Enciclopedia giuridica

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Pubblica Amministrazione



pubblica Amministrazione aggiudicatrice: il concetto di pubblica Amministrazione pubblica Amministrazione, utilizzato dalle direttive e dalle leggi di recepimento nazionali, risulta essere diverso dal concetto nazionale di ente pubblico e, per molti aspetti, di gran lunga più esteso, al punto da ricomprendere persino le s.p.a. in mano pubblica, che per il diritto nazionale sono persona giuridiche private. Per l’art. 2, comma 1o, del d.l. 19 dicembre 1991, n. 406, attuativo della direttiva n. 440 del 1989 in materia di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, ai fini del presente decreto si considera ente pubblico qualsiasi organismo, dotato di personalità giuridica, istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale e la cui attività è finanziata in misura maggioritaria dallo Stato, dalle regioni, e dalle province autonome di Trento e Bolzano, dalle province, dagli enti locali o da altri enti pubblici ovvero la cui gestione è sottoposta al controllo dei soggetti anzidetti, oppure i cui organi di amministrazione, direzione o vigilanza sono costituiti per più della metà da componenti designati dai soggetti anzidetti. Per l’art. 1, comma 3o, del d.l. 24 luglio 1992, n. 358, attuativo della direttiva n. 62 del 1977, n. 767 del 1980, n. 295 del 1988 in materia di appalti pubblici di forniture, sono amministrazioni aggiudicatrici: a) le amministrazioni dello Stato, comprese quelle con ordinamento autonomo, con esclusione dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, limitatamente ai servizi delle telecomunicazioni, dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici e dell’Amministrazione dei monopoli di Stato, per le sole forniture di sali e tabacchi; b) le province, le città metropolitane, i comuni, le comunità montane e i consorzi e le associazioni tra i soggetti anzidetti; c) tutti gli altri enti pubblici e gli enti equivalenti enumerati nell’allegato 3, ivi comprese le regioni e le province autonome di cui al comma 4o. Per l’art. 1, lett. b, della direttiva Cee n. 50 del 1992 relativa agli appalti pubblici di servizi, sono amministrazioni aggiudicatrici, lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico. Per organismo di diritto pubblico si intende qualsiasi organismo: istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, e pubblica Amministrazione avente personalità giuridica, e pubblica Amministrazione la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali e da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico. Da queste definizioni emerge quella che la Corte di giustizia delle Comunità europee ha descritto come la concezione funzionale del concetto comunitario di ente pubblico, la quale prescinde dalla qualificazione, se ente pubblico oppure privato, che il soggetto riceve alla stregua del diritto nazionale. Il criterio dominante, nelle definizioni legislative sopra riportate, è quello che fa capo al concetto di organismo, sia esso qualificabile o no come ente pubblico, il quale presenti uno di questi tre indici di pubblicità : o il prevalente finanziamento pubblico della sua attività , o la sottoposizione della sua gestione al controllo pubblico, o la nomina pubblica di oltre la metà dei suoi amministratori. Emerge così una nozione sostanziale, e non solo formale, di ente pubblico, che considera, al di là della qualificazione formale dell’ente aggiudicatore, il fatto che questo utilizzi danaro pubblico o agisca sotto il controllo pubblico o sia gestito da amministratori di nomina pubblica. Alla stregua di questo criterio anche un ente pubblico economico, ossia un ente gestore di impresa pubblica, può rientrare nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici; e può rientravi anche una s.p.a. a partecipazione pubblica, come è reso esplicito dall’art. 1, comma 2o, della direttiva n. 531 del 1990, relativa alle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e di quelli che operano nel settore delle telecomunicazioni. A questo criterio sostanziale, e non solo formale, di ente pubblico non può sottrarsi la materia delle pubbliche forniture, quantunque la direttiva e la relativa legge di recepimento non la accolgano testualmente. Il suo implicito accoglimento risulta tuttavia dall’art. 4 del cit. d.l. n. 358 del 1992, che esclude le forniture (poi ricomprese nella sopra menzionata direttiva n. 531 del 1990) da parte di amministrazioni la cui attività principale consiste nella produzione ed erogazione di energia o che operano principalmente nel campo delle telecomunicazioni. Qui si fa riferimento ad imprese pubbliche, gestite da enti pubblici economici o da s.p.a. in mano pubblica; ed è evidente che, se tali imprese fossero estranee dal concetto generale di ente pubblico di cui all’art. 1, comma 3o, sarebbe stata superflua una loro specifica esclusione. L’unica scriminante, entro la nozione comunitaria di ente pubblico, è quella risultante dalla espressione organismo istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale. Risultano esclusi, anche se aventi i sopra menzionati requisiti di pubblicità , gli organismi diretti a soddisfare meri bisogni industriali o commerciali. Il riferimento è all’impresa pubblica o alla società in mano pubblica che, in regime di concorrenza con imprese industriali o commerciali private ed a scopo di lucro, svolga una comune attività di produzione industriale o di distribuzione commerciale, come ad esempio il produrre autovetture o il produrre o distribuire prodotti alimentari. In questo ordine di casi l’impresa, ancorche´ in mano pubblica, si sottopone al libero gioco delle forze del mercato; e ciò , nella valutazione del legislatore comunitario, vale a garantire a priori che l’impresa, in quanto gestita secondo il calcolo economico degli utili e delle perdite, conformerà alle leggi di mercato i propri approvvigionamenti, l’indizione di appalti e così via, rendendo superflua l’adozione delle specifiche procedure di liberalizzazione che sono state introdotte dalle direttive in materia.

reati contro la pubblica Amministrazione: la pubblica Amministrazione può intendersi il complesso delle funzioni pubbliche riferibili allo Stato, ovvero ad altro ente pubblico. In tal senso vanno ricomprese nel concetto di pubblica Amministrazione non solo la funzione amministrativa strettamente intesa, ma anche la funzione giudiziaria e legislativa. Mediante tale categoria di delitti (artt. 314 – 360 c.p.), si intende tutelare il buon andamento e l’imparzialità della attività amministrativa (art. 97 Cost.). Buon andamento significa efficienza, regolare funzionamento, idoneità al perseguimento e raggiungimento dei fini dell’attività della pubblica Amministrazione, a tutela dell’interesse collettivo. Per imparzialità deve intendersi il privilegiare fini da perseguire secondo criteri strettamente oggettivi, sempre in funzione dell’interesse generale. I reati contro la pubblica Amministrazione sono propri (v. reato). Qualifiche soggettive rilevanti sono: a) pubblico ufficiale. Ev colui che esercita una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa (art. 357 c.p.). L’unico parametro è costituito dalla attività in concreto svolta. Pertanto, è rinvenibile l’esercizio di una pubblica funzione nell’ambito di una soggettività privatistica, così che anche il privato può assumere la qualifica di pubblico ufficiale; b) la funzione legislativa. Essa riguarda tutte le attività dirette alla creazione di provvedimenti ed atti aventi denominazione e valore di legge; c) la funzione giudiziaria. Comprende la funzione giurisdizionale in senso stretto, esercitata dai giudici ordinari, dagli organi delle giurisdizioni speciali, della Corte Costituzionale, del Consiglio di Stato, nonche´ tutte le funzioni, anche di natura amministrativa, relative all’esercizio del potere giudiziario, quali l’attività svolte dal cancelliere, l’ufficiale giudiziario; d) la funzione amministrativa. Ev tale ogni attività che si manifesta nell’esercizio di poteri deliberativi, di rappresentanza e di direzione dell’ufficio, tale da incidere sulla formazione e manifestazione della volontà della pubblica Amministrazione, nonche´ di poteri autoritativi, che conferiscono un posizione di supremazia della pubblica Amministrazione verso il privato; e) incaricato di un pubblico servizio. Esso è caratterizzato dalla mancanza dei poteri tipici della pubblica funzione, quali quelli autoritativi e certificativi (art. 358 c.p.). Le mansioni meramente applicative e materiali non rientrano nella nozione di pubblico servizio, in quanto esse non sono caratterizzate da autonomie decisionali e discrezionalità; f) esercente un servizio di pubblica necessità. Ev tale il privato che esercita professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato, senza una speciale abilitazione dello stato, quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi (art. 359 c.p.). Esercitano altresì un servizio di pubblica necessità i privati che non esercitando una pubblica funzione ne´ prestando un pubblico servizio adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica Amministrazione.

responsabilità della pubblica Amministrazione: v. responsabilità della Pubblica Amministrazione.

scelta del contraente della pubblica Amministrazione: particolare attenzione è dedicata dalla legge sulla contabilità generale dello Stato alla scelta del contraente. Il principio è che tutti i contratti si fanno per asta pubblica (pubblici incanti), ma si possono fare, in presenza di particolari ragioni, per licitazione privata, e solo in casi eccezionali, nei quali sia impossibile seguire i primi due metodi, si può ricorrere alla trattativa privata. La licitazione privata è permessa quando vi sia urgenza dell’acquisto di cose o vi sia da affidare lavori a ditte specializzate. Mentre l’asta pubblica è aperta a tutti coloro che posseggano i requisiti impersonalmente richiesti dal bando, la licitazione privata è riservata a specifici soggetti invitati dall’amministrazione a partecipare alla gara. I metodi di gara, così come regolati dalla legge sulla contabilità generale dello Stato, sono quattro: quello delle candele vergini, quello del pubblico banditore, quelli dell’offerta segreta e della scheda segreta. Per la licitazione privata si usano soltanto gli ultimi due. Il metodo per pubblico banditore è previsto solo per le alienazioni di beni mobili: il banditore enuncia il prezzo base; chi vuole fa offerte in aumento e resta aggiudicatario chi fa l’ultima offerta più elevata. Il metodo delle candele, poco usato, consiste nell’accendere alcune candele, e le offerte vanno fatte prima che queste si consumino. Con il metodo dell’offerta segreta i partecipanti inoltrano buste chiuse contenenti l’offerta di un certo corrispettivo: trascorso il tempo di gara, il presidente della commissione aggiudicatrice apre le buste e dichiara aggiudicatario chi ha offerto il prezzo più vantaggioso per l’amministrazione. Con il metodo della scheda segreta i partecipati presentano in busta chiusa le proprie offerte, mentre il prezzo base fissato dall’amministrazione è segreto, menzionato in busta chiusa. La scheda segreta indica o il prezzo minimo che l’amministrazione vorrebbe ricevere o il prezzo massimo che vorrebbe pagare o due prezzi, un minimo e un massimo, uno dei quali segna il limite oltre il quale l’amministrazione non reputa vantaggioso il contratto e l’altro il limite oltre il quale lo reputa troppo svantaggioso per la controparte. Trascorso il tempo di gara, si aprono prima le buste dei partecipanti e poi quella della scheda segreta. Se nessuno dei partecipanti supera il minimo o scende sotto il massimo indicato nella scheda segreta, la gara è dichiarata deserta; altrimenti è aggiudicatario chi più si allontana dal minimo o dal massimo, senza superare il limite opposto in caso di doppio limite.

soggezione al diritto comune della: la natura pubblicistica o privatistica dell’attività della pubblica Amministrazione va ricollegata, anziche´ al fine cui è preordinata, alle oggettive modalità organizzative secondo le quali si svolge: in particolare, l’attività della pubblica Amministrazione ha natura privatistica quando, anche se diretta a realizzare un pubblico fine, si svolga secondo criteri di economicità , ossia con i caratteri di una attività imprenditoriale. A questo modo il diritto comune a pubblici e privati operatori, secondo la formula di M.S. Giannini, trova un oggettivo punto di riferimento: le attività economiche, quale che sia la natura, pubblica o privata, del soggetto che le esercita, sono regolate dal diritto privato o, meglio, dal diritto comune. Il presupposto di applicazione del diritto comune è dalla giurisprudenza reso oggettivo: dipende cioè dall’accertamento delle modalità in concreto attuate dall’ente pubblico per lo svolgimento della propria attività ; non già dalla previsione di una espressa norma di legge che assoggetti l’ente al diritto comune. In presenza di quell’oggettivo presupposto, gli stessi poteri di organizzazione e le stesse facoltà discrezionali spettanti alla pubblica Amministrazione subiscono un radicale mutamento di qualificazione giuridica: cessano di essere pubbliche potestà e discrezionalità amministrative per diventare potere imprenditoriale privato, spettante alla pubblica Amministrazione come a qualsiasi imprenditore (v.), con la conseguenza che l’autorità giudiziaria ordinaria può , nelle controversie sollevate dai dipendenti dell’ente, sindacare la legittimità degli atti e dei componenti di questo alla stregua del c.c. e, in particolare, in base alla clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. (v. buona fede). I giudici non sentono il bisogno di dare una giustificazione normativa alla sistemazione accolta. La dottrina l’ha però da tempo ritrovata nella Carta costituzionale e, in particolare, nel principio implicito nell’art. 41, comma 3o: è il principio secondo il quale le attività economiche pubbliche, benche´ attività pubbliche, sono sottratte allo statuto della pubblica Amministrazione; esse, per il solo fatto di essere attività economiche, sono sottoposte all’indifferenziato statuto proprio di queste. Il principio ha anche una significativa valenza economica, che la giurisprudenza della Cassazione rende ora operante; vale come principio regolatore del mercato in economia mista; è il principio secondo il quale i soggetti che agiscono sul mercato, siano soggetti privati oppure soggetti pubblici, debbono operare in condizione di giuridica parità , secondo un medesimo diritto. La medesima valenza hanno, già nel c.c., le norme dell’art. 2093, commi 1o e 2o, c.c., che assoggettano alle norme del quinto libro le imprese esercitate dagli enti pubblici; e le norme degli artt. 2458 – 59 c.c., che circoscrivono i privilegi concessi agli enti pubblici azionisti, lasciando la s.p.a. in mano pubblica sottoposta sotto ogni altro aspetto alle stesse norme applicabili alla s.p.a. in mano privata. Le considerazioni fin qui svolte riguardano la disciplina delle attività ; analogo discorso vale per la disciplina degli atti (v. atti giuridici) o per quella dei fatti (v. fatti giuridici) riferibili all’ente pubblico. L’ente pubblico può , nello svolgimento di una attività non economica e, dunque, non privatistica, porre in essere singoli atti o singoli fatti destinati ad essere regolati dal diritto privato. Viene sotto questo aspetto in considerazione la duplice capacità dell’ente pubblico, di diritto pubblico e di diritto privato. La prima è una capacità speciale: l’ente pubblico può porre in essere atti amministrativi (v. atto amministrativo), con carattere di autoritatività , solo nei casi espressamente previsti dalla legge. La seconda è , invece, una capacità generale, che abilita l’ente a compiere, per la realizzazione dei suoi fini istituzionali, anche atti di autonomia privata, e che lo espone, pur quando abbia posto in essere un atto autoritativo, alle conseguenze privatistiche che si ricollegano alla qualificazione dell’atto autoritativo come fatto, in particolare come fatto illecito. L’ente pubblico può comprare anziche´ espropriare (v. espropriazione per pubblica utilità ), prendere in locazione anziche´ requisire (v. requisizione), pur là dove espresse norme di legge gli consentono di espropriare o di requisire. Sempre più di frequente espresse norme di legge prevedono l’uso del contratto, anziche´ dell’atto amministrativo, da parte dell’ente pubblico non economico: sono i ben noti e ormai classici casi degli appalti e delle forniture pubbliche; ma altri casi sono meno classici: così gli Iacp vendono, e non assegnano per atto amministrativo, gli alloggi agli assegnatari. Un significativo banco di prova del principio che assoggetta lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali al diritto comune è costituito dalla disciplina del fatto illecito commesso, nell’esercizio delle loro funzioni, dai loro funzionari e dipendenti. Vale al riguardo una duplice regola fissata dalla Costituzione (art. 28 c.c.): a) dei fatti illeciti compiuti da funzionari e dipendenti sono direttamente responsabili, secondo le leggi civili (oltre che secondo quelle penali e amministrative), coloro che li hanno commessi. La regola è ribadita dal t.u. n. 3 del 1957 sullo statuto degli impiegati civili dello Stato: l’impiegato che, nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi e dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto è personalmente obbligato a risarcirlo (art. 22), esclusa però la responsabilità per colpa lieve (art. 23); b) del danno risponde, inoltre, lo Stato o l’ente pubblico da cui dipende colui che lo ha cagionato (regola ribadita, anche questa, dall’art. 22 del citato t.u.). Altrettanto incontroverso è che l’ente pubblico soggiace all’azione di ripetizione di indebito (v. indebito, ripetizione di pubblica Amministrazione), all’azione di arricchimento (v. arricchimento senza causa) e così via, anche quando l’indebito o l’arricchimento si sia prodotto nel corso di attività pubblicistica dell’ente pubblico. Può l’ente pubblico, il quale abbia posto in essere un atto di autonomia privata (v. autonomia contrattuale), sottrarsi all’applicazione di questa o di quella norma del c.c., adducendo che si tratta di norma applicabile solo a privati contraenti, incompatibile con la sua natura di soggetto pubblico o con il pubblico interesse per il quale esso agisce? Fino a non molto tempo fa la giurisprudenza si prestava ancora ad una simile operazione di ritaglio; concedeva allo Stato ed agli altri enti pubblici più di una immunità dal diritto comune: così esonerava la pubblica Amministrazione, che avesse predisposto condizioni generali di contratto (v.), dall’applicazione dell’art. 1341, comma 2o c.c., sull’approvazione scritta delle clausole vessatorie, ripugnando l’idea che anche la pubblica Amministrazione, al pari dei privati contraenti forti, potesse vessare i propri contraenti. Così rendeva la pubblica Amministrazione, che avesse concluso un contratto preliminare (v. contratto, pubblica Amministrazione preliminare), immune dall’applicazione dell’art. 2932 c.c., concedendole la scelta se adempiere il preliminare oppure, essendo il contratto non più conforme all’interesse pubblico, rifiutarsi di adempiere, soggiacendo alla responsabilità per inadempimento (v. inadempimento; responsabilità pubblica Amministrazione contrattuale). Queste persistenti aree di immunità , per quanto assai più circoscritte che non in precedenza, denotavano il persistere, nei nostri giudici, di antiche visioni del diritto privato: essi ritenevano di potere distinguere fra norme di diritto privato, ormai qualificabili come norme di diritto comune e, perciò, applicabili anche a soggetti pubblici, ancorche´ agenti nell’interesse generale, e norme di diritto privato ancora qualificabili come norme di diritto privato in senso classico, ossia regolatrici dei rapporti fra privati e relative a interessi particolari. Con la caduta delle ultime immunità , una più complessa vicenda può dirsi compiuta: si può dire interamente realizzata, nella nostra giurisprudenza, la conversione del diritto privato in diritto comune. Possiamo anche dire, se il fenomeno vogliamo collocarlo su un più ampio sfondo, che il nostro sistema giuridico tende sempre più ad allontanarsi dal modello, proprio in origine dei paesi dell’Europa continentale, dello Stato a diritto amministrativo, e che esso tende progressivamente ad avvicinarsi al modello dello Stato a diritto comune, proprio dei paesi anglosassoni, nei quali la distinzione fra diritto pubblico e diritto privato ha un valore solo descrittivo. Anche sotto questo aspetto, come sotto gli aspetti che attengono all’autorità del precedente giudiziario, e pur con tutte le cautele che debbono accompagnare l’indicazione dei fenomeni di tendenza, si può dire che le discontinuità fra le diverse civiltà giuridiche del nostro tempo tendono gradatamente ad attenuarsi. Resta, infine, da precisare come entro il nostro sistema si combinino due principi apparentemente di segno opposto: da un lato il principio, posto dall’art. 11 c.c., che sottrae gli enti pubblici all’applicazione del diritto comune; dall’altro il principio che reclama, all’opposto, la loro sottoposizione al diritto comune. Fra i due principi non c’è contraddizione, avendo essi ambiti di applicazione diversi: il primo riguarda la disciplina dei soggetti; il secondo quella degli atti (v. atti giuridici), dei fatti (v. fatti giuridici), delle attività . In particolare: a) gli enti pubblici sono sottoposti al diritto comune, ossia alle medesime norme applicabili ai soggetti privati, per ciò che attiene alla disciplina dei fatti, degli atti e delle attività economiche da essi posti in essere. Qui si applica la disciplina propria dei fatti, degli atti, delle attività, mentre è irrilevante la natura del soggetto, pubblico o privato, che li abbia posti in essere; b) gli enti pubblici sono sottratti, invece, al diritto comune quando non si tratta di regolare fatti o atti o attività , bensì il soggetto che li ha posti in essere, la sua interna organizzazione, le sue vicende. Qui si applica la disciplina propria del soggetto, che è diversa per i soggetti pubblici e per quelli privati. Sotto il secondo aspetto assume rilievo l’art. 11 c.c., relativo alle persone giuridiche pubbliche. Esso vale a sottrarre gli enti pubblici alle norme dettate per le persone giuridiche private (v. persona giuridica pubblica, pubblica Amministrazione e persona giuridica privata) e, in primo luogo, alle norme che i successivi artt. 12 ss. c.c. dedicano alla interna organizzazione di queste ultime, per sottoporle alle leggi e agli usi osservati come diritto pubblico. A questa funzione derogatoria dal diritto comune si ricollega anche l’art. 2221 c.c., che sottrae gli enti pubblici economici al fallimento (v.), ossia alla procedura concorsuale di diritto comune. Qui non vengono in considerazione fatti o atti o attività del soggetto pubblico: la procedura investe il soggetto nella sua globalità ; perciò l’ente pubblico, sottratto al fallimento, è sottoposto ad una speciale procedura di liquidazione, ossia alla liquidazione coatta amministrativa. Ma anche nell’ambito di questa speciale procedura gli enti pubblici occupano una posizione differenziata rispetto ai soggetti privati che vi sono sottoposti (banche private, compagnie di assicurazione, società cooperative): l’art. 95 l. fall. sottrae gli enti pubblici all’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza, anche questo essendo un giudizio che verte sul soggetto in quanto tale, e non su fatti o atti o attività da esso posti in essere.


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