Enciclopedia giuridica

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Conversione



conversione del contratto nullo: il contratto nullo (v. nullità del contratto) è suscettibile di conversione. Ciò accade quando un contratto, nullo come contratto di un dato tipo, presenta tuttavia i requisiti di un altro tipo contrattuale: se si può ritenere, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, che esse avrebbero voluto anche il diverso tipo contrattuale di cui sono presenti i requisiti di forma e di sostanza, il contratto nullo produce gli effetti di questo tipo contrattuale (art. 1424 c.c.). Così una subenfiteusi ventennale, nulla come subenfiteusi (art. 968 c.c.), può produrre gli effetti di una locazione ventennale; e, per gli atti unilaterali, una cambiale nulla per mancanza di requisiti di forma (manca, ad esempio, la parola cambiale) può produrre gli effetti di una promessa di pagamento. La conversione conversione è applicazione di un più generale principio, che è quello della conservazione del contratto: la legge tende, finche´ è possibile, ad attribuire effetti ad una dichiarazione di volontà ; esprime il proprio favore per la conclusione degli affari, anziche´ per la loro mancata conclusione, per la circolazione della ricchezza, anziche´ per sua immobilità . La conversione implica un mutamento della causa (v.) del contratto: l’art. 1424 c.c. lo rende possibile entro un ambito circoscritto dallo scopo perseguito dalle parti. Se questo è ugualmente perseguibile mediante diversi tipi contrattuali, ed il tipo prescelto dalle parti presenta i requisiti di forma o di sostanza per esso prescritti, il contratto è convertito nel diverso tipo contrattuale del quale presenti i requisiti prescritti. L’art. 1424 c.c. si esprime con un linguaggio ambiguo, mosso dalla preoccupazione di contemperare l’accolto principio di conservazione con il rispetto della volontà delle parti: esso subordina la conversione alla presenza della cosiddetta volontà ipotetica dei contraenti, che avrebbero voluto il diverso contratto se avessero conosciuto la nullità di quello concluso. La conversione conversione non può essere pronunciata d’ufficio dal giudice: il giudice la dispone su domanda (riconvenzionale) di una delle parti, diretta a contrastare l’azione di nullità dell’altra. Il giudice non esegue due operazioni dichiarando prima la nullità di un contratto e poi creando ex novo un diverso contratto; esegue una sola operazione: respinge l’azione di nullità del contratto, essendo la causa di questo convertibile in una diversa causa, idonea a realizzare lo scopo perseguito dalle parti. Più chiaramente del c.c. si era espressa la relazione al re, n. 117: attraverso un negozio giuridico le parti mostrano di voler raggiungere un certo fine; il negozio da esse prescelto non ha, di fronte a questo fine, se non una funzione strumentale. Ev conforme alla buona fede (v.) che ciascuna parte rimanga vincolata agli effetti che si proponeva di trarre dal contratto nullo e che avrebbe ugualmente cercato di realizzare con altro contratto se si fosse rappresentata l’inefficienza giuridica di quello concluso. La conversione non sostituisce un contratto nullo, effettivamente voluto dalle parti, con un contratto valido, voluto dalle parti solo ipoteticamente; essa modifica la causa del contratto originariamente voluta dalle parti. La volontà che sorregge il contratto risultante dalla conversione è quella espressa dalle parti nella conclusione del contratto convertito. Fra le molteplici ipotesi di mutamento della causa del contratto, alcune volontarie, altre forzose, quella prevista dall’art. 1424 si caratterizza come un mutamento forzoso, legittimo solo nei limiti in cui la diversa causa, che prende il posto della causa originaria, realizza il medesimo scopo perseguito dalle parti. La giurisprudenza ha posto altri limiti alla conversione conversione: non opera se le parti conoscevano la causa di nullità del contratto; se la nullità deriva da illiceità ; se si pretende di convertire una donazione (v.) nulla per mancanza di forma solenne in una promessa di pagamento (v.), quale atto unilaterale. Sono limiti pienamente giustificati: volere un contratto sapendolo nullo, equivale a non volerlo; manca la volontà contrattuale presupposta dalla conversione. Del pari, l’illiceità che rende nullo il contratto non può non comunicarsi allo scopo perseguito dalle parti, impedendo la conversione conversione in un contratto lecito. Infine, la non convertibilità della donazione in promessa di pagamento deriva non solo e non tanto dalla natura unilaterale della seconda, quanto piuttosto dalla frustraneità dell’operazione: la pretesa del promissario troverebbe titolo in una promessa che reca già l’ammissione della mancanza del rapporto fondamentale, giacche´ la sentenza attuativa della conversione recherebbe menzione tanto della causa donandi quanto del difetto della forma richiesta.

conversione della mezzadria in affitto: v. mezzadria.

conversione del pignoramento: è una sostituzione dell’oggetto del pignoramento con una somma di denaro. Costituisce un diritto del debitore. Contestualmente all’istanza di conversione il debitore deve, a pena di inammissibilità , depositare in cancelleria una somma pari ad un quinto del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e di quello dei creditori intervenuti, indicati nei rispettivi atti di intervento. La somma è depositata dal cancelliere in un istituto di credito indicato dal giudice. Il giudice, sentite le parti, determina con ordinanza la somma rappresentativa delle spese e dei crediti da sostituire al bene pignorato. Con la stessa ordinanza il giudice dispone la liberazione delle cose sottoposte a pignoramento e la sostituzione di queste con la somma versata. Qualora il debitore ometta di versare l’importo determinato dal giudice, quanto da lui versato unitamente all’istanza va a far parte dei beni pignorati e lo stesso decade dalla possibilità di rinnovarla. Si ritiene che l’istanza possa, invece, essere rinnovata nel caso in cui la stessa sia stata respinta. Ev dibattuto se la proposizione dell’istanza importi la sospensione dell’ esecuzione e se il rimedio avverso l’ordinanza di conversione vada individuato nell’opposizione agli atti esecutivi o nella contestazione ex art. 512 c.p.c.. .

conversione del sequestro conservativo in pignoramento: è un mutamento del vincolo sul bene, prima posto per la conservazione della garanzia patrimoniale dell’attore poi posto ai fini dell’esecuzione forzata. Il momento di passaggio è segnato dall’emanazione di una sentenza esecutiva di condanna a favore del creditore sequestrante. Questi deve, poi, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza, provvedere al deposito di copia di questa presso la cancelleria del giudice competente per l’esecuzione e, se oggetto del sequestro sono beni immobili, deve chiedere l’annotazione della stessa a margine della trascrizione del sequestro presso l’ufficio del conservatore dei registri immobiliari. Deve infine provvedere alla notificazione ai creditori che sui beni abbiano un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri. Prima di tali adempimenti, se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o è compromessa in arbitri, deve proporre domanda di esecutorietà in Italia della sentenza straniera o del lodo. La giurisprudenza e parte della dottrina ritengono che la conversione avvenga ipso iure al momento in cui il creditore ottiene la sentenza esecutiva. Per altra parte della dottrina, invece, se le formalità non vengano tempestivamente adempiute la conversione non ha più luogo e per altra ancora viene a cessare o decadere anche il sequestro. .


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