Enciclopedia giuridica

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Buona fede



buona fede contrattuale: fa riferimento al comportamento secondo canoni di correttezza e lealtà che l’ordinamento impone ai contraenti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.); nell’interpretazione del contratto (v.) (art. 1366 c.c.); nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.); nella pendenza di una condizione (v.) sospensiva o risolutiva apposta al contratto (art. 1358 c.c.); nell’opporre l’eccezione di inadempimento (art. 1460, comma 2o c.c.).

buona fede in diritto penale: si ritiene che la buona fede abbia efficacia scusante nelle contravvenzioni a condizione che la mancanza di coscienza della illiceità del fatto derivi non dalla semplice ignoranza della legge, ma da un elemento positivo, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento (v. anche artt. 464, 457).

buona fede in pendenza della condizione: ai sensi dell’art. 1358 c.c., colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte, ossia custodendo con diligenza la cosa che sia alienata sotto condizione sospensiva o acquistata sotto condizione risolutiva.

interpretazione del contratto secondo buona fede: ai sensi dell’art. 1366 c.c., il contratto deve essere interpretato secondo buona fede. La disposizione impone di dare al contratto il significato che gli attribuirebbero contraenti corretti e leali, anche se in concreto entrambe o una delle parti del contratto da interpretare non lo sono affatto. Ev un criterio che può condurre a dare al contratto un significato diverso dal significato testuale delle espressioni che in esso figurano, se questo diverso significato è quello che al contratto darebbero contraenti corretti e leali. Il più delle volte l’interpretazione secondo buona fede serve proprio per vincere l’atteggiamento cavilloso della parte che invoca, a proprio vantaggio, ciò che il contratto testualmente dice o testualmente non dice (il contratto non lo vieta: dunque, posso farlo; il contratto non lo consente: dunque, non puoi farlo).

buona fede nei singoli contratti: il principio di buona fede ha ricevuto intensive applicazioni giurisprudenziali in relazione al contratto di lavoro. Una decisione delle sezioni unite, da più parti giudicata fondamentale, ha istituito un controllo giudiziario, poi ampiamente praticato, sulla discrezionalità del datore di lavoro (nella specie, ente pubblico economico) in materia di promozione dei dipendenti, con conseguente pronuncia di invalidità dell’atto adottato in violazione del dovere di buona fede. Alla buona fede nella formazione del contratto, anziche´ nella sua esecuzione, si ricollegano poi le sentenze che ammettono un sindacato giudiziario sui concorsi per l’assunzione di dipendenti. Ancora alla buona fede nell’esecuzione del contratto si riconduce il controllo giudiziario sull’esercizio del potere conferito al datore di lavoro nell’attribuzione delle note di qualifica, soggetto al sindacato giurisdizionale al fine di verificare se, per l’iniquità o l’intento discriminatorio del giudizio adottato, vi sia stata violazione della correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro; e, soprattutto, nella scelta dei lavoratori da collocare in cassa integrazione guadagni, oltre che in sede di trasferimento dei lavoratori. Particolare significato sembra assumere la giurisprudenza che ammette il riesame, secondo il criterio della buona fede, del licenziamento del lavoratore: qui il dovere di buona fede è inteso come dovere di non perseguire intenti discriminatori e di non scegliere sulla base di motivi irragionevoli, in quanto non inerenti al dipendente nella sua specifica qualità di lavoratore. Si può cogliere il nesso fra questa giurisprudenza e quella che, in rapporto all’apertura di credito (v.), ammette il controllo giudiziario sul recesso della banca, per ricostruire una teoria giurisprudenziale sull’abuso del diritto di recesso ad nutum, suscettibile di collocazione entro la parte generale sui contratti. La giurisprudenza lavoristica è però mossa da ben specifiche esigenze di tutela del lavoratore, insuscettibili di meccanica trasposizione alla parte di qualsiasi altro contratto. La protezione del lavoratore va oltre la protezione del contraente in quanto tale: attiene alla protezione di un diritto fondamentale, garantito dalla Costituzione (artt. 4, 36); e di un diritto che non si è mancato di iscrivere nel catalogo dei diritti dell’uomo. La stessa giurisprudenza lavoristica, del resto, si astiene dall’applicare al rapporto di lavoro il dovere di buona fede quando la sua applicazione andrebbe a danno, anziche´ a vantaggio, del lavoratore, come emerge dalla singolare massima secondo la quale ai fini della valutazione sulla legittimità delle forme cosiddette anomale di sciopero non è fondato il ricorso agli artt. 1175 e 1375 c.c., in quanto il dovere di correttezza attiene alla fase esecutiva del contratto di lavoro, non invece alla sospensione del rapporto quale si verifica in caso di sciopero. Altra rilevante applicazione riguarda il contratto di s.p.a.. La giurisprudenza inglese ripete, dal principio del secolo, la massima secondo la quale il voto deve essere esercitato dall’azionista bona fide nell’interesse dell’intera società ; una variante di questa massima è quella secondo la quale il giudice può annullare una deliberazione che sia tale che nessuna persona ragionevole potrebbe considerarla utile per la società . Questa forma di controllo giudiziario del voto è ammessa anche dalla nostra giurisprudenza: essa conduce all’annullamento della deliberazione presa con abuso del diritto di voto o, come alcuni, impropriamente, si esprimono, viziata per eccesso di potere. In materia di vendita (v.) il dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto è stato tradotto nell’obbligo del venditore di non vendere a terzi prima che il compratore non abbia, con la trascrizione dell’atto, reso opponibile l’acquisto.

buona fede nel diritto internazionale: situazione psicologica rilevante per il diritto internazionale in quanto produttiva di conseguenze giuridiche. Può essere intesa in un duplice senso: a) soggettivo, come ignoranza incolpevole di ledere una situazione giuridica altrui; b) oggettivo, quale generale dovere di correttezza e di reciproca lealtà di condotta nei rapporti tra soggetti. Alla buona fede fa anche riferimento la Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969, sul diritto dei trattati: l’art. 26, riafferma il principio pacta sunt servanda, disponendo che ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere eseguito da esse in buona fede; l’art. 31, comma 1o, invece, prevede una regola generale di interpretazione, in base alla quale un trattato deve essere interpretato in buona fede, secondo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo.

buona fede nella eccezione di inadempimento: il secondo comma dell’art. 1460 c.c. impedisce di opporre l’eccezione di inadempimento quando il rifiuto della propria prestazione appaia, avuto riguardo alle circostanze, contrario alla buona fede. Ev una applicazione specifica della clausola generale di buona fede contrattuale (v.). In questa materia la giurisprudenza ha enunciato generici criteri, come quello secondo il quale la parte che oppone l’eccezione può considerarsi in buona fede, secondo la previsione di cui all’art. 1460 c.c., solo se il rifiuto di esecuzione del contratto si traduca in un comportamento che risulti oggettivamente ragionevole e logico, nel senso che trovi concreta giustificazione nel rapporto tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate, in relazione ai canoni legali di corrispettività e contemporaneità delle medesime; oppure come il più restrittivo criterio per cui il giudice deve valutare il comportamento della parte contraente per stabilire quando il rifiuto di adempiere, in relazione alla disciplina delle obbligazioni e dei contratti (artt. 1175, 1366, 1376 c.c.), sia strumento per la tutela del proprio diritto ovvero mezzo per mascherare la propria inadempienza. Più utile è ricercare la ratio decidendi (v.), anche se non enunciata; si constata allora che la giurisprudenza si è attenuta ai seguenti criteri: a) l’eccezione è contraria alla buona fede quando non c’è proporzionalità fra la prestazione ineseguita e quella rifiutata (quando, in altre parole, manca requisito corrispondente a quello della importanza dell’inadempimento di cui all’art. 1455 c.c.); b) l’eccezione è contraria alla buona fede quando la mancata esecuzione della controprestazione è dovuta a ragioni scusabili, come nel caso dell’assicurato che si vede negata la copertura assicurativa per mancato pagamento dei premi nei modi previsti dal contratto, quando egli era abituato, secondo la prassi instaurata dalla compagnia, ad attendere che un incaricato di questa venisse a riscuotere i premi; c) l’eccezione è contraria alla buona fede quando si sia prestata acquiescenza all’asserito inadempimento della controparte: in particolare, quando sia opposta, per contrastare l’altrui domanda di adempimento, dopo che sia trascorso un lungo lasso di tempo dall’eccepito inadempimento altrui, nel corso del quale ci si è astenuti dal dolersi del comportamento della controparte, oppure nel caso di chi si rifiuti di concludere il contratto definitivo, adducendo che la cosa oggetto del contratto manca delle qualità promesse, dopo che aveva già a lungo goduto della cosa e parzialmente pagato il prezzo.

buona fede nella esecuzione del contratto: l’art. 1375 c.c. impone alle parti di eseguire il contratto secondo buona fede è comunemente considerata una norma che concorre a formare il contenuto legale del contratto, a norma dell’art. 1374 c.c.; sicche´ la violazione del dovere di esecuzione secondo buona fede è violazione del contratto, inadempimento contrattuale. Due specifiche applicazioni di legge della buona fede buona fede sono: a) l’obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione, per conservare integre le ragioni dell’altra parte (art. 1358 c.c.), ossia custodendo con diligenza la cosa che sia alienata sotto condizione sospensiva o acquistata sotto condizione risolutiva (qui non opera l’art. 1177 c.c. perche´ , fino a quando la condizione non si avveri, l’obbligazione di consegnare non è ancora sorta); b) il divieto di rifiutare la propria prestazione, avvalendosi della eccezione di inadempimento, se il rifiuto è contrario a buona fede (art. 1460, comma 2o, c.c.). Si deve, a questo riguardo, tenere conto delle circostanze: ad esempio, l’azienda elettrica o quella telefonica può legittimamente sospendere l’erogazione dell’energia elettrica o staccare l’allacciamento del telefono all’utente che non paga la bolletta (art. 1565 c.c.); ma è contrario alla buona fede sospendere l’esecuzione della prestazione se (come pure accade) la bolletta non pagata è stata recapitata nel mese di agosto, quando l’utente è in ferie. Oltre questa duplice tipizzazione legislativa, c’è l’ormai vasta casistica giurisprudenziale, quanto mai molteplice e varia, lontana dal soddisfacimento di quelle esigenze di tipizzazione cui si è prima fatto riferimento. Se tipizzazioni giurisprudenziali di comportamenti sono finora emerse, esse riguardano piuttosto singoli contratti, come il contratto di lavoro o come il contratto di s.p.a., che non il contratto in generale. In sede generale possono solo indicarsi queste tre generiche categorie: c) la buona fede buona fede implica il dovere di ciascuna parte di realizzare l’interesse contrattuale dell’altra o di evitare di recarle danno, anche con l’adempimento di obblighi non previsti dalla legge o dal contratto, come l’obbligo di prestazioni accessorie rispetto a quelle contrattuali (si può fare l’esempio di chi, avendo locato un appartamento ad un handicappato, ha il dovere di dotare l’ingresso di uno scivolo che consenta all’inquilino di entrare e di uscire sulla carrozzella); d) la buona fede buona fede importa l’obbligo di informazione su circostanze sopraggiunte che la controparte non è in grado di conoscere. Così se la prestazione di una parte sta per diventare temporaneamente o definitivamente impossibile (si pensi alla somministrazione di beni, come l’energia elettrica, o di servizi, come i trasporti di linea, che viene temporaneamente sospesa o che cessa per ragioni interne all’impresa del somministrante), la parte dovrà darne pronta notizia all’altra, per consentirle di procurarsi altrimenti la prestazione o, comunque, di attrezzarsi in modo da non subire danno; e) la violazione del dovere di buona fede buona fede può anche configurarsi come abuso del diritto (v. abuso, buona fede del diritto): accade quando un contraente esercita verso l’altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati. Egli, ad esempio, vuole sciogliersi da una vendita che ritiene per se´ non vantaggiosa e, per poterne ottenere la risoluzione, esige il prezzo scegliendo ad arte il momento di una temporanea difficoltà economica del compratore (che non potrà più adempiere dopo l’altrui domanda di risoluzione). Un caso frequente si manifesta nella s.p.a.: la maggioranza delibera un aumento di capitale (v. capitale sociale, aumento del buona fede) al solo scopo di liberarsi di una scomoda minoranza, sapendo che questa non sarà in grado di sottoscrivere le azioni di nuova emissione. Altro caso si è manifestato in relazione al recesso ad nutum dal contratto di apertura di credito (v.). Un giudice di merito ha censurato l’inatteso comportamento della banca che, dopo avere largamente elargito credito, ha improvvisamente esercitato il recesso, esigendo l’immediato rientro. Altro caso ancora riguarda l’esecuzione del contratto di agenzia (v.): il canone della buona fede vi è utilizzato per impedire al preponente di abusare dei propri diritti contrattuali. All’abuso del diritto si ricollega anche la censura mossa al contraente che aveva esercitato mala fide il diritto di opzione ex art. 1331 c.c.: l’ipotesi può considerarsi intermedia fra quella del recesso ingiustificato dalle trattative e quella dell’abuso del recesso dal già concluso contratto, ed a rigore deve dirsi che il promissario è già parte di un contratto ed esercita, con l’opzione, un diritto attribuitogli dal contratto. La violazione del dovere di buona fede comporta, di regola, l’obbligazione di risarcire il danno che si è cagionato alla controparte. Ma può anche comportare conseguenze diverse valutabili come una sorta di esecuzione in forma specifica del dovere di buona fede. Negli esempi ora fatti, sempre che si riesca a dare prova dell’abuso, comporta che la domanda di risoluzione è respinta dal giudice e che la vendita, perciò , conserva la propria efficacia; o comporta, se si prova che la maggioranza ha abusato del diritto di voto, l’invalidità della deliberazione assembleare di aumento del capitale sociale. Un’ipotesi legislativa di esecuzione in forma specifica del dovere di buona fede è ravvisabile nel rapporto fra l’art. 1358 c.c., che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione, e l’art. 1359 c.c., che considera avverata la condizione mancata per causa imputabile a chi aveva interessi contrari al suo avveramento. Qui la conseguenza posta a carico del contraente che ha violato il dovere di buona fede non è la generica obbligazione di risarcire il danno, ma l’efficacia del contratto, produttivo di effetti nei suoi confronti, quantunque sottoposto a condizione sospensiva mancata. Ulteriore rimedio diverso dall’azione di danni è quello che va sotto il nome dell’exceptio (e della replicatio) doli generalis (v. exceptio, buona fede doli generalis).

buona fede nella formazione del contratto e nello svolgimento delle trattative: il dovere di buona fede buona fede assume, anzitutto, il carattere di un dovere di informazione di una parte nei confronti dell’altra: ciascuna di esse ha il dovere di dare notizia delle circostanze che appaiono ignote all’altra e che possono essere determinanti del suo consenso (tali per cui l’altra parte, sapendole, non avrebbe contrattato o avrebbe contrattato a condizioni diverse). Così, ad esempio, è contrario alla buona fede il non dire, mentre si vende un’area edificabile, di essere a conoscenza di un progetto di variante al piano regolatore comunale che modificherà la destinazione di quell’area (qui non potrà applicarsi la norma relativa all’annullamento del contratto per errore sulla qualità dell’oggetto perche´ , al momento della vendita, il terreno è ancora un’area fabbricabile); oppure (ipotesi inversa) il non dire, mentre si tratta il prezzo di acquisto di un terreno agricolo, di essere a conoscenza di una variante al piano regolatore, in corso di approvazione, che rende edificabile quel terreno e, perciò , ne eleva sensibilmente il prezzo. Al dovere di informazione si collega la figura della reticenza (v.): la violazione del dovere di informazione può dare luogo, se ad essa segue il contratto, ad una azione di annullamento per dolo (v. dolo contrattuale) omissivo. L’omessa informazione può però assumere rilievo, e fondare un’azione di danni della controparte, indipendentemente dall’annullamento del contratto: lo si è ritenuto per l’ipotesi in cui il committente abbia omesso di informare l’appaltatore su circostanze che rendono notevolmente più onerosa la sua prestazione. Una ipotesi fortemente tipizzata dalla giurisprudenza è quella del recesso senza giusta causa dalle trattative precontrattuali. Si considera contraria a buona fede una improvvisa e ingiustificata rottura delle trattative, intervenuta nel momento in cui l’altra parte aveva motivo di fare affidamento sulla futura conclusione del contratto ed aveva, perciò , effettuato delle spese per fare fronte all’adempimento delle obbligazioni contrattuali o aveva rinunciato ad altri contratti. Le principali regole giurisprudenziali che governano la materia sono le seguenti: a) occorre che, sia pure in sede di semplici trattative, le parti abbiano preso in considerazione gli elementi essenziali del contratto che propongono o sperano di stipulare; b) è , invece, irrilevante, l’eventuale breve durata od il numero minimo degli incontri intervenuti tra le parti, ove l’interruzione ad opera di una delle parti risulti comunque priva di ogni ragione giustificativa e tale perciò da sacrificare il legittimo affidamento che la controparte poteva avere fatto sulla conclusione del contratto; c) non c’è giusta causa di recesso se il recedente adduce circostanze già note all’inizio della trattativa o conoscibili con l’ordinaria diligenza; d) c’è giusta causa di recesso se una parte si avvede di essere stata indotta alla trattativa dal dolo dell’altra parte, che aveva già alienato a terzi lo stesso bene; e) non c’è giusta causa di recesso da parte della P.A. se questa, dopo avere invitato la controparte privata a dare inizio all’esecuzione della prestazione in attesa delle autorizzazioni amministrative alla conclusione del contratto, recede dalla trattativa per una ragione diversa dal mancato ottenimento delle autorizzazioni. Chi, violando il dovere di buona fede buona fede, ha cagionato un danno all’altra parte è tenuto a risarcirlo. V. responsabilità , buona fede precontrattuale.

buona fede nella interpretazione del contratto: v. interpretazione del contratto, buona fede oggettiva.

buona fede nella petizione d’eredità: la buona fede ha rilevanza sotto un duplice profilo. In primo luogo, ai sensi dell’art. 534, comma 2o, c.c., l’azione di petizione di eredità (v.) non può essere esercitata contro chi, in buona fede, ha acquistato, per effetto di convenzioni a titolo oneroso, diritti dall’erede apparente. La buona fede prevista da tale norma sta a significare l’ignoranza, da parte del terzo che ha contrattato con l’erede apparente, del fatto che il presunto erede apparente, in effetti, non è il vero erede. Secondo l’interpretazione preferibile tale stato di buona fede soggettiva (v.), in deroga al principio generale sancito dall’art. 1147, comma 3o, c.c., non è presunto, ma deve essere provato dal terzo (art. 534 comma 2o c.c.). In secondo luogo, assume rilevanza la buona fede buona fede, sempre soggettiva, del soggetto possessore di beni ereditari, al quale verrà chiesta la restituzione degli stessi, nonche´ dei frutti (v.), spese, miglioramenti ed addizioni. Ai sensi dell’art. 535 comma 3o, c.c., il possessore in buona fede, che ha alienato pure in buona fede una cosa dell’eredità, è solo obbligato a restituire all’erede il prezzo o il corrispettivo ricevuto. Se il prezzo o il corrispettivo è ancora dovuto, l’erede subentra nel diritto di conseguirlo. Ev possessore in buona fede colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari, ritenendo per errore di essere erede. La buona fede non giova se l’errore dipende da colpa grave.

buona fede nello svolgimento delle trattative: v. buona fede nella formazione del contratto e nello svolgimento delle trattative.

buona fede nel matrimonio putativo: la buona fede buona fede consiste nell’ignoranza della causa di invalidità del matrimonio. V. anche matrimonio, buona fede putativo.

buona fede oggettiva: la buona fede buona fede è quella intesa come dovere di comportarsi con correttezza e lealtà , definita anche come buona fede contrattuale (v.).

possesso di buona fede: la protezione giuridica del possesso prescinde dallo stato di buona fede o di mala fede del possessore; ed è , perciò , possessore, e sia pure possessore di mala fede, anche il ladro, il ricettatore ecc.: la mala fede non gli preclude l’esercizio delle azioni a tutela del possesso, non lo priva del diritto al rimborso delle spese e dell’indennità per i miglioramenti; ne´ gli impedisce di acquistare la proprietà per usucapione (v.). Per molteplici altri effetti è , invece, rilevante lo stato soggettivo della buona fede del possessore: solo il possessore di buona fede fa propri i frutti (v.) della cosa altrui posseduta, acquista la proprietà delle cose mobili mediante il possesso, fruisce dell’usucapione abbreviata. Ev in buona fede chi possiede la cosa ignorando di ledere l’altrui diritto (art. 1147, comma 1o, c.c.), cioè ignorando l’altruità della cosa; è , per contro, in mala fede chi sa di possedere la cosa altrui. Non è più richiesto, perche´ vi sia buona fede buona fede, che esso tragga origine, come richiedeva il previgente c.c., da un titolo idoneo a trasferire il diritto: è possessore di buona fede chi si sia impossessato della cosa mobile altrui ritenendola res nullius; ma a diversi effetti il titolo idoneo è rilevante, come per l’acquisto a non domino delle cose mobili, per l’usucapione abbreviata (v. usucapione, buona fede abbreviata), per l’accessione nel possesso (v. accessione, buona fede del possesso). La presenza di un titolo, d’altra parte, non implica sempre buona fede: chi compera dal ladro o dal ricettatore dispone di un titolo, ma sa di ledere il diritto del derubato. Lo stato di buona fede non è escluso dall’errore di fatto o di diritto; è però escluso dalla colpa grave (art. 1147, comma 2o, c.c.): è mala fede la cosiddetta buona fede temeraria, ossia lo stato soggettivo di chi, pur ignorando l’altruità della cosa, poteva venirne a conoscenza usando un minimo di diligenza (v.), come nel caso di chi faccia incauto acquisto di una cosa rubata, in presenza di circostanze (ad esempio, il prezzo troppo basso) tali da ingenerare il ragionevole dubbio o il ragionevole sospetto che il venditore non ne fosse il proprietario, ma il ladro o il ricettatore; oppure nel caso di chi acquista un bene la cui vendita è sottoposta ad altrui prelazione legale, senza indagare sulla esistenza di soggetti aventi diritto alla prelazione.

possesso di buona fede dei beni mobili: v. acquisto, buona fede a non domino.

presunzione di buona fede: il possessore si presume in buona fede, salvo prova contraria (art. 1147, comma 3o, c.c.); onde profitta della più estesa protezione giuridica del possesso di buona fede anche il possessore del quale non si riesca a provare la mala fede. Inoltre basta, perche´ il possesso sia considerato di buona fede, che il possessore fosse originariamente in buona fede, anche se successivamente abbia acquistato coscienza dell’altruità della cosa (art. 1147, comma 3o, c.c.). Il che si suole ripetere con l’antica massima:mala fede superveniens non nocet. Il principio della buona fede buona fede trova applicazione anche nel caso del matrimonio putativo (v. matrimonio, buona fede putativo). Non trova invece applicazione in quello del pagamento al creditore apparente (v. creditore, buona fede apparente) (art. 1189 comma 1o, c.c.) o dell’acquisto della proprietà per accessione invertita (v. accessione, buona fede invertita) (art. 938 c.c.).

buona fede soggettiva: la buona fede di cui all’art. 1147 c.c. è la cosiddetta buona fede buona fede; va tenuta distinta dalla buona fede oggettiva, intesa come dovere di comportarsi con correttezza e lealtà . Questo diverso significato assume la buona fede contrattuale (v.): buona fede nelle trattative, nell’esecuzione, nell’interpretazione del contratto, in pendenza della condizione, nella proposizione dell’eccezione di inadempimento. Fuori di questi casi, nei quali è assunto in senso oggettivo, il concetto di buona e di mala fede è utilizzato dal c.c. in senso soggettivo, come stato psicologico di conoscenza o di ignoranza. L’art. 1147 c.c. si riferisce alla buona fede nel possesso, non alla buona fede buona fede in genere. In linea di massima l’art. 1147 c.c. può essere considerato come espressione di generali principi regolatori dello stato soggettivo di buona fede o di mala fede: non sempre la buona fede si presume; non sempre la buona fede implica un dovere di diligenza ed è esclusa dalla colpa grave. La buona fede non si presume, ad esempio, nell’acquisto della proprietà per accessione invertita (v. accessione, buona fede invertita) (art. 938 c.c.) o nel pagamento al creditore apparente (v. creditore, buona fede apparente) (art. 1189 c.c.).

buona fede temeraria: lo stato di buona fede non è escluso dall’errore di fatto di diritto; è però escluso dalla colpa grave (art. 1147, comma 2o, c.c.): è mala fede la cosiddetta buona fede buona fede, ossia lo stato soggettivo di chi, pur ignorando l’altruità della cosa, poteva venirne a conoscenza usando un minimo di diligenza, come nel caso di chi faccia incauto acquisto di una cosa rubata, in presenza di circostanze (ad esempio, il prezzo troppo basso) tali da ingenerare il ragionevole dubbio o il ragionevole sospetto che il venditore non ne fosse il proprietario, ma il ladro o il ricettatore; oppure nel caso di chi acquista un bene la cui vendita è sottoposta ad altrui prelazione legale (v. prelazione, buona fede legale), senza indagare sulla esistenza di soggetti aventi diritto alla prelazione.


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