Enciclopedia giuridica

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Separazione dei coniugi

I doveri reciproci fra coniugi (v. coniugi, diritti e doveri dei separazione dei coniugi) si attenuano in caso di separazione personale: tra i coniugi separati non c’è più l’obbligo della coabitazione, ne´ quello della fedeltà ; il dovere di assistenza assume carattere solo eventuale e puramente economico; si riduce all’obbligo del coniuge di corrispondere un assegno periodico per il mantenimento dell’altro coniuge, cui non sia addebitabile la separazione e che non abbia redditi propri (art. 156 c.c.). La separazione dei coniugi può essere giudiziale (v. separazione dei coniugi giudiziale) o consensuale (v. separazione dei coniugi consensuale). Lo stato di separazione giudiziale o consensuale cessa, senza bisogno di alcun provvedimento del giudice, per volontà anche tacita dei coniugi, che riprendano a convivere (art. 157 c.c.); ma non basta la mera coabitazione. Ev possibile mutare il titolo della separazione, ossia chiedere la separazione giudiziale in costanza di separazione consensuale.

separazione dei coniugi con addebito: v. separazione dei coniugi giudiziale.

separazione dei coniugi consensuale: è quella decisa di comune accordo fra i coniugi, che determinano anche le relative condizioni circa l’affidamento dei figli, il loro mantenimento, l’eventuale assegno di un coniuge all’altro. Essa ha effetto solo con l’omologazione da parte del tribunale (art. 158 c.c.), salvo l’effetto della giusta causa di allontanamento del coniuge, che sospende l’obbligo della coabitazione (v. residenza, allontanamento dalla separazione dei coniugi familiare).

separazione dei coniugi giudiziale: è pronunciata dal tribunale su domanda di uno dei coniugi, quando siano sopraggiunti fatti, anche indipendenti dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, tali da rendere la convivenza fra essi intollerabile o dannosa all’educazione dei figli (art. 151, comma 1o, c.c.). Nel pronunciare la separazione, il giudice dichiara, se richiesto, a quale dei coniugi la separazione sia addebitabile, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (art. 151, comma 2o, c.c.). Chi subisce l’addebito non ha diritto al mantenimento (art. 156, comma 1o, c.c.), ma solo agli alimenti (v.) se ne ricorrono i presupposti. Fra assegno di mantenimento e assegno alimentare intercorre questa differenza: il secondo è dovuto quando l’altro coniuge versa in stato di bisogno e in misura non superiore alle necessità della vita, avuto riguardo alle sue condizioni economiche (art. 438, comma 2o, c.c.); il primo è dovuto quando il suo reddito sia inadeguato a sostenere il tenore di vita goduto durante la convivenza. L’entità dell’assegno di mantenimento è determinata, a norma dell’art. 156, comma 2o, c.c., in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato; e l’applicazione di questi criteri ha provocato una accesa litigiosità , che la giurisprudenza ha così composto: fra le circostanze del caso va considerato anche il fatto che l’obbligato abbia un patrimonio immobiliare, anche se fonte di scarsi redditi; se il coniuge separato si è formato una nuova famiglia, l’assegno di mantenimento deve contemperare le esigenze di sostentamento anche di questa. La separazione può , dunque, essere pronunciata indipendentemente dal fatto che la sopraggiunta intollerabilità della convivenza coniugale sia addebitabile ad uno dei coniugi. Prima della riforma del 1975, invece, solo l’adulterio e altre specifiche colpe di uno dei coniugi legittimavano la domanda giudiziale di separazione da parte dell’altro. Permane, tuttavia, un retaggio del passato: la possibilità , su richiesta di una delle parti, di un giudizio di addebitabilità, basato sull’accertamento della violazione dei doveri matrimoniali (v. coniugi, diritti e doveri dei separazione dei coniugi), ma rilevante solo agli effetti della corresponsione dell’assegno di mantenimento. Nei giudizi di addebitabilità viene in considerazione, il più delle volte, la violazione del dovere di fedeltà ; ma la giurisprudenza tende ad applicare criteri restrittivi: l’adulterio è motivo di addebitabilità non in se´ , ma solo in quanto abbia prodotto la situazione di intollerabile convivenza coniugale o grave pregiudizio all’educazione della prole; inoltre, se c’è già stata separazione dei coniugi di fatto o separazione dei coniugi consensuale, o se è già iniziato il processo di separazione dei coniugi giudiziale, con separazione provvisoria autorizzata a norma dell’art. 708 c.p.c., l’adulterio è motivo di addebitabilità solo se si traduce in comportamenti che offendono il decoro e la onorabilità dell’altro coniuge (cosiddetta infedeltà apparente ed umiliante). Altri motivi di addebito riscontrati nell’esperienza giurisprudenziale: la violazione dell’obbligo di fissare la residenza della famiglia (v. residenza, separazione dei coniugi degli sposi); l’avere la moglie intrapreso contro la volontà del marito, e perciò violando il dovere di concordare l’indirizzo familiare, una attività lavorativa; la violazione del dovere di assistenza rispetto al coniuge ammalato. Il fatto costituente addebito deve essere cosciente e volontario, anche se non animato dallo specifico intento di provocare la frattura dell’unione coniugale; e non deve essere provocato dall’ingiustificato comportamento dell’altro coniuge, sempre che si tratti di reazione immediata e proporzionata al torto ricevuto. La conversione religiosa del coniuge non è considerata di per se´ causa di addebito. L’addebito della separazione dei coniugi può diventare rilevante anche agli effetti del divorzio (v.). Il giudice, nel pronunciare la separazione, stabilisce a quale dei coniugi separati debbano essere affidati i figli, in quale misura l’altro coniuge debba provvedere al loro mantenimento e quale dei coniugi debba restare nella casa familiare (art. 155 c.c.). Il provvedimento adottato a quest’ultimo riguardo non attribuisce al beneficiario un diritto reale (v. diritti reali), bensì un diritto equiparabile alla locazione (v.) ultranovennale; sicche´ il provvedimento, se non trascritto nei registri immobiliari, non è opponibile al terzo cui il proprietario abbia alienato l’immobile, salva ovviamente l’azione di danno verso l’alienante e, se consapevole, verso l’acquirente. Il giudice provvede circa l’affidamento della prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa (art. 155, comma 1o, c.c.) e, perciò, indipendentemente dall’esito del giudizio eventuale di addebitabilità. Il coniuge al quale sono affidati i figli ha l’esercizio esclusivo della potestà su di essi; ma le decisioni di maggiore interesse debbono essere adottate da entrambi i genitori (art. 155, comma 3o, c.c.). L’abitazione della casa familiare è assegnata con preferenza al coniuge cui vengono affidati i figli (art. 155, comma 4o, c.c.). La norma è suscettibile di due letture: che l’abitazione può essere assegnata, sussistendo specifiche ragioni, al coniuge non affidatario; oppure che il giudice, ove non l’assegni al coniuge affidatario, deve omettere di pronunciarsi sull’assegnazione, lasciandola in godimento al coniuge che ha titolo per abitarla, quale proprietario o quale locatario. Quest’ultima è l’interpretazione preferibile: la norma si inquadra, come mostra la rubrica dell’art. 155 c.c., fra quelle concernenti i provvedimenti riguardo ai figli; ed è incongruo applicarla, quando la separazione intervenga fra coniugi privi di figli, per assegnare la casa ad un coniuge diverso dal proprietario o dal locatario oppure ad uno dei due comproprietari o conduttori.


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