pubblica Amministrazione aggiudicatrice:  il concetto di pubblica Amministrazione pubblica Amministrazione, utilizzato  dalle  direttive  e dalle  leggi di recepimento nazionali,  risulta  essere  diverso  dal concetto nazionale di ente pubblico  e, per  molti  aspetti,  di gran  lunga  più  esteso,  al punto  da ricomprendere persino  le s.p.a.  in mano  pubblica,  che per  il diritto nazionale sono  persona giuridiche  private.  Per  l’art. 2, comma  1o, del d.l. 19 dicembre  1991, n. 406, attuativo della  direttiva  n. 440 del 1989 in materia  di aggiudicazione degli  appalti  di lavori  pubblici,  ai fini del presente decreto si considera ente  pubblico  qualsiasi  organismo, dotato di personalità  giuridica, istituito  per  soddisfare  specificamente bisogni  di interesse generale non aventi  carattere industriale o commerciale e la cui attività  è  finanziata in misura  maggioritaria dallo  Stato,  dalle  regioni,  e dalle  province  autonome di Trento e Bolzano,  dalle  province,  dagli  enti  locali o da  altri  enti  pubblici ovvero  la cui gestione  è  sottoposta al controllo dei soggetti  anzidetti, oppure i cui organi  di amministrazione, direzione  o vigilanza  sono  costituiti per  più  della  metà  da  componenti designati  dai soggetti  anzidetti.  Per  l’art. 1, comma  3o, del d.l. 24 luglio 1992, n. 358, attuativo della  direttiva  n. 62 del  1977, n. 767 del 1980, n. 295 del 1988 in materia  di appalti  pubblici  di forniture, sono  amministrazioni aggiudicatrici:  a) le amministrazioni dello Stato,  comprese quelle  con  ordinamento autonomo, con  esclusione dell’Amministrazione delle  poste  e delle  telecomunicazioni, limitatamente ai servizi delle  telecomunicazioni, dell’Azienda di Stato  per  i servizi telefonici e dell’Amministrazione dei monopoli di Stato,  per  le sole forniture di sali e tabacchi;  b)  le province,  le città  metropolitane, i comuni,  le comunità  montane e i consorzi  e le associazioni  tra  i soggetti  anzidetti;  c) tutti  gli altri  enti  pubblici  e gli enti  equivalenti enumerati nell’allegato  3, ivi comprese le regioni  e le province  autonome di cui al comma  4o. Per  l’art. 1, lett.  b, della  direttiva  Cee  n. 50 del 1992 relativa  agli appalti  pubblici  di servizi, sono  amministrazioni aggiudicatrici,  lo Stato,  gli enti  locali, gli organismi  di diritto  pubblico,  le associazioni  costituite  da  detti  enti  od organismi  di diritto  pubblico.  Per  organismo  di diritto  pubblico  si intende qualsiasi  organismo:  istituito  per  soddisfare  specificamente bisogni  di interesse generale aventi  carattere non  industriale o commerciale, e pubblica Amministrazione avente personalità  giuridica,  e pubblica Amministrazione la cui attività  è  finanziata in modo maggioritario dallo  Stato,  dagli  enti  locali e da  organismi  di diritto pubblico,  oppure la cui gestione  è  soggetta  al controllo di questi  ultimi, oppure il cui organo  d’amministrazione, di direzione  o di vigilanza  è costituito  da  membri  più  della  metà  dei quali  è  designata dallo  Stato,  dagli enti  locali o da  altri  organismi  di diritto  pubblico.  Da  queste  definizioni emerge  quella  che la Corte  di giustizia  delle  Comunità  europee ha  descritto come  la concezione funzionale  del concetto comunitario di ente  pubblico,  la quale  prescinde dalla  qualificazione, se ente  pubblico  oppure privato,  che il soggetto  riceve  alla  stregua  del diritto  nazionale.  Il criterio  dominante, nelle definizioni  legislative  sopra  riportate, è  quello  che fa capo  al concetto di organismo, sia esso  qualificabile  o no  come  ente  pubblico,  il quale  presenti uno  di questi  tre  indici di pubblicità : o il prevalente finanziamento pubblico della  sua  attività , o la sottoposizione della  sua  gestione  al controllo pubblico,  o la nomina  pubblica  di oltre  la metà  dei suoi  amministratori.  Emerge così una  nozione  sostanziale,  e non  solo  formale,  di ente  pubblico, che considera,  al di là  della  qualificazione formale  dell’ente  aggiudicatore, il fatto  che questo  utilizzi danaro pubblico  o agisca  sotto  il controllo pubblico o sia gestito  da  amministratori di nomina  pubblica.  Alla  stregua  di questo criterio  anche  un  ente  pubblico  economico,  ossia  un  ente  gestore  di impresa pubblica,  può  rientrare nel novero  delle  amministrazioni aggiudicatrici;  e può  rientravi anche  una  s.p.a.  a partecipazione pubblica,  come  è  reso esplicito  dall’art.  1, comma  2o, della  direttiva  n. 531 del 1990, relativa  alle procedure di appalto degli  enti  erogatori di acqua  e di energia,  degli  enti che  forniscono  servizi di trasporto e di quelli  che operano nel settore delle telecomunicazioni. A  questo  criterio  sostanziale,  e non  solo  formale,  di ente pubblico  non  può  sottrarsi la materia  delle  pubbliche forniture, quantunque la direttiva  e la relativa  legge di recepimento non  la accolgano testualmente. Il suo implicito  accoglimento risulta  tuttavia  dall’art.  4 del cit. d.l. n. 358 del 1992, che esclude  le forniture (poi  ricomprese nella  sopra menzionata direttiva  n. 531 del 1990) da  parte  di amministrazioni la cui attività  principale consiste  nella  produzione ed  erogazione di energia  o che operano principalmente nel campo  delle  telecomunicazioni. Qui  si fa riferimento ad  imprese  pubbliche,  gestite  da  enti  pubblici  economici  o da s.p.a.  in mano  pubblica;  ed  è  evidente che, se tali  imprese  fossero  estranee dal concetto generale di ente  pubblico  di cui all’art.  1, comma  3o, sarebbe stata  superflua  una  loro  specifica  esclusione.  L’unica  scriminante, entro  la nozione  comunitaria di ente  pubblico,  è  quella  risultante dalla  espressione organismo  istituito  per  soddisfare  specificamente bisogni  di interesse  generale aventi  carattere non  industriale o commerciale. Risultano esclusi, anche  se aventi  i sopra  menzionati requisiti  di pubblicità , gli organismi diretti  a soddisfare  meri  bisogni  industriali o commerciali. Il riferimento è all’impresa  pubblica  o alla  società  in mano  pubblica  che, in regime  di concorrenza con  imprese  industriali o commerciali  private  ed  a scopo  di lucro,  svolga  una  comune  attività  di produzione industriale o di distribuzione commerciale, come  ad  esempio  il produrre autovetture o il produrre o distribuire prodotti alimentari. In  questo  ordine  di casi l’impresa,  ancorche´  in mano  pubblica,  si sottopone al libero  gioco delle forze  del mercato;  e ciò , nella  valutazione del legislatore  comunitario, vale a garantire a priori  che l’impresa,  in quanto gestita  secondo  il calcolo economico degli  utili e delle  perdite, conformerà  alle  leggi di mercato i  propri  approvvigionamenti, l’indizione  di appalti  e così  via, rendendo  superflua  l’adozione  delle  specifiche  procedure di liberalizzazione che sono state  introdotte dalle  direttive  in materia.  
 reati contro la pubblica Amministrazione:  la pubblica Amministrazione può  intendersi il complesso  delle  funzioni  pubbliche riferibili  allo  Stato,  ovvero  ad  altro  ente  pubblico.  In  tal  senso  vanno ricomprese nel concetto di pubblica Amministrazione non  solo  la funzione  amministrativa strettamente intesa,  ma anche  la funzione  giudiziaria  e legislativa.  Mediante tale  categoria  di delitti  (artt.  314  – 360 c.p.),  si intende tutelare il buon andamento e l’imparzialità  della  attività  amministrativa (art.  97 Cost.). Buon  andamento significa  efficienza,  regolare funzionamento, idoneità  al perseguimento e raggiungimento dei fini dell’attività  della  pubblica Amministrazione, a tutela dell’interesse collettivo.  Per  imparzialità  deve  intendersi il privilegiare fini  da  perseguire secondo  criteri  strettamente oggettivi,  sempre  in funzione dell’interesse generale.  I reati  contro  la pubblica Amministrazione sono  propri  (v. reato). Qualifiche soggettive  rilevanti  sono:  a) pubblico  ufficiale.  Ev  colui  che esercita  una pubblica  funzione  legislativa,  giudiziaria  o amministrativa (art.  357 c.p.). L’unico  parametro è  costituito  dalla  attività  in concreto svolta.  Pertanto, è rinvenibile l’esercizio  di una  pubblica  funzione  nell’ambito di una  soggettività  privatistica,  così  che anche  il privato  può  assumere  la qualifica  di pubblico  ufficiale;  b)  la funzione  legislativa.  Essa  riguarda  tutte  le attività dirette alla  creazione di provvedimenti ed  atti  aventi  denominazione e valore  di legge; c) la funzione  giudiziaria.  Comprende la funzione giurisdizionale in senso  stretto, esercitata dai giudici ordinari, dagli  organi delle  giurisdizioni  speciali,  della  Corte  Costituzionale, del Consiglio  di Stato, nonche´  tutte  le funzioni,  anche  di natura amministrativa, relative all’esercizio  del potere giudiziario,  quali  l’attività  svolte  dal cancelliere, l’ufficiale giudiziario;  d)  la funzione  amministrativa. Ev  tale  ogni  attività  che si manifesta nell’esercizio  di poteri  deliberativi, di rappresentanza e di direzione  dell’ufficio,  tale  da  incidere  sulla formazione e manifestazione della  volontà  della  pubblica Amministrazione, nonche´  di poteri  autoritativi, che conferiscono un posizione  di supremazia della  pubblica Amministrazione verso  il privato;  e) incaricato di un  pubblico servizio.  Esso  è  caratterizzato dalla  mancanza dei poteri  tipici  della  pubblica funzione,  quali  quelli  autoritativi e certificativi  (art.  358 c.p.).  Le  mansioni meramente applicative e materiali non  rientrano nella  nozione  di pubblico servizio,  in quanto esse  non  sono  caratterizzate da  autonomie decisionali  e discrezionalità;  f)  esercente un  servizio  di pubblica  necessità.  Ev  tale  il  privato  che esercita  professioni forensi  o sanitarie,  o altre  professioni il cui esercizio  sia per  legge vietato,  senza  una  speciale  abilitazione dello  stato, quando dell’opera di essi il pubblico  sia per  legge obbligato a valersi  (art.  359 c.p.).  Esercitano altresì  un  servizio  di pubblica  necessità  i privati  che  non  esercitando una  pubblica  funzione  ne´  prestando un  pubblico  servizio adempiono un  servizio  dichiarato di pubblica  necessità  mediante un  atto della  pubblica Amministrazione.  
 responsabilità  della pubblica Amministrazione:  v. responsabilità  della Pubblica  Amministrazione. 
 scelta  del contraente della pubblica Amministrazione:  particolare attenzione è  dedicata  dalla  legge sulla  contabilità  generale dello  Stato  alla  scelta  del contraente. Il principio  è che  tutti  i contratti si fanno  per  asta  pubblica  (pubblici  incanti),  ma si possono  fare,  in presenza di particolari ragioni,  per  licitazione  privata,  e solo  in casi eccezionali,  nei quali  sia impossibile  seguire  i primi  due  metodi, si può  ricorrere alla  trattativa privata.  La  licitazione  privata  è  permessa quando vi sia urgenza  dell’acquisto di cose  o vi sia da  affidare  lavori  a ditte specializzate. Mentre l’asta pubblica  è  aperta a tutti  coloro  che posseggano  i requisiti  impersonalmente richiesti  dal bando,  la licitazione  privata  è riservata a specifici  soggetti  invitati  dall’amministrazione a partecipare alla  gara.  I metodi  di gara,  così  come  regolati  dalla  legge sulla contabilità  generale dello  Stato,  sono  quattro: quello  delle  candele  vergini,  quello  del pubblico  banditore, quelli  dell’offerta segreta  e della  scheda  segreta.  Per  la licitazione  privata  si usano  soltanto gli ultimi  due.  Il metodo  per  pubblico banditore è  previsto  solo  per  le alienazioni di beni  mobili:  il banditore enuncia  il prezzo  base;  chi vuole  fa offerte  in aumento e resta  aggiudicatario chi fa l’ultima  offerta  più  elevata.  Il metodo  delle  candele, poco  usato,  consiste  nell’accendere alcune  candele,  e le offerte  vanno  fatte prima  che queste  si consumino.  Con  il metodo  dell’offerta segreta  i partecipanti inoltrano buste  chiuse  contenenti l’offerta  di un  certo corrispettivo: trascorso il tempo  di gara,  il presidente della  commissione aggiudicatrice apre  le buste  e dichiara  aggiudicatario chi ha  offerto  il prezzo più  vantaggioso  per  l’amministrazione. Con  il metodo  della  scheda  segreta  i partecipati presentano in busta  chiusa  le proprie offerte,  mentre il prezzo base  fissato  dall’amministrazione è  segreto,  menzionato in busta  chiusa.  La scheda  segreta  indica  o il prezzo  minimo  che l’amministrazione vorrebbe ricevere  o il prezzo  massimo  che vorrebbe pagare  o due  prezzi,  un  minimo e un  massimo,  uno  dei quali  segna  il limite  oltre  il quale  l’amministrazione non  reputa vantaggioso  il contratto e l’altro  il limite  oltre  il quale  lo reputa troppo svantaggioso per  la controparte. Trascorso il tempo  di gara,  si aprono  prima  le buste  dei partecipanti e poi  quella  della  scheda  segreta.  Se nessuno  dei partecipanti supera  il minimo  o scende  sotto  il massimo indicato  nella  scheda  segreta,  la gara  è  dichiarata deserta;  altrimenti è aggiudicatario chi più  si allontana dal minimo  o dal massimo,  senza superare il limite  opposto in caso  di doppio  limite.   
 soggezione  al diritto comune  della:  la natura pubblicistica o privatistica dell’attività  della  pubblica Amministrazione va ricollegata, anziche´  al fine cui è  preordinata, alle oggettive  modalità  organizzative secondo  le quali  si svolge: in particolare, l’attività  della  pubblica Amministrazione ha  natura privatistica quando, anche  se diretta a realizzare un  pubblico  fine, si svolga  secondo  criteri  di economicità , ossia  con  i  caratteri di una  attività  imprenditoriale. A  questo  modo  il diritto  comune  a pubblici  e privati  operatori, secondo  la formula  di M.S. Giannini,  trova  un oggettivo  punto  di riferimento: le attività  economiche, quale  che sia la natura, pubblica  o privata,  del soggetto  che le esercita,  sono  regolate dal diritto  privato  o, meglio,  dal diritto  comune.  Il presupposto di applicazione del diritto  comune  è  dalla  giurisprudenza reso  oggettivo:  dipende cioè dall’accertamento delle  modalità  in concreto attuate dall’ente  pubblico  per lo  svolgimento  della  propria attività ; non  già  dalla  previsione  di una espressa  norma  di legge che assoggetti  l’ente  al diritto  comune.  In  presenza di quell’oggettivo presupposto, gli stessi poteri  di organizzazione e le stesse facoltà  discrezionali spettanti alla  pubblica Amministrazione subiscono  un  radicale  mutamento di qualificazione giuridica:  cessano  di essere  pubbliche potestà  e discrezionalità amministrative per  diventare potere imprenditoriale privato,  spettante alla  pubblica Amministrazione come  a qualsiasi  imprenditore (v.),  con  la conseguenza che l’autorità giudiziaria  ordinaria può , nelle  controversie sollevate  dai dipendenti dell’ente, sindacare la legittimità  degli  atti  e dei componenti di questo  alla stregua  del c.c. e, in particolare, in base  alla  clausola  generale di correttezza di cui all’art.  1175 c.c. (v. buona  fede).  I giudici non  sentono il bisogno  di dare  una  giustificazione  normativa alla  sistemazione accolta.  La  dottrina l’ha però  da  tempo  ritrovata nella  Carta  costituzionale e, in particolare, nel principio  implicito  nell’art.  41, comma  3o: è  il principio  secondo  il quale  le attività  economiche pubbliche,  benche´  attività  pubbliche,  sono  sottratte allo statuto della  pubblica Amministrazione; esse, per  il solo  fatto  di essere  attività  economiche, sono sottoposte all’indifferenziato statuto proprio di queste.  Il principio  ha  anche  una  significativa  valenza  economica, che la giurisprudenza della  Cassazione rende  ora  operante; vale  come  principio  regolatore del mercato in economia  mista;  è  il principio  secondo  il quale  i soggetti  che agiscono  sul mercato, siano  soggetti  privati  oppure soggetti  pubblici,  debbono operare in condizione di giuridica  parità , secondo  un  medesimo  diritto.  La  medesima valenza  hanno,  già  nel c.c., le norme  dell’art.  2093, commi  1o  e 2o, c.c., che assoggettano alle  norme  del quinto  libro  le imprese  esercitate dagli  enti pubblici;  e le norme  degli  artt.  2458  – 59 c.c., che circoscrivono  i privilegi concessi  agli enti  pubblici  azionisti,  lasciando  la s.p.a.  in mano  pubblica sottoposta sotto  ogni  altro  aspetto alle  stesse  norme  applicabili  alla  s.p.a.  in mano  privata.  Le  considerazioni fin qui  svolte  riguardano la disciplina  delle attività ; analogo  discorso  vale  per  la disciplina  degli  atti  (v. atti giuridici)  o per  quella  dei fatti  (v. fatti giuridici)  riferibili  all’ente  pubblico.  L’ente pubblico  può , nello  svolgimento  di una  attività  non  economica e, dunque, non  privatistica,  porre  in essere  singoli atti  o singoli fatti  destinati ad  essere regolati  dal diritto  privato.  Viene  sotto  questo  aspetto in considerazione la duplice  capacità  dell’ente  pubblico,  di diritto  pubblico  e di diritto  privato. La  prima  è  una  capacità  speciale:  l’ente  pubblico  può  porre  in essere  atti amministrativi (v. atto amministrativo), con  carattere di autoritatività , solo nei  casi espressamente previsti  dalla  legge. La  seconda  è , invece,  una capacità  generale,  che abilita  l’ente  a compiere, per  la realizzazione dei suoi fini istituzionali,  anche  atti  di autonomia privata,  e che lo espone,  pur quando abbia  posto  in essere  un  atto  autoritativo, alle  conseguenze privatistiche che si ricollegano alla  qualificazione dell’atto  autoritativo come  fatto,  in particolare come  fatto  illecito.  L’ente  pubblico  può  comprare anziche´  espropriare (v. espropriazione per pubblica  utilità ), prendere in locazione  anziche´  requisire (v. requisizione), pur  là  dove  espresse  norme  di legge gli consentono di espropriare o di requisire.  Sempre  più  di frequente espresse  norme  di legge prevedono l’uso del contratto, anziche´  dell’atto amministrativo, da  parte  dell’ente  pubblico  non  economico:  sono  i ben  noti e ormai  classici casi degli  appalti  e delle  forniture pubbliche;  ma altri  casi  sono  meno  classici: così  gli Iacp  vendono,  e non  assegnano  per  atto  amministrativo, gli alloggi agli assegnatari. Un  significativo  banco  di prova del principio  che assoggetta  lo Stato  e gli altri  enti  pubblici  territoriali al diritto  comune  è  costituito  dalla  disciplina  del fatto  illecito  commesso, nell’esercizio  delle  loro  funzioni,  dai loro  funzionari  e dipendenti. Vale  al riguardo una  duplice  regola  fissata  dalla  Costituzione (art.  28 c.c.): a) dei fatti  illeciti  compiuti  da  funzionari  e dipendenti sono  direttamente responsabili, secondo  le leggi civili (oltre  che secondo  quelle  penali  e amministrative), coloro  che li hanno  commessi.  La  regola  è  ribadita dal t.u. n. 3 del 1957 sullo statuto degli  impiegati  civili dello  Stato:  l’impiegato  che, nell’esercizio  delle  attribuzioni ad  esso  conferite dalle  leggi e dai regolamenti, cagioni  ad  altri  un  danno  ingiusto  è  personalmente obbligato a risarcirlo  (art.  22), esclusa  però  la responsabilità  per  colpa  lieve (art.  23); b) del danno  risponde,  inoltre,  lo Stato  o l’ente  pubblico  da  cui dipende colui che lo ha  cagionato (regola  ribadita,  anche  questa,  dall’art.  22 del citato t.u.).  Altrettanto incontroverso è  che l’ente  pubblico  soggiace  all’azione  di ripetizione di indebito  (v. indebito,  ripetizione  di pubblica Amministrazione), all’azione  di  arricchimento (v. arricchimento  senza  causa) e così  via, anche  quando  l’indebito  o l’arricchimento si sia prodotto nel corso  di attività  pubblicistica dell’ente  pubblico.  Può  l’ente  pubblico,  il quale  abbia  posto  in essere  un atto di autonomia privata  (v. autonomia  contrattuale),  sottrarsi all’applicazione di questa  o di quella  norma  del c.c., adducendo che si tratta di norma  applicabile solo  a privati  contraenti, incompatibile con  la sua natura di soggetto  pubblico  o con  il pubblico  interesse per  il quale  esso agisce?  Fino  a non  molto  tempo  fa la giurisprudenza si prestava  ancora  ad una  simile operazione di ritaglio;  concedeva  allo  Stato  ed  agli altri  enti  pubblici  più  di una  immunità  dal diritto  comune:  così  esonerava la pubblica Amministrazione, che  avesse  predisposto condizioni generali di contratto  (v.),  dall’applicazione dell’art.  1341, comma  2o  c.c., sull’approvazione scritta  delle  clausole vessatorie,  ripugnando l’idea che anche  la pubblica Amministrazione, al pari  dei privati  contraenti  forti,  potesse  vessare  i propri  contraenti. Così  rendeva la pubblica Amministrazione, che avesse  concluso  un  contratto preliminare (v. contratto,  pubblica Amministrazione preliminare),  immune dall’applicazione dell’art.  2932 c.c., concedendole la scelta  se adempiere il preliminare oppure, essendo  il contratto non  più  conforme all’interesse pubblico,  rifiutarsi  di adempiere, soggiacendo  alla  responsabilità  per inadempimento (v. inadempimento; responsabilità  pubblica Amministrazione contrattuale).  Queste persistenti aree  di immunità , per  quanto assai più  circoscritte che non  in precedenza, denotavano il persistere, nei nostri  giudici, di antiche  visioni del diritto  privato:  essi ritenevano di potere distinguere fra norme  di diritto privato,  ormai  qualificabili  come  norme  di diritto  comune  e, perciò, applicabili anche  a soggetti  pubblici,  ancorche´  agenti  nell’interesse generale,  e norme  di diritto  privato  ancora  qualificabili  come  norme  di diritto  privato in senso  classico,  ossia  regolatrici  dei rapporti fra privati  e relative  a interessi  particolari. Con  la caduta  delle  ultime  immunità , una  più complessa  vicenda  può  dirsi  compiuta:  si può  dire  interamente realizzata, nella  nostra  giurisprudenza, la conversione del diritto  privato  in diritto comune.  Possiamo  anche  dire,  se il fenomeno vogliamo  collocarlo  su un  più ampio  sfondo,  che il nostro  sistema  giuridico  tende  sempre  più  ad allontanarsi dal modello,  proprio in origine  dei paesi  dell’Europa continentale, dello  Stato  a diritto  amministrativo, e che esso  tende progressivamente ad  avvicinarsi  al modello  dello  Stato  a diritto  comune, proprio dei paesi  anglosassoni, nei quali  la distinzione fra diritto  pubblico  e diritto  privato  ha  un  valore  solo  descrittivo. Anche  sotto  questo  aspetto, come  sotto  gli aspetti  che attengono all’autorità  del precedente giudiziario, e pur  con  tutte  le cautele  che debbono accompagnare l’indicazione  dei fenomeni di tendenza, si può  dire  che le discontinuità  fra le diverse  civiltà giuridiche  del nostro  tempo  tendono gradatamente ad  attenuarsi. Resta, infine,  da  precisare come  entro  il nostro  sistema  si combinino  due  principi apparentemente di segno  opposto:  da  un  lato  il principio,  posto  dall’art.  11 c.c., che sottrae gli enti  pubblici  all’applicazione del diritto  comune; dall’altro il principio  che reclama,  all’opposto,  la loro  sottoposizione al diritto  comune.  Fra  i due  principi  non  c’è  contraddizione, avendo  essi ambiti di applicazione diversi:  il primo  riguarda  la disciplina  dei soggetti;  il secondo  quella  degli  atti  (v. atti giuridici),  dei fatti  (v. fatti giuridici),  delle attività . In  particolare: a) gli enti  pubblici  sono  sottoposti al diritto  comune,  ossia  alle  medesime  norme  applicabili  ai soggetti  privati,  per  ciò  che attiene alla  disciplina  dei fatti,  degli  atti  e delle  attività  economiche da  essi posti  in essere.  Qui  si applica  la disciplina  propria dei fatti,  degli  atti,  delle  attività, mentre è  irrilevante la natura del soggetto,  pubblico  o privato,  che li abbia posti  in essere;  b)  gli enti  pubblici  sono  sottratti, invece,  al diritto  comune quando non  si tratta di regolare fatti  o atti  o attività , bensì  il soggetto  che li ha  posti  in essere,  la sua  interna organizzazione, le sue  vicende.  Qui  si applica  la disciplina  propria del soggetto,  che è  diversa  per  i soggetti pubblici  e per  quelli  privati.  Sotto  il secondo  aspetto assume  rilievo  l’art. 11 c.c., relativo  alle  persone giuridiche  pubbliche.  Esso  vale  a sottrarre gli enti pubblici  alle  norme  dettate per  le persone giuridiche  private  (v. persona giuridica pubblica,  pubblica Amministrazione e persona  giuridica privata)  e, in primo  luogo,  alle norme che i successivi artt.  12 ss. c.c. dedicano alla  interna organizzazione di queste  ultime,  per  sottoporle alle  leggi e agli usi osservati  come  diritto pubblico.  A  questa  funzione  derogatoria dal diritto  comune  si ricollega anche  l’art. 2221 c.c., che sottrae gli enti  pubblici  economici  al fallimento (v.),  ossia  alla  procedura concorsuale di diritto  comune.  Qui  non  vengono in considerazione fatti  o atti  o attività  del soggetto  pubblico:  la procedura investe  il soggetto  nella  sua  globalità ; perciò  l’ente  pubblico,  sottratto al fallimento, è  sottoposto ad  una  speciale  procedura di liquidazione, ossia  alla liquidazione coatta  amministrativa. Ma  anche  nell’ambito di questa  speciale procedura gli enti  pubblici  occupano una  posizione  differenziata rispetto  ai soggetti  privati  che vi sono  sottoposti (banche private,  compagnie di assicurazione, società  cooperative): l’art. 95 l. fall. sottrae gli enti  pubblici  all’accertamento giudiziale  dello  stato  di insolvenza,  anche  questo  essendo un  giudizio  che verte  sul soggetto  in quanto tale,  e non  su fatti  o atti  o attività  da  esso  posti  in essere. 		
			
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