Enciclopedia giuridica

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Filiazione



filiazione civile: è il rapporto di filiazione instaurato dall’atto giuridico di adozione (v.).

filiazione legittima: la condizione giuridica del figlio o, come tecnicamente si dice, il suo stato entro la famiglia può essere quello di figlio legittimo o di figlio naturale o di figlio adottivo. I primi due stati si basano sul fatto naturale della generazione, il terzo deriva da un atto giuridico, l’adozione (v.), che stabilisce un rapporto elettivo di filiazione (cosiddetta filiazione civile) fra persone non legate da vincolo di sangue. La materia è regolata in modo da favorire l’acquisto dello stato di figlio legittimo. Questo spetta, in linea di principio, a chi sia stato concepito o sia nato in costanza di matrimonio, ossia da genitori tra loro coniugati, non importa che si trattasse di matrimonio valido oppure di matrimonio poi dichiarato nullo. Si determina, dunque, secondo due criteri: a) spetta a chi sia stato concepito durante il matrimonio, anche se nato dopo la cessazione o la dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale; b) spetta a chi sia nato durante il matrimonio, anche se concepito prima della sua celebrazione. Le due ipotesi vanno considerate separatamente: a) concepimento in costanza di matrimonio. La materia è retta da presunzioni (v. presunzione), che si basano su alcuni dati certi, risultanti dagli atti dello stato civile: la data della nascita, la data del matrimonio e della sua cessazione o del suo annullamento, la maternità (mater semper certa). Il principio base è posto dall’art. 231 c.c.: il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio. Ev così introdotta una prima presunzione: il figlio di donna coniugata, concepito durante il matrimonio, si presume figlio del di lei marito. Ma questa prima presunzione non sempre basta, non potendosi stabilire con esattezza la data del concepimento. Valgono, allora, due presunzioni: aa) si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato almeno 180 giorni dopo la celebrazione del matrimonio ed entro 300 giorni dallo scioglimento del vincolo, per morte del marito o per divorzio (v.), o dalla dichiarazione di nullità del matrimonio (art. 232, comma 1o, c.c.). Se è nato in questo periodo, è stato, probabilmente, concepito in costanza di matrimonio; e questa probabilità giustifica la presunzione di legge, che però non opera trascorsi 300 giorni dalla separazione personale dei coniugi (v. separazione dei coniugi) (art. 232, comma 2o, c.c.). La presunzione ammette una, sia pur difficile, prova contraria. Il marito della madre o la madre stessa o, diventato maggiorenne, il figlio o, se il figlio è minorenne, un curatore speciale nominato dal tribunale su istanza del figlio che abbia compiuto sedici anni (su istanza del p.m. se il figlio è di età inferiore) possono esercitare l’azione di disconoscimento della paternità (v. azione, filiazione di disconoscimento della paternità ): devono dimostrare che, nel periodo intercorrente fra i 300 e i 180 giorni prima della nascita, 1) i coniugi non coabitavano; oppure 2) il marito era affetto da impotenza; oppure 3) la moglie, pur coabitando, aveva commesso adulterio o aveva tenuto nascosti al marito la gravidanza e il parto. In questo terzo ordine di casi, data la prova dell’adulterio o dell’occultamento, occorre fornire prove ulteriori (superflue, invece, nei primi due ordini di casi): o che il figlio presenta caratteristiche genetiche o ematologiche incompatibili con quelle del presunto padre o che esistono altri fatti idonei ad escludere la paternità. In nessun caso basta la sola dichiarazione della madre (art. 235 c.c.), anche se questa può essere valutata come elemento di prova, in concorso con altre risultanze; ab) si presume, all’opposto, non concepito durante il matrimonio il figlio nato 300 giorni dopo lo scioglimento o l’annullamento del matrimonio (o dopo la pronuncia di separazione giudiziale o l’omologazione della separazione consensuale). Tuttavia, ciascuno dei coniugi o i loro eredi e lo stesso figlio possono provare (per quanto un simile prolungamento della gravidanza sia del tutto eccezionale) che il concepimento è avvenuto durante il matrimonio (art. 234 c.c.); b) nascita in costanza di matrimonio. Il figlio nato dopo la celebrazione del matrimonio, ma prima che da essa siano trascorsi 180 giorni, è con estrema probabilità concepito prima delle nozze, essendo biologicamente abnorme una così breve gestazione. Nessuna presunzione di concepimento in costanza di matrimonio può , dunque, operare. L’art. 233 c.c. stabilisce, tuttavia, che il figlio è reputato legittimo se uno dei coniugi, o il figlio stesso, non ne disconoscono la paternità. L’opinione tradizionale era nel senso che bastasse fornire, per ottenere il disconoscimento, la sola prova della nascita avvenuta prima di 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio (e, da questo punto di vista, il disconoscimento era, virtualmente, una mera dichiarazione di volontà di chi esercita l’azione). Oggi è , invece, richiesta la prova, ulteriore, che il marito della madre non è il padre. Certo è comunque che, se non viene esercitata azione di disconoscimento, il figlio è legittimo: la nascita in costanza di matrimonio è di per se´ sola il fondamento dello stato di figlio legittimo, autonomo titolo di legittimità della filiazione. Lo stato di figlio legittimo può formare materia di tre distinte azioni: l’azione di disconoscimento della paternità ; l’azione di contestazione della legittimità (v. azione, filiazione di contestazione della legittimità ); l’azione di reclamo della legittimità (v. azione, filiazione di reclamo della legittimità ). Lo stato di figlio legittimo si prova con l’atto di nascita, iscritto nei registri dello stato civile (art. 236, comma 1o, c.c.); in mancanza di esso, basta la prova del possesso di stato (art. 236, comma 2o, c.c.). Anche qui, come per la prova del matrimonio, il possesso di stato è costituito da un triplice ordine di fatti: avere sempre portato il cognome del padre (nomen), essere sempre stato trattato da questo come figlio (tractatus), essere stato sempre considerato come suo figlio nella famiglia e nei rapporti sociali (fama) (art. 237 c.c.). Il possesso di stato ha una funzione solo probatoria se manca l’atto di nascita; ma assume una funzione addirittura costitutiva dello stato di figlio legittimo se si accompagna ad un conforme atto di nascita. In presenza di questo duplice supporto probatorio (atto di nascita più conforme possesso di stato) le apparenze prevalgono sulla realtà : nessuno può contestare la legittimità ne´ può reclamare uno stato diverso da quello che gli attribuiscono l’atto di nascita e il possesso di stato (art. 238 c.c.), salvo solo il caso che l’azione di contestazione o quella di reclamo si basi sulla supposizione di parto o sulla sostituzione di neonato (art. 239 c.c.).

filiazione naturale: è figlio naturale il figlio nato fuori del matrimonio: è , più esattamente, il figlio al quale non spetti lo stato di figlio legittimo. Il figlio naturale può restare tale oppure può essere riconosciuto da uno o da entrambi i genitori o può ottenere l’accertamento giudiziale della paternità o della maternità . Il figlio naturale non riconosciuto assume il nome che gli è dato, secondo il proprio capriccio, dall’ufficiale dello stato civile (cui l’art. 72 legge dello stato civile vieta però di imporre nomi ridicoli, rivelanti la nascita fuori del matrimonio ecc.) ed è iscritto nei registri dello stato civile quale figlio di ignoti o quale figlio di madre che non desidera essere nominata. Soluzione discutibile, giacche´ la madre almeno (salvo il caso di neonati abbandonati) non è ignota. Ma si è voluto rispondere sia all’interesse attuale della madre, che può desiderare di tenere occulta la maternità , sia all’interesse futuro del figlio, che può preferire di tenere occulta la propria discendenza da donna di discussa reputazione. Il riconoscimento del figlio naturale è una libera dichiarazione del genitore o dei genitori, con l’assenso del figlio, se questi ha già compiuto 16 anni (art. 250, comma 2o, c.c.), o dell’altro genitore, se il figlio è infrasedicenne (art. 250, comma 3o, c.c.), o del tutore, se l’altro genitore è morto. In caso di rifiutato consenso, decide il tribunale per i minorenni a norma dell’art. 250, comma 4o, c.c.; ed il provvedimento tiene conto, esclusivamente, dell’interesse del figlio, escluso ogni accertamento sulla veridicità del riconoscimento. Può essere fatto in molteplici forme: nello stesso atto di nascita oppure con apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, resa davanti all’ufficiale di stato civile o al giudice tutelare o espressa in un atto pubblico (v.) o in un testamento (v.) (art. 254, comma 1o, c.c.); è , altresì, implicito nella domanda di legittimazione (art. 254, comma 2o, c.c.); ma non può il genitore, anziche´ dichiarare il riconoscimento, formulare domanda giudiziale di accertamento della propria paternità o maternità . Ha natura di dichiarazione di scienza (v. atti giuridici, filiazione di scienza), non di dichiarazione di volontà (v. atti giuridici, dichiarazioni di volontà come filiazione), come rivela l’analogia di disciplina con la confessione (v.): può essere impugnato, con azione imprescrittibile, dall’autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse per difetto di veridicità (art. 263 c.c.); può , inoltre, essere impugnato per violenza dell’autore del riconoscimento entro un anno dalla cessazione della violenza (art. 265 c.c.). Una volta fatto, è irrevocabile: se contenuto in un testamento, produce effetto dalla morte del testatore, anche se il testamento era stato revocato (art. 256 c.c.). Possono essere riconosciuti i figli premorti, in favore dei loro discendenti legittimi o dei loro figli naturali riconosciuti (art. 255 c.c.). I figli adulterini, non riconoscibili prima della riforma del 1975, possono essere riconosciuti (salvi solo i limiti all’inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia legittima del genitore naturale; e possono essere riconosciuti anche i figli incestuosi, cioè nati dall’unione di un ascendente con un proprio discendente o da un fratello con la propria sorella o da due affini in linea retta (suocero e nuora); ma solo dal genitore che, al tempo in cui il figlio è stato concepito, ignorava di essere parente o affine dell’altro (art. 251 c.c.). In nessun caso, invece, è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo (v. filiazione legittima) in cui la persona si trova (art. 253 c.c.); ciò che esprime una tendenza legislativa di favore per lo stato di figlio legittimo. Una specifica norma, introdotta dall’art. 74 della l. n. 184 del 1983, mira a sventare l’abuso delle norme sull’adozione, attuata con un falso riconoscimento di figlio naturale. Il riconoscimento di figlio naturale fatto da persona coniugata nei riguardi di figlio non riconosciuto dall’altro genitore è dall’ufficiale di stato civile comunicato al tribunale dei minorenni, che dispone le opportune indagini per accertare la veridicità del riconoscimento e, se emergono fondati motivi per impugnarlo, nomina un curatore speciale che proceda all’impugnazione. Il figlio naturale o, se è morto, i suoi discendenti, possono chiedere al tribunale la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità , dando la prova dell’una o dell’altra; e la prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo: anche con l’analisi ematologica sul rapporto biologico fra figlio e genitore. A provare la paternità non bastano però la sola dichiarazione della madre, ne´ la prova di una relazione di questa con il presunto padre al tempo del concepimento (art. 269 c.c.). La prova dell’esistenza, al tempo del concepimento, di una relazione more uxorio o di rapporti intimi non è di per se´ sola sufficiente, ma può concorrere al convincimento del giudice quando essa trovi riscontro in altre risultanze probatorie, come l’affetto dimostrato dal presunto genitore verso chi ne rivendica la paternità e la notorietà di tale rapporto affettivo. Il convenuto, se oppone l’exceptio plurium concubentium, non può chiedere che il contraddittorio sia integrato con la chiamata in causa delle persone anzidette, nei cui confronti la sentenza non può produrre alcun effetto. L’azione è imprescrittibile riguardo al figlio; i suoi discendenti possono esercitarla entro due anni dalla sua morte (art. 270 c.c.). Il principio di un limite alla ricerca della paternità è fissato dalla Costituzione: per l’art. 30, comma 4o, c.c., la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità . Il limite è giustificato dall’esigenza di proteggere un diritto della personalità del preteso genitore naturale, ossia il suo diritto alla riservatezza: qui il suo diritto a che le vicende della sua vita privata non formino materia di indagine e di dibattito giudiziario. Nel c.c. riformato il limite vale sia per la ricerca della paternità sia per quella della maternità ; e si traduce in due regole: a) l’esercizio dell’azione per l’accertamento giudiziale della paternità o della maternità deve essere preceduto da una preliminare delibazione sommaria e segreta del tribunale circa l’ammissibilità dell’azione, diretta a stabilire se concorrono specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata (art. 274 c.c.); b) in nessun caso l’azione è ammissibile nell’ipotesi in cui il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato, salvo che vi sia stato ratto o violenza carnale (art. 278 c.c.). Nella sommaria cognizione preliminare, rivolta ad accertare l’ammissibilità dell’azione, si formulano giudizi di probabilità e non di certezza, si accerta che l’azione non è verosimilmente priva di fondamento; e l’azione deve essere dichiarata inammissibile soltanto qualora si mostri prima facie palesemente infondata, avventata o temeraria. La posizione del figlio riconosciuto, o giudizialmente accertato, è identica a quella del figlio legittimo. Egli ha, nei confronti del genitore che lo ha riconosciuto o del quale è stata accertata la paternità o la maternità (ma solo nei suoi confronti), i diritti e gli obblighi del figlio legittimo. Diversa è la condizione del figlio naturale non riconoscibile e giudizialmente non accertabile: egli può solo ottenere che il genitore naturale provveda al suo mantenimento o, se maggiorenne e in stato di bisogno, gli corrisponda gli alimenti (art. 279 c.c.). Alla morte del genitore naturale ha diritto ad un assegno vitalizio, se il genitore non aveva disposto per testamento (v.) o per donazione (v.) a suo favore (artt. 580, 594 c.c.). V. anche legittimazione, filiazione del figlio naturale.


Figlio      |      Finalità extrafiscali del tributo


 
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