genitori  hanno  il diritto  e l’obbligo  di mantenere, istruire  ed educare i figli nati  fuori  del matrimonio (art.  30, comma  1o, Cost.).  Il riconoscimento o l’accertamento giudiziale  della  paternità  o della  maternità  comporta da  parte  del genitore  l’assunzione  di tutti  i doveri  e di tutti  i diritti  spettanti nei confronti  dei figli legittimi  (artt.  261, 277 c.c.), inclusi il dovere  e il diritto  alla  prestazione alimentare (art.  433 nn. 2 e 3 c.c.). Anche  agli effetti  successori  i figli naturali sono  equiparati a quelli  legittimi, i  genitori  naturali a quelli  uniti  in matrimonio. Si noti:  fratello  legittimo  e fratello  naturale sono  tra  loro  equiparati rispetto  ai genitori,  non  nei loro interni  rapporti successori.  Essi  non  succedono  tra  loro,  come  succedono  i fratelli  legittimi  (art.  570 c.c.); e solo  se mancano altri  parenti entro  il sesto grado,  piuttosto che dare  luogo  alla  successione  dello  Stato  (art.  586 c.c.), eredita il fratello  naturale (così,  pur  in mancanza di una  norma  di legge, ha deciso  la Corte  Costituzionale). Convivenza  di fatto  e famiglia non  sono  concetti coincidenti:  la procreazione che derivi  da  un  occasionale  rapporto sessuale dà  luogo  a tutte  le conseguenze giuridiche  indicate  sub b, quantunque manchi  la convivenza  fra i genitori  naturali.  La  convivenza  fra costoro  è però  produttiva di un  effetto  specifico:  la potestà  sul figlio naturale riconosciuto da  entrambi i genitori  spetta  al genitore  con  il quale  il figlio convive;  ma,  se i genitori  naturali sono  tra  loro  conviventi,  la potestà  spetta  ad  entrambi (art.  317 bis),  così di convivenza.   come  nella  famiglia legittima.  V. anche  contratto,  famiglia  
 fondazione  di famiglia:  v. fondazione, famiglia di famiglia. 
 famiglia in senso ampio:  v. famiglia in senso stretto e famiglia in senso ampio. 
 famiglia in senso stretto e famiglia in senso ampio:  di famiglia si parla,  nel senso  stretto del termine,  con  riferimento al cosiddetto nucleo  familiare,  formato da  persone fra loro  conviventi:  sono  i coniugi  e i loro  figli minori.  Fra  i membri  della  famiglia, intesa  in questo  senso,  intercorre una  fitta  ed  intensa  rete  di rapporti giuridici:  il diritto  e l’obbligo  reciproci  fra i coniugi  alla  coabitazione, alla fedeltà , all’assistenza  morale  e materiale, alla  collaborazione nell’interesse della  famiglia (art.  143 c.c.); l’obbligo  dei coniugi  di mantenere, istruire,  educare la prole  (art.  147 c.c.); la potestà  dei genitori  sui figli minori  (art.  316 c.c.); il dovere  dei figli di rispettare i genitori  e, finche´  convivono  con  essi, di contribuire in relazione  alle  proprie sostanze  e al proprio reddito al mantenimento della  famiglia (art.  315 c.c.). Di  famiglia si parla  anche,  nel senso  ampio del termine,  con  più  generale riferimento all’insieme  delle  persone legate fra  loro  da  rapporti, oltre  che di coniugio,  di parentela e di affinità:  a) parentela (artt.  74  – 77 c.c.). Ev  il vincolo  di sangue  che unisce  le persone discendenti l’una  dall’altra  (parenti in linea  retta:  padre  e figlio, nonno  e nipote  ecc.) o discendenti da  uno  stipite  comune  (parenti in linea collaterale:  fratelli,  cugini, zio e nipote  ecc.). Non  è  riconosciuta dalla  legge oltre  il sesto  grado;  e i gradi,  nella  linea  retta,  si computano risalendo  da un  parente all’altro  e contando tutti  i parenti intermedi, escluso l’ascendente nei cui confronti  si vuole  stabilire  il grado  di parentela (nonno e nipote,  ad  esempio,  sono  parenti in secondo  grado);  nella  linea  collaterale il grado  di parentela tra  due  persone si determina risalendo  dall’una  al primo  stipite  comune,  scendendo all’altra  e contando il numero di parenti intermedi comprese le due  persone fra le quali  si vuole  determinare la  parentela, ma escluso  lo stipite  comune  (così  i fratelli  sono  parenti in  secondo  grado).  In  passato,  il computo civile dei gradi  di parentela differiva dal computo canonico;  ma la divergenza è  stata  eliminata  dal codice  di  diritto  canonico  del 1983. La  parentela può  essere  legittima  o naturale: è legittima  quella  che lega  persone unite  da  vincoli di sangue  derivanti dalla generazione in costanza  di matrimonio (e  sono  tra  loro  parenti legittimi anche  i fratelli  consanguinei, figli dello  stesso  padre  ma di madre  diversa,  o i  fratelli  uterini,  nati  dalla  stessa  madre,  ma da  padre  diverso;  mentre sono fratelli  germani  quelli  che hanno  comuni  padre  e madre);  è  naturale la parentela che lega  persone unite  da  vincolo  di sangue  contratto fuori  del matrimonio; b)  affinità  (art.  78 c.c.). Ev  il vincolo  che intercorre fra una persona e i parenti del suo coniuge,  anche  se morto.  Di  regola  il rapporto di  affinità  cessa  a seguito  dell’annullamento del matrimonio sul quale  si fonda  (art.  78, comma  2o, c.c.), salva  l’eccezione  di cui all’art.  87 n. 4 c.c.; non  cessa, invece,  per  effetto  del divorzio.  Anche  entro  la famiglia in senso  ampio esistono  diritti  e doveri:  i parenti hanno  diritto  di successione  ereditaria, secondo  le regole  della  successione  necessaria (v.) (art.  536 c.c.) e della successione  legittima (v.) (artt.  566 ss. c.c.); fra parenti e fra affini esistono, inoltre,  il diritto  ed  il dovere  reciproco di prestare gli alimenti  (v.) (art.  433 c.c.). Il vincolo  di parentela ha  però  una  diversa  rilevanza  a seconda  che si tratti  di parentela legittima  oppure naturale: solo  gli ascendenti legittimi,  e non  anche  gli ascendenti naturali,  sono  successori  necessari  (art.  538 c.c.); agli effetti  delle  successioni  legittime  i fratelli  e le sorelle  naturali del defunto hanno  i diritti  che l’art. 570 c.c. riconosce  a fratelli  e sorelle legittimi,  ma succedono  solo  se mancano altri  parenti entro  il sesto  grado. A  differenza della  parentela, che si basa  sulla discendenza da  uno  stesso stipite,  ed  ammette perciò  una  parentela naturale, l’affinità  presuppone un  rapporto di coniugio  (e,  salva  l’ipotesi  di cui all’art.  87 n. 4 c.c., di coniugio basato  su un  valido  matrimonio), e non  ammette una  affinità  naturale: non ci sono  generi,  nuore  e suoceri,  nemmeno agli effetti  dell’obbligo alimentare (art.  433 nn. 4 e 5 c.c.), entro  la famiglia di fatto.  Tanto  i parenti quanto gli affini del conduttore, se con  questo  conviventi,  succedono  alla sua morte  nel contratto di locazione,  a norma  dell’art.  6 l. n. 392 del 1978. I  diritti  che spettano ai membri  della  famiglia e gli obblighi  relativi  sono strettamente legati  alla  posizione  che la persona occupa  entro  la famiglia: alla  sua posizione  di coniuge,  di figlio minore,  di parente, di affine.  Sono  diritti  e doveri  che ineriscono  ad  uno  status  della  persona (lo  status  familiae  del diritto  romano); presentano analogie,  sebbene si tratti  di diritti  e di doveri relativi  e non  assoluti,  con  i diritti  della  personalità : i diritti  sono irrinunciabili, indisponibili, imprescrittibili; gli obblighi  corrispondenti, anche quelli  che si adempiono con  la somministrazione di mezzi patrimoniali (come  l’obbligo  all’assistenza  materiale ed  al mantenimento fra i coniugi, come  l’obbligo  dei genitori  di mantenere ed  istruire  i figli minori,  come l’obbligo  di prestare gli alimenti  al coniuge  o a parenti o ad  affini),  non sono  assimilabili  alle  obbligazioni  (v. obbligazione), e sono  sottoposti ad una  regolazione del tutto  propria. La  loro  diversa  qualificazione come obblighi  viene  tradizionalmente impiegata per  sottolineare la loro  diversità rispetto  alle  obbligazioni, caratterizzate dalla  patrimonialità  della prestazione (art.  1174 c.c.). Ugualmente, gli atti  giuridici  di diritto  familiare, anche  quando consistono  in dichiarazioni di volontà  come  nel caso  del matrimonio (v.),  ricevono  una  regolazione normativa a se´  stante,  diversa  da  quella  degli  atti  giuridici  di contenuto patrimoniale, quali  il contratto  (v.) (art. 1321 c.c.) e gli atti unilaterali (v.) di cui all’art.  1324 c.c..  
 interesse della famiglia:  v. coniugi,  diritti e doveri  dei famiglia; comunione fra coniugi,  famiglia e comunione ordinaria. 
 intervento del giudice nella famiglia:  in caso  di disaccordo sui diritti  e doveri  che derivano dal matrimonio, ciascun  coniuge  può  rivolgersi  al giudice:  questi sente  le opinioni  espresse  dai coniugi  ed,  eventualmente, dai figli conviventi che abbiano compiuto sedici anni;  e tenta  di raggiungere una  soluzione concordata o, se ciò  non  è  possibile,  decide  in loro  vece,  adottando la soluzione  che ritiene  più  adeguata alle  esigenze  dell’unità  e della  vita  della famiglia (art.  145 c.c.). L’famiglia famiglia è  reso  necessario  dall’esigenza,  costituzionalmente avvertita,  di conciliare  l’uguaglianza  dei coniugi  con  la garanzia  dell’unità familiare:  questa,  se non  è  più  assicurata dal potere di un  capo  famiglia, è ricercata attraverso una  soluzione  giudiziale  dei conflitti  fra coniugi.  Ma  si noti  che l’famiglia famiglia è  possibile  solo  se chiesto  da  uno  dei coniugi:  si è  così voluta salvaguardare, ad  un  tempo,  l’unità  familiare  e l’autonomia della  famiglia. Se un genitore  trascura i propri  doveri  o abusa  dei propri  poteri  con  grave pregiudizio per  i figli, il giudice  può  pronunciare la sua  decadenza dalla potestà  (v.),  e può  anche  ordinare l’allontanamento dei figli dalla  residenza familiare  (art.  330 c.c.). In  caso  di disaccordo fra i genitori  su questioni  di particolare importanza ciascuno  di essi può , anche  qui,  rivolgersi  al giudice, il quale  sentirà  in questo  caso  i figli se maggiori  di quattordici anni  (art. 316, commi  3o  e 5o, c.c.). Se occorrono, nel frattempo, provvedimenti urgenti  e indifferibili,  vi provvede  il padre  (art.  316, comma  4o, c.c.). Il  giudice,  in questa  ipotesi,  non  adotta però  soluzioni,  come  nel caso  dell’art. 145 c.c.: si limita  a suggerirle  e, se il contrasto permane, attribuisce il potere di decisione  a quello  dei genitori  che ritiene  più  idoneo  a curare l’interesse  del figlio (art.  316, comma  5o, c.c.). Ha  qui  agito, manifestamente, la preoccupazione di evitare  che l’organo  dello  Stato  si sostituisca  ai genitori,  anche  se tra  loro  in disaccordo, nell’esercizio  della potestà  sui minori,  considerata come  prerogativa inalienabile di quella società  naturale che è  la famiglia.  
 lavoro nella famiglia:  v. impresa  familiare. 
 famiglia legittima:  la Costituzione considera la famiglia una  società  naturale fondata  sul matrimonio, della  quale  la Repubblica riconosce  i diritti  (art.  29, comma  1o, c.c.). Il termine società  è  qui  impiegato nel senso  più  lato,  come  forma  di organizzazione della  convivenza  umana:  il senso  dell’espressione è equivalente a quello  di formazione sociale,  di cui è  detto  all’art.  2 Cost..  La qualificazione di questa  società  come  società  naturale esprime,  nella Costituzione, una  duplice  direttiva:  a) che l’organizzazione della  convivenza umana  per  unità  familiari  non  è  una  realtà  creata  dallo  Statofamigliaordinamento, ma una  realtà  da  questo  solo  trovata, della  quale  lo Statofamigliaordinamento si limita  a riconoscere i diritti.  Ev  una  valutazione corrispondente a quella  che il citato  art.  2 Cost.  compie  per  i diritti  inviolabili  dell’uomo,  che è  compito della  Repubblica riconoscere e garantire. Lo  Statofamigliaordinamento si autolimita: si impegna,  con  norma  costituzionale, ad  accettare come  dato inoppugnabile della  complessiva  organizzazione sociale  quella  specifica forma  di convivenza  organizzata che è  la famiglia; b)  che la regolazione legislativa  della  famiglia deve  soddisfare  le intrinseche esigenze  di questa  forma  di convivenza  sociale  organizzata ed  assecondarne l’autonoma evoluzione, senza  piegarla  a più  generali  disegni  attinenti alla  complessiva organizzazione politica  ed  economica della  società . Società  naturale significa, sotto  questo  aspetto, società  che trova  nella  coscienza  sociale  e nel costume  i motivi  ispiratori della  sua  disciplina  legislativa  e che è , perciò, sottratta ad  una  superiore ragione  politica  o politicofamigliaeconomica. La condizione costituzionale della  famiglia risulta,  a questo  modo,  profondamente diversa  da  quella  di altri  istituti,  come  ad  esempio  la proprietà  (v.) privata, il cui riconoscimento è  inserito  in un  quadro di compatibilità  con  le esigenze  e le finalità  di organizzazione complessiva  della  società , espresse  con  i  concetti  di funzione  sociale  (art.  42, comma  2o, c.c.), di interesse generale  (artt.  42, comma  3o, 43 c.c.) di razionale  sfruttamento e di equi rapporti  sociali  (art.  44 c.c.). Società  naturale non  significa, invece, immutabilità  della  regolazione normativa: questa  può  mutare con  il mutare del costume  sociale,  con  l’evolversi  delle  concezioni  della  famiglia e dei rapporti fra i suoi  membri.  Basti  pensare ad  alcuni  recenti  mutamenti, come l’introduzione del  divorzio  (v.),  nel 1970, in luogo  dell’antico  principio  della indissolubilità  del  vincolo  matrimoniale (ed  il referendum popolare del ’74 confermò  che il  divorzio  rispondeva alla  mutata  coscienza  sociale  della grande  maggioranza  dei cittadini), e l’abolizione  della  potestà  maritale  (fino al 1975 il marito  era,  per  il c.c., il capo  della  famiglia, e la moglie  seguiva  la condizione civile di lui ed  era  obbligata  ad  accompagnarlo dovunque egli crede  opportuno  di  fissare  la  sua  residenza).  E  l’evoluzione  del  costume  è,   in questa  materia, così  rapida  da  fare  apparire addirittura barbariche norme  vigenti  fino alla  riforma  del ’75, come  ad  esempio  quella  che imponeva il dovere  reciproco della  fedeltà  anche  ai coniugi  legalmente separati. Queste le direttive  costituzionali, tese  a collocare  la famiglia, quale  società  naturale, in una sorta  di zona  di rispetto, inviolabile  da  parte  dello  Stato.  Nella  sua evoluzione storica  la famiglia è  sempre  apparsa strettamente legata  al sistema produttivo (e,  oltre  che a questo,  al sistema  politico):  è  stato  già sottolineato il rapporto fra l’antica  società  rurale  e l’antica  famiglia patriarcale, fra la moderna società  industriale e l’odierna  famiglia coniugale  o nucleare (e  va anche  ricordato il nesso  fra il sistema  politico  feudale  e gli antichi  istituti familiari  e successori,  che facevano  delle  famiglie  nobiliari  una  vera  e propria magistratura politica).  L’influsso  del sistema  produttivo sulla struttura della  famiglia è , nei fatti,  destinato a provocare sempre  nuovi  mutamenti: basti  riflettere sulle conseguenze che vi determina il progressivo  inserimento della  donna  in tutti  i livelli della  organizzazione economica e politica  della società . Ciò  che la Costituzione esige  è  che queste  trasformazioni si attuino, prima  che nella  legge, nel costume:  che esse  siano,  cioè , trasformazioni accettate dalla  coscienza  sociale  e non  indotte autoritativamente dalla  legge. La  Costituzione riconosce  alla  famiglia specifici  compiti  entro  l’organizzazione complessiva  della  società . All’adempimento dei compiti  della  famiglia fa riferimento l’art. 31, comma  1o, Cost.;  la loro  menzione è , soprattutto, nell’art.  30, comma  1o, Cost.:  i genitori  hanno  il dovere  e il diritto  di mantenere, istruire  ed  educare la prole;  e solo  in caso  di incapacità  dei genitori,  aggiunge  il secondo  comma,  la legge provvede  a che siano  altrimenti assolti  i loro  compiti.  Viene  così  affermato il principio  di  organizzazione sociale  secondo  il quale  l’allevamento delle  nuove generazioni  si attua  in seno  alle  famiglie,  considerate come  sede  naturale entro  la quale  formare la personalità  del minore.  Il favore  per  l’allevamento familiare  dell’infanzia,  piuttosto che per  quello  praticato entro  le apposite  istituzioni,  pubbliche o private,  corrisponde oggi anche  ai dettami  della moderna  psicologia  ed  è  alla  base  della  odierna  disciplina  dell’ adozione (v.),  volta  a favorire  l’allevamento in seno  a famiglie  adottive dei minori  in stato  di abbandono. I compiti  della  famiglia non  si esauriscono però nell’allevamento della  prole:  tra  essi rientra l’assistenza  morale  e materiale fra i coniugi  (art.  143, comma  2o, c.c.) e, se si considera la famiglia in senso ampio,  vi rientra anche  quella  forma  di assistenza  familiare  che è  l’obbligo di prestare gli alimenti  al parente o all’affine  che versa  in stato  di bisogno e non  è  in grado  di provvedere al proprio mantenimento. I diritti  che la Costituzione riconosce  a questa  società  naturale sono  i diritti  della  famiglia fondata sul matrimonio. Ev  così introdotta una  netta  distinzione fra quella che il successivo  art.  30, comma  3o, Cost.,  definisce  come  famiglia e quella  che si suole  qualificare  come  famiglia di fatto (v.).  La  prima  si costituisce  con  un  atto solenne,  quale  è  il matrimonio (v.),  che impegna  giuridicamente i coniugi  in una  serie  di diritti  e di doveri  reciproci  e che costituisce  fra loro  un rapporto  non  dissolubile  se non  nei casi e nei modi  previsti  dalla  legge. La seconda  è  la stabile  convivenza  fra uomo  e donna,  basata  sul reciproco vincolo  affettivo  (cosiddetta convivenza  more  uxorio,  secondo  il costume cioè  dell’unione coniugale), senza  impegno  giuridicamente vincolante. La  famiglia di fatto  è  tutt’altro che irrilevante per  il diritto:  la Costituzione se ne occupa  per  ciò  che attiene ai figli nati  fuori  del matrimonio, ai diritti  e doveri  che i genitori  hanno  nei loro  confronti  (art.  30, comma  1o, c.c.), alla tutela  giuridica  ad  essi spettante (art.  30, comma  3o, c.c.); la legislazione ordinaria dà  anche  rilievo,  sotto  qualche  aspetto, alla  figura  del convivente di fatto.  La  famiglia occupa,  tuttavia, una  posizione  di preminenza nel sistema costituzionale: il che corrisponde, ancora  una  volta,  al prevalente costume, alla  diffusa  convinzione  sociale  che i compiti  spettanti alla  famiglia entro l’organizzazione sociale  possano  essere  idoneamente adempiuti solo  in presenza della  garanzia  di un  vincolo  certo  e stabile,  basato  su quell’impegno solenne  che è  l’atto  di matrimonio. Il favore  costituzione per il matrimonio si manifesta sotto  due  aspetti.  L’art.  31, comma  1o, c.c., protegge la famiglia in positivo:  impone  alla  Repubblica di agevolare con  misure economiche e altre  provvidenze la formazione della  famiglia e l’adempimento dei compiti  relativi,  con  particolare riguardo alle  famiglie  numerose. Queste provvidenze si traducono, nella  legislazione  ordinaria, nelle  aggiunte  di famiglia, proporzionali al numero delle  persone a carico,  dovute  ai pubblici dipendenti (mentre per  il lavoratore in genere  vale  la direttiva costituzionale dell’art.  36, per  il quale  la retribuzione deve  essere  in ogni caso  sufficiente  ad  assicurare a se´  e alla  famiglia un’esistenza  libera  e dignitosa), nei criteri  di preferenza accordati  ai coniugati  nei pubblici  concorsi,  nelle agevolazioni fiscali per  le famiglie  numerose, nella  riduzione dell’imposta  di  successione  nei rapporti ereditari all’interno  della  famiglia e così  via. In  questo  quadro si inserisce  anche  la norma  dell’art.  37 Cost.,  relativa  alla  donna  lavoratrice: le condizioni  di lavoro  devono  consentire l’adempimento della sua  essenziale  funzione  familiare  e assicurare alla  madre  e al bambino una speciale  e adeguata protezione. Ev  però  una  norma  che presenta già  i segni del tempo:  essa  non  fa riferimento alle  naturali funzioni  della  donna,  ossia alla  gravidanza ed  al parto,  ma alla  sua  essenziale  funzione  familiare, postulando così uno  specifico  ruolo  della  donna  nella  famiglia, differenziato da quello  dell’uomo  e primario rispetto  alla  sua  condizione di lavoratrice, che nell’odierna società  industriale appare in conflitto  con  le esigenze  di emancipazione femminile  e con  lo stesso  principio  costituzionale della uguaglianza  morale  e giuridica  dei coniugi  (art.  29, comma  2o, c.c.). L’art. 30, comma  3o, c.c., d’altra  parte,  protegge la famiglia in negativo,  ponendo  limiti alla  tutela  dei figli nati  fuori  del matrimonio: questa  tutela  deve  essere compatibile con  i diritti  dei membri  della  famiglia legittima.  Il che si traduce, per il c.c., nel diritto  di veto  all’inserimento del figlio naturale nella  famiglia di uno dei  genitori,  che spetta  all’altro  coniuge  e, se hanno  compiuto sedici anni  e sono  conviventi,  ai figli legittimi  (art.  252 c.c.). Sotto  l’aspetto  successorio c’è , invece,  una  equiparazione pressoche´  totale,  di fronte  all’eredità  lasciata dai genitori,  tra  figli legittimi  e figli naturali:  i primi  non  hanno  diritti maggiori  dei secondi.  Permane però  una  disuguaglianza nella  norma  che ammette la cosiddetta commutazione: i figli legittimi  possono  soddisfare  in danaro o in beni  immobili  ereditari la porzione spettante ai figli naturali, sempre  che questi  acconsentano. Se si oppongono, decide  il giudice, valutate le circostanze personali  e patrimoniali (artt.  537, comma  3o, 542, comma  3o, 566, comma  2o, c.c.). Al  figlio legittimo  è  così attribuita, rispetto  al fratello  naturale, una  possibilità  che non  ha  rispetto  al fratello  legittimo.  
 famiglia nel diritto costituzionale:  la nostra  Costituzione, a differenza dello  Statuto albertino, non  solo  contiene numerose disposizioni  che sono  riferibili  alla  famiglia, ma dedica  specificamente ad  essa  gli artt.  29, 30 e 31. In  particolare, la famiglia si mostra  come  la prima  delle  formazioni sociali  in cui si svolge  la personalità dell’uomo  (art.  2), e viene  riconosciuta dalla  Repubblica come  società naturale. Tale  affermazione rappresenta la sintesi  di due  posizioni  per  certi versi contrapposte che si confrontano nell’Assemblea costituente: quella  di impronta giusnaturalistica, per  la quale  la famiglia, in quanto società  naturale, poteva  solamente essere  riconosciuta dallo  Stato,  senza  che però  questo potesse  creare  diritti  al riguardo,  visto che essi già  le appartenevano  (il parallelo era  con  i diritti  fondamentali della  persona); ed  un’altra,  che tendeva invece  ad  evitare  la contrapposizione fra lo Stato  e le altre formazioni sociali, rimarcando la prevalenza del primo  sulle seconde.  Il disegno  costituzionale, certamente innovativo  rispetto  al quadro delineato nel c.c. del 1942, considera la famiglia alla  luce  dei principi  di libertà  e autonomia, regolando i rapporti interni  sulla base  del consenso  e del rispetto  della personalità  dei singoli componenti. Il suo fondamento è  individuato nel matrimonio, negozio  attraverso cui si costituisce  un  vincolo  tendenzialmente stabile,  che viene  considerato il più  adatto alla  creazione di quell’ambiente in cui i coniugi  ed  i figli possono  sviluppare  la propria personalità, rimuovendo ad  un  primo  livello  gli ostacoli  che impediscono la piena uguaglianza  fra le persone (art.  3). A  tal  fine è  necessario  che lo stesso  matrimonio sia ordinato sull’eguaglianza  morale  e giuridica  dei coniugi, consentendo esclusivamente alla  legge di stabilire  dei limiti, e solo  a garanzia dell’unità  familiare.  L’indubitabile favor  matrimoni espresso  dalla nostra  Carta  non  impedisce,  come  ha  in più  occasioni  affermato la Corte Costituzionale, che trovino  tutela  anche  rapporti basati  sulla convivenza more  uxorio,  sebbene non  sanzionati dal matrimonio. Si discuteva  se, dati  i vincoli concordatari di cui all’art.  7 della  Costituzione, fosse costituzionalmente legittima  una  legge che consentisse lo scioglimento del matrimonio: dopo  l’introduzione della  legge sul divorzio  (l. 1o  dicembre 1970, n. 898), la Corte  Costituzionale, investita  della  materia, ne  ha riconosciuto la legittimità . Una  tutela  particolare all’interno  della  famiglia è accordata ai figli, assegnando ad  entrambi i genitori  il diritto  e il dovere  di mantenerli, istruirli  ed  educarli  (art.  30). In  tale  disposizione  convivono  un diritto  dei genitori,  che si esplica,  ad  esempio,  nella  scelta  delle  modalità attraverso cui l’educazione deve  avvenire;  ed  insieme  un  dovere,  che impone loro,  ad  esempio,  di assicurare ai figli la frequenza alla  scuola dell’obbligo.  L’educazione impartita all’interno  della  famiglia presenta indubitabili riflessi sociali, e si pone  come  presupposto per  l’assolvimento  dei propri doveri  di uomo  e di cittadino;  anche  per  questo  lo Stato,  nei casi di incapacità  dei genitori,  si incarica  di provvedere attraverso la legge a che siano  assolti  i loro  compiti.  I doveri  di cura  dei genitori  si estendono anche ai figli nati  fuori  dal matrimonio, ai quali  la legge assicura  ogni  tutela giuridica  e sociale,  compatibile con  i diritti  dei membri  della  famiglia; tutela, quest’ultima, che ha  visto un  potenziamento progressivo  ad  opera  del  legislatore  e della  giurisprudenza anche  costituzionale. La  Costituzione affida  infine  alla  legge il compito  di dettarne le norme  ed  i limiti per  la ricerca  della  paternità . La  Repubblica assume  l’impegno  di agevolare con misure  economiche ed  altre  provvidenze la formazione della  famiglia e l’adempimento dei  compiti  relativi,  con  particolare riguardo alle  famiglie numerose; nonche´  quello  di proteggere la maternità , l’infanzia  e la gioventù favorendo gli  istituti  necessari  a tale  scopo  (art.  31). Una  tutela  indiretta viene  anche  dalle  disposizioni  costituzionali che garantiscono al lavoratore una  retribuzione proporzionata alla  quantità  ed  alla  qualità  del suo lavoro, in  modo  che sia in ogni  caso  sufficiente  ad  assicurare un’esistenza  libera  e dignitosa,  oltre  che a se´ , anche  alla  sua  famiglia (art.  36); e da  quelle  che prevedono per  la donna  condizioni  di lavoro  compatibili con  l’adempimento della  sua  essenziale  funzione  familiare,  e che assicurano  alla  madre  ed  al bambino una  speciale  protezione (art.  37).  
 status di famiglia:  v. status familiae. 
 trattamento fiscale della famiglia:  il nucleo  familiare  agli effetti  tributari, ed  in particolare delle  imposte  sui redditi,  si considera composto dal coniuge,  dai parenti entro  il terzo  grado  e dagli  affini entro  il secondo  (art.  5, ult. comma, d.p.r.  n. 917 del 1986). Attualmente, la normativa tributaria è ispirata al principio  dell’autonomia fiscale  dei membri  del nucleo  familiare. Le  diverse  disposizioni  fiscali che si occupano delle  relazioni  economiche all’interno  della  famiglia mantengono autonome le determinazioni delle  imposte dovute  dai singoli componenti il nucleo  familiare,  considerando dunque la famiglia come  insieme  di interessi  e posizioni  individuali.  Fino  al 1975 vigeva invece  l’istituto  del cumulo  dei redditi  familiari,  per  il quale  i redditi  della  moglie venivano  sommati  a quelli  del marito  ai fini dell’applicazione dell’Irpef  (al riguardo vedi  la voce cumulo  dei redditi  familiari).  Nel  vigente  sistema, l’Irpef  è  invece  applicata distintamente nei confronti  di ogni  familiare,  in base  alla  capacità  contributiva di ognuno.  La  soggettività  passiva  ed  i connessi  obblighi  strumentali (ad  esempio,  la dichiarazione dei redditi) sono addossati  al singolo  contribuente, con  la sola possibilità  per  i coniugi  non legalmente ed  effettivamente separati di presentare la dichiarazione congiunta. Anche  in tale  ultima  ipotesi  la determinazione dell’imposta  è tuttavia  autonoma per  ciascun  coniuge  ed  è  consentita esclusivamente una compensazione a livello  di ritenute alla  fonte  e crediti  d’imposta.  Se ciascun componente la famiglia è  autonomamente soggetto  passivo  Irpef  per  i redditi propri  conseguiti,  gli obblighi  di assistenza  e di mantenimento previsti  dalla legge civile hanno  comunque una  certa  influenza  anche  ai fini tributari. Per i c.d. carichi  di famiglia sono  infatti  accordate le detrazioni di cui all’art.  12 d.p.r. cit., collegate  allo  status  di familiare  a carico.  Sono  considerati tali  i familiari  il cui reddito complessivo  sia inferiore a 5.400.000 rivalutati annualmente in base  all’indice  dei prezzi.  Tali detrazioni spettano, oltre  al coniuge  ed  ai figli, anche  agli altri  familiari  a carico  ex art.  433 c.c., che convivano  con  il contribuente o beneficino  di assegni  alimentari non collegati  a provvedimenti dell’autorità  giudiziaria.  Ev  inoltre  prevista  la possibilità  di dedurre dal reddito complessivo,  a titolo  di oneri  deducibili, alcune  spese  sostenute nell’interesse dei familiari  del contribuente (art.  10 d.p.r.  cit.). Il legislatore  tributario si sta  inoltre  muovendo nella  direzione  di  favorire  le famiglie  monoreddito, stabilendo l’aumento delle  detrazioni d’imposta  per  il coniuge  a carico  e raddoppiando quelle  per  i figli a carico nel caso  in cui anche  il coniuge  sia a carico.  Sempre  nell’intento di avvantaggiare le famiglie  monoreddito, per  certi  aspetti  penalizzate dall’autonomia delle  posizioni  fiscali dei singoli componenti il nucleo familiare,  è  stata  approvata una  legge delega  (v. art.  19 l. n. 408 del 1990) tendente ad  attenuare la progressività  delle  aliquote Irpef,  ripartendo il reddito complessivo  della  famiglia tra  i suoi  membri  con  lo strumento del quoziente  familiare.  Riguardano i rapporti familiari  anche  tutta  una  serie  di norme  sul trattamento fiscale  dei redditi  all’interno  della  famiglia. Tra  queste  si collocano  le disposizioni  sui redditi  dei figli minori  (art.  4 d.p.r.  cit.), sul divieto  della  deduzione dal reddito d’impresa  dei compensi  per  il lavoro svolto  dal coniuge  e dai figli minori  (art.  62 d.p.r.  cit.), sui redditi  dei beni oggetto  della  comunione legale  (art.  4 d.p.r.  cit.), sull’impresa  familiare  (art. 5 d.p.r.  cit.) e l’azienda  coniugale. 		
			
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