L’unità  elementare del sistema  del diritto  è  detta  norma giuridica; il sistema  nel suo complesso,  ossia  l’insieme  delle  norme  che lo compongono, prende il nome di ordinamento giuridico.  Per  indicare  più  norme  tra  loro  coordinate per assolvere  una  funzione  unitaria si suole  parlare di istituto  (e  si parla  di istituto  della  proprietà  per  indicare,  complessivamente, le norme  sulla proprietà ; di istituto  della  responsabilità  civile per  designare, complessivamente, le norme  che pongono le condizioni  per  la risarcibilità del danno  da  fatto  illecito).  Nella  sua  concezione classica ogni  norma giuridica è  un comando  o un  imperativo, che impone  e vieta  un  dato  comportamento. A questa  si contrappone la sua  diversa  concezione quale  giudizio  ipotetico, formulato secondo  lo schema  se c’è  A  c’è  B ed  avente  la funzione  di attribuire dati  effetti  al verificarsi  di date  situazioni.  La  concezione  oggi dominante si colloca  in posizione  intermedia: definisce  la norma giuridica come  un giudizio  ipotetico prescrittivo, esprimente la doverosa produzione di dati effetti  al verificarsi  di date  situazioni,  secondo  lo schema  se c’è  A  ci deve essere  B. Ciascuna  norma giuridica, presa  a se´ , consiste  dunque in una  proposizione percettiva, formulata in termini  generali  ed  astratti;  coloro  ai quali  la norma giuridica si rivolge  sono  i suoi  destinatari. Il testo  delle  leggi è , tradizionalmente,  diviso in articoli,  numerati in ordine  progressivo;  e gli articoli  sono  spesso  divisi in commi.  Orbene, ciascun  articolo  di legge o, se diviso in commi,  ciascun comma  può  contenere una  o più  norme,  ossia  una  o più  proposizioni precettive. Il discorso  delle  norme  giuridiche,  comunque sia formulato, è sempre  un  discorso  in funzione  precettiva; esso  si distingue  dal discorso  descrittivo  o assertivo,  con  il quale  si comunicano conoscenze o si esprimono  convincimenti. Spesso,  tuttavia, le norme  giuridiche  sono formulate in termini  apparentemente descrittivi:  emblematico, al riguardo,  è l’art. 3, comma  1o, della  Costituzione, che esprime  la proposizione secondo la  quale  tutti  i cittadini  hanno  pari  dignità  sociale  e sono  eguali  davanti  alla legge, senza  distinzione di sesso, di razza,  di lingua,  di religione,  di opinioni politiche,  di condizioni  personali  e sociali. Questa norma,  come  ogni  norma giuridica, va intesa  in senso  precettivo; a tutti  i cittadini  deve  essere  riconosciuta pari dignità  sociale,  le diverse  condizioni  personali  o sociali, in essa  menzionate, non  debbono essere  assunte  come  ragione  di un  trattamento che discrimini tra  loro  i cittadini.  Se mai  questa  proposizione venisse  assunta  in senso descrittivo, anziche´  precettivo, essa  apparirebbe come  una  proposizione falsa,  essendo  un  dato  di comune  esperienza che, nella  realtà , i cittadini non  sono  affatto  uguali  davanti  alla  legge (più  uguali  oggi che in passato, ma non  tanto  uguali  quanto la norma  costituzionale esige).  Il discorso descrittivo  o assertivo  può  essere  giudicato  come  vero  o falso; il discorso precettivo non  è  mai  suscettibile di una  valutazione di tal  genere.  Le  norme giuridiche  non  enunciano ciò  che è , ma ciò  che deve  essere;  possono  essere valutate, da  un  punto  di vista etico,  come  giuste  o ingiuste;  possono  essere valutate, da  un  punto  di vista politico,  come  opportune o inopportune; possono,  infine,  essere  giudicate  dal punto  di vista della  loro  effettività:  se siano  molto  o poco  o mai  osservate  dai loro  destinatari. Dell’art.  3, comma 1o, come  di altre  norme  della  Costituzione, il giudizio  da  dare  è , appunto, un  giudizio  in termini  di effettività ; se l’organo  legislativo  dello  Stato,  che  ne  è  il principale destinatario, gli dia adeguata attuazione o se, invece,  crei con  le leggi o lasci sussistere  nelle  leggi disuguaglianze fra i cittadini,  basate sulle condizioni  personali  o sociali  indicate  dalla  norma.  A  volte  le norme giuridiche  contengono definizioni;  così, ad  esempio,  l’art. 1321 del c.c. contiene la proposizione secondo  la quale  il contratto è  l’accordo  di due  o più  parti  per  costituire, regolare o estinguere tra  loro  un  rapporto giuridico patrimoniale. Anche  le definizioni  vanno  assunte  in senso  precettivo: esse hanno  anzitutto la funzione  di delimitare l’ambito  di applicazione di altre norme.  Così  le norme  sul contratto non  sono  applicabili  al matrimonio, che pure  si basa  sull’accordo  di due  parti,  perche´  esso  non  è  diretto a costituire, come  richiede  l’art. 1321 c.c., un  rapporto giuridico  patrimoniale. Ancora:  il contratto è  definito  come  un  accordo  di due  o più  parti;  e ciò  comporta la precettiva conseguenza che il vincolo  contrattuale non  potrà  dirsi  sorto  se mancano dichiarazioni o comportamenti delle  parti  qualificabili  come espressione di un  accordo.  Altre  volte  si ritrovano norme  che sembrano volere  classificare  la realtà : per  l’art. 814 del c.c., ad  esempio,  si considerano beni  mobili  le energie  naturali che hanno  valore  economico. Questa proposizione non  va presa  come  rivelatrice della  essenza  fisica delle energie  naturali;  esprime,  semplicemente, il precetto secondo  il quale  alle energie  naturali aventi  valore  economico si applicano le stesse  norme  che valgono  per  i beni  mobili.  Se poi  in un  testo  legislativo  fosse  dato  di ritrovare (ciò  che talvolta  accade)  una  proposizione alla  quale  non  fosse possibile  attribuire alcun  significato  precettivo, ma fosse  una  mera asserzione  degli  artefici  di quel  testo,  esprimente un  loro  convincimento  filosofico  o scientifico  o ideologico  o d’altro  genere,  allora  non  saremo  in presenza di una  norma giuridica, e ciascuno  sarà  libero  di nutrire un  diverso convincimento, in nulla  vincolato  dalla  asserzione  contenuta nel testo legislativo.  Altro  discorso  vale  per  la costruzione giuridica,  la quale  è  la traduzione in sistema  logico  di un  insieme  di dati  normativi:  in una  parola, la traduzione dei precetti  in concetti.  Questa traduzione è  il fondamentale compito  del teorico  del diritto,  ossia  di quella  che tradizionalmente si definisce  come  la dottrina. A  volte  la costruzione giuridica  mira  a dare contenuto a figure  utilizzate,  ma non  definite,  dal dettato normativo: così il contenuto del concetto di atto,  figurante nell’art.  1, comma  2o, c.c., e in molteplici  altre  norme  del c.c. viene  ricostruito alla  luce  della  funzione precettiva di queste  norme.  Altre  volte  la costruzione giuridica  mette  capo  a concetti  estranei al linguaggio  legislativo:  così  è  il concetto di negozio  giuridico  (v.),  frutto  della  riduzione ad  unità  di una  pluralità  di concetti legislativi,  come  quelli  di contratto, di testamento, di matrimonio ecc.. Le costruzioni giuridiche  non  sono  fine a se stesse:  sono  costruzioni logiche  in funzione  normativa; hanno,  in ultima  analisi,  la stessa  funzione  delle definizioni  legislative,  ossia  determinano l’applicazione  di date  norme  a date situazioni.  Proprio  perche´  è  opera  di logica, una  costruzione giuridica  può essere  vera  o falsa; ed  un  simile giudizio  si basa  sulla congruità  o non congruità  di una  data  costruzione rispetto  al sistema  normativo. Ma  può accadere che diverse  costruzioni giuridiche  siano  ugualmente congrue rispetto  al sistema  normativo e che nessuna  di esse  possa,  rispetto  a questo,  essere  giudicata  come  vera  o falsa: così  è , ad  esempio,  per  le diverse  costruzioni proposte intorno al concetto di persona giuridica;  ed  allora  la scelta  di una  di esse  cessa  di essere  la risultante di un  giudizio  logico  per diventare espressione di una  valutazione di opportunità , analoga  alla valutazione del legislatore.  
 astrattezza della norma giuridica:  v. generalità  e astrattezza  della norma giuridica. 
 generalità  e astrattezza della norma giuridica:  le norme  giuridiche  sono  precetti  generali  e astratti;  sono  precetti  generali  perche´  non  si rivolgono  a singole  persone, ma ad  una  serie  di persone;  sono  precetti  astratti  perche´  non  riguardano fatti  concreti,  ma una  serie  ipotetica di fatti.  Esse  sono  regole  per  la soluzione  di conflitti;  ma sono  regole  precostituite a tal  fine; non  sono  create  quando il conflitto  è  già  insorto,  bensì  prima  del suo insorgere  e per  l’eventualità  che insorga.  Un  precetto individuale e concreto è , all’opposto, il provvedimento con  il quale  il giudice,  applicando norme  generali  ed astratte, risolve  un  conflitto  già  insorto:  questo  precetto, che è  la sentenza, si rivolge  a singole  persone e riguarda  un  fatto  determinato. Questa precostituzione delle  regole  per  la soluzione  dei conflitti  assolve,  nei sistemi dell’Europa continentale, la funzione  di assicurare uniformità  di soluzioni  e di predeterminare, secondo  quello  che è  lo scopo  di ogni  sistema  di diritto, l’assetto  complessivo  della  società , di adeguarla ad  un  dato  modello generale di convivenza  sociale.  Corrisponde, ancora,  a quel  principio  di civiltà  che è  la certezza  del diritto:  i singoli debbono sapere  in anticipo,  per potersi  regolare di conseguenza, quali  sono  i comportamenti giuridicamente leciti  e quali  i comportamenti giuridicamente illeciti, quali  sono  gli interessi protetti dal diritto  e quali  gli interessi  non  protetti. Poiche´  è  il giudice  che,  in concreto,  risolverà  il conflitto  che direttamente li riguarda, essi debbono avere  elementi di previsione  della  sua  futura  decisione;  sicche´  il problema della  certezza  del diritto  è , fondamentalmente, il problema della prevedibilità  delle  decisioni  giudiziarie.  Con  il vincolare  il giudice  a precostituite e conoscibili  regole  generali  ed  astratte, tali  da  fare  del giudice la semplice  bouche  de la loi, si è  creduto  di dare  soluzione  al problema, a partire dal principio  del secolo  scorso,  nelle  organizzazioni giuridiche continentali. L’esperienza ha  però  dimostrato che un  diritto  per  norme generali  ed  astratte soddisfa  le esigenze  di certezza  in modo  solo  relativo; per quella  complessità  del diritto  e per  le difficoltà  di interpretazione che spesso  le singole  norme  presentano, è  tutt’altro che agevole  avere  una sicura  conoscenza preventiva di ciò  che è  lecito  e di ciò  che è  illecito,  ne´  è agevole  prevedere quale  potrà  essere,  in caso  di controversia, la decisione del giudice.  Al  modello  del diritto  generale ed  astratto, precostituito all’insorgere dei conflitti,  si contrappone il diverso  modello  del diritto creato dallo  stesso  giudice,  in relazione  ad  un  conflitto  già  insorto  e sottoposto alla  sua  decisione.  Sono  i casi in cui il giudice  può  decidere, anziche´  secondo  il diritto,  secondo  equità : nel nostro  sistema,  come  in genere  nei sistemi  dell’Europa continentale, questi  casi sono  pochi  ed eccezionali;  maggiore  importanza hanno  i casi nei quali  il giudice  è chiamato  a dare  contenuto alle  cosiddette clausole  generali,  come  la regola della  correttezza di cui all’art.  1175, o la buona  fede  contrattuale di cui agli artt.  1337, 1358, 1366, 1375 c.c., o il danno  ingiusto  (v. danno,  norma giuridica ingiusto)  di cui all’art.  2043 c.c., o i principi  della  correttezza professionale di cui all’art.  2598 c.c. (v. atti, norma giuridica di concorrenza  sleale). Altrove, in particolare nei paesi anglosassoni, l’attività  decisoria  del giudice  è , all’opposto,  la principale fonte del diritto:  là  il giudice  crea,  egli stesso,  la norma  secondo  la quale risolvere  il conflitto;  mentre assume  carattere eccezionale  (anche  se, in progresso di tempo,  importanza crescente) la legge che precostituisce norme generali  ed  astratte. In  questi  paesi,  tuttavia, vige il principio  dello  stare decisis, del precedente giudiziario  vincolante, sicche´  la norma  creata  dal giudice  finisce con  l’assumere,  per  i giudici che successivamente affronteranno casi analoghi,  lo stesso  valore  di una  norma  generale ed astratta. La  differenza rispetto  al sistema  continentale sta  essenzialmente nel diverso  modo  di creare  norme  destinate, pur  sempre,  a diventare generali  ed  astratte; anche  per  sentenze dei giudici, e partendo dai casi concreti,  anziche´  solo  per  leggi, che muovono da  ipotesi  prefigurate in astratto. Il grado  di norma giuridica norma giuridica può  essere  più  o meno  elevato.  Il più  alto  grado  è raggiunto dalle  norme  che si rivolgono,  indistintamente, a chiunque  (ad esempio,  l’art. 575 c.p.: chiunque  cagiona  la morte  di un  uomo  è  punito  con la reclusione  ecc.) o che si riferiscono a qualunque fatto  (ad  esempio,  l’art. 2043 c.c.: qualunque fatto  doloso  o colposo,  che cagiona  ad  altri  un  danno ingiusto  obbliga  colui  che ha  commesso  il fatto  a risarcire  il danno). Sono le norme  dette  di diritto  comune  o di diritto  generale;  e sono  tali  anche  le norme  che prendono in considerazione specifiche  condizioni,  come  ad esempio  quella  di proprietario, di creditore o di debitore, di coniuge,  di  genitore  e così  via, nelle  quali  chiunque  può , almeno  in astratto, venirsi  a  trovare. Sono,  invece,  di diritto  speciale  le norme  con  limitato  grado  di  generalità  ed  astrattezza; esse  delimitano la serie  dei soggetti  cui si rivolgono  o dei fatti  cui si riferiscono, sottraendoli all’applicazione del diritto  generale.  Riguardano specifiche  categorie  professionali, specifiche situazioni  sociali  o temporali o locali; sono  pur  sempre  norme  generali  ed astratte, ma questo  loro  carattere è  circoscritto entro  la serie  di oggetti  o di fatti  cui si riferiscono.  
 norma giuridica imperativa:  sono  considerate quali  norme  imperative, secondo  le classificazioni  generali  delle  norme  giuridiche,  le norme  non  derogabili per volontà  delle  parti:  le si identifica,  generalmente, per  il fatto  che non contengono l’inciso salvo  patto  contrario, salva  diversa  volontà  delle  parti. Ad  esse  si contrappongono le norme  dispositive,  che invece  ammettono, con  un  inciso del genere  ora  indicato,  una  diversa  volontà  delle  parti,  e le norme  suppletive, che prevedono la disciplina  di un  dato  rapporto per l’ipotesi  in cui non  vi abbiano provveduto gli interessati, generalmente introdotte dall’inciso  se le parti  non  dispongono diversamente o simili. Ma ciò  vale  solo  come  criterio  di massima:  una  norma  può  essere  ritenuta dispositiva,  e non  imperativa, anche  in mancanza di un  inciso che renda palese  la sua  natura, se dall’insieme  del sistema  di norme  entro  cui opera appare evidente che si tratta di norma  derogabile. Talvolta  la legge, per rendere certo  che una  data  norma  ha  natura di norma giuridica, prefigura  le conseguenze della  sua  violazione  e formula  incisi come  a pena  di nullità , o avvertimenti come  altrimenti il contratto è  nullo  e simili. Così,  ad  esempio,  l’art. 1351 c.c.  non  si limita  a dire  che il contratto preliminare (v. contratto,  norma giuridica preliminare)  deve  essere  fatto  nella  forma  prescritta per  il contratto  definitivo,  ma precisa:  il contratto preliminare è  nullo,  se non  è  fatto  nella stessa  forma  ecc. (precisazione, a rigore,  superflua, dato  che la nullità sarebbe senz’altro  derivata dalla  applicazione del generale principio  dell’art. 1418, comma  1o, c.c.; utile,  tuttavia, per  eliminare ogni  possibile  dubbio sulla natura imperativa della  norma). Fra  le norme  imperative, la cui violazione  rende  nullo  il contratto, bisogna  annoverare, oltre  che le norme nazionali,  quelle  comunitarie. E  si deve  anche  considerare che il giudice nazionale può  dichiarare la nullità  di un  contratto per  violazione  di norme imperative straniere, quando secondo  le preleggi  egli debba  applicare  il diritto  straniero. Rievocate queste  prime  nozioni  sulla classificazione  delle norme  giuridiche,  si deve  però  precisare che il concetto di norma giuridica, rilevante ai fini dell’art.  1418, comma  1o, c.c., è  più  rigoroso  di quello  ora  indicato.  Il grado  di imperatività  della  norma  violata,  richiesto  ai fini della  nullità  del contratto, è  più  elevato  di quello  che si esprime  nella  constatazione della non derogabilità  per  volontà  delle  parti.  Questo più  alto  grado  di imperatività  è  postulato dalla  riserva  finale  dell’art.  1418, comma  1o, c.c.: se la violazione  di norma giuridica non  comporta nullità  quando la legge dispone diversamente, e se questa  diversa  disposizione  legislativa  non  deve necessariamente consistere nella  esclusione  espressa  della  nullità , potendo questa  essere  desumibile dalla  ragione  del divieto,  occorre  identificare criteri  atti  a distinguere norma giuridica da  norma giuridica. Questi  criteri  si sono  ormai  consolidati in giurisprudenza: deve  trattarsi di un  comando  o di un  divieto  qualificabile come  assoluto,  siccome  posto  a tutela  di un  interesse generale:  a) comando o divieto  assoluto  è  quello  che non  solo  non  ammette una  diversa  volontà  delle  parti,  ma neppure, siccome  posto  a tutela  di un  interesse generale,  una  eccezione  o esonero previsti  dalla  stessa  legge; b)  comando  o divieto posto  a  tutela  dell’interesse generale è  quello  formulato dalla  legge o da fonti  a  questa  equiparate, non  da  fonti  normative di grado  inferiore.  Sono da  considerare imperative, in linea  di principio,  le norme  penali:  il fatto  che un  precetto sia penalmente sanzionato esprime,  infatti,  il più  alto  grado  di imperatività , mostra  come  il precetto sia posto  a salvaguardia di un  valore di rilevante importanza. Ma  ciò  vale  solo  in linea  di principio:  non  vale quando la sanzione  penale  risulti  posta  a presidio,  anziche´  dell’interesse generale,  delle  esigenze  di governo  dei pubblici  poteri;  non  a protezione cioè  dello  Statonorma giuridicacomunità , bensì  a garanzia  dell’efficiente  azione  dello Statonorma giuridicapersona. Significativo  al riguardo è  l’art. 2098 c.c.: il contratto di lavoro  concluso  in violazione  delle  norme  sul collocamento può  essere annullato, salva  l’applicazione  delle  sanzioni  penali.  La  giurisprudenza ritiene  annullabile, anche  se lede  un  bene  sanzionato penalmente, il contratto estorto con  truffa.  Qui  vale  la considerazione che la fattispecie  penale  della  truffa,  così  come  descritta dall’art.  640 c.p. corrisponde a  quella  civile del dolo  (v.),  che per  l’art. 1439 c.c. è  causa  di annullamento del contratto.  
 norma giuridica penale:  norma  che disciplina  un  rapporto giuridico  di diritto  penale  nei vari momenti della  sua  esistenza.  Ne  esistono  essenzialmente, a livello generale,  quattro tipi: 1) incriminatrice, certamente il più  diffuso,  sia a livello  codicistico  che di legislazione  speciale;  caratterizzata da  precetto e sanzione,  di tale  norma  si parlerà  diffusamente oltre;  2) imperfetta: contiene  il solo  precetto o la sola sanzione;  3) in bianco:  indica  una  sanzione determinata a fronte  di un  precetto generico  da  completare con  elementi contenuti in atti  normativi di grado  inferiore (regolamenti, provvedimenti amministrativi ecc.); l’interesse  dottrinale e giurisprudenziale che tali  norme hanno  da  sempre  suscitato  è  dovuto  da  un  lato  ai profili  di contrasto con  il principio  della  riserva  di legge, nel rimandare ad  atti  normativi a carattere amministrativo non  aventi  forza  di legge, e, dall’altro,  alla  applicazione pratica,  nel loro  ambito,  della  disciplina  dell’errore; su quest’ultimo punto ormai  si concorda  che l’ignoranza  o la falsa rappresentazione dei precetti integranti la norma giuridica in bianco  sia sicuramente irrilevante ex art.  5 c.p., e comunque non  riconducibile neppure alla  disciplina  dell’errore in materia extrapenale ex art.  47, ult.  comma,  c.p.. Un  tempo  considerate la affermazione più  vistosa  della  concezione sanzionatoria del diritto  penale, secondo  la quale  quest’ultimo non  fa altro  che sanzionare precetti  contenuti in altri  rami  del diritto,  oggi, oltre  ad  essere  considerate per  lo più incostituzionali per  quanto sopra  visto, non  sembrano porsi  a fondamento della  mera  sanzionarietà  del diritto  penale,  in un  ordinamento ove  l’essenza dello  stesso  non  risiede  più  nella  sanzione,  ed  ove  l’autonomia del diritto penale  è  sancita  al più  alto  livello  dalla  Corte  Costituzionale, che lo pone  a difesa  di beni  selezionati  e specifici, cosa  che non  avviene  per  gli altri  rami del diritto;  4) integratrici, dette  anche  di secondo  grado:  non  contengono ne´ precetto ne´  sanzione,  limitandosi a specificare  la portata di altre  norme  o a disciplinarne l’applicabilità . Si distinguono a loro  volta  in diverse  specie:  a) direttive, che fissano  i principi  da  seguire  in una  certa  materia;  b)  interpretative, che chiariscono il significato  da  attribuire a termini  e locuzioni  adottati dalle  norme  incriminatrici; sono  per  lo più  (ma  non sempre) introdotte da  formule  del tipo  agli effetti  della  legge penale,  si considera,  è  parificato;  si trovano sia nella  parte  generale (ad  es., art.  42 c.p. sull’elemento soggettivo  del reato) che speciale  (ad  es., art.  357 c.p. sulla nozione  di pubblico  ufficiale)  del c.p., oltreche´ , in misura  rilevante, anche  nella  legislazione  extracodicistica; c) permissive:  configurano situazioni  di liceità  o più  genericamente in non  punibilità , laddove  in loro assenza  sarebbe scontata  l’incriminazione; si legano,  in base  al caso concreto,  ad  una  fattispecie  base  incriminatrice; caso  tipico  quello  delle  c.d. cause  di giustificazione;  d)  estensive,  che, come  si dice  tradizionalmente, estendono la portata di una  norma;  è  il caso,  ad  es., delle  norme  attinenti al concorso  di persone nel reato,  al tentativo, ed  in genere  alle  forme  di manifestazione; contenute perciò  nella  parte  generale del c.p., in verità  la loro  definizione risulta  essere  puramente convenzionale, in quanto le forme di manifestazione del reato,  una  volta  combinate con  la fattispecie  base, finiscono  per  costituire  una  nuova  fattispecie, tipica  in tutti  i suoi  elementi; caso  quasi  unico  di norma giuridica estensiva  in senso  stretto viene  ritenuto l’art. 40, comma  2o, c.p., disciplinante i c.d. reati  omissivi  impropri;  e) di rinvio,  che rinviano  ad  altre  norme  penali;  di tale  tecnica  il legislatore  ha  talvolta abusato,  creando noti  inconvenienti in tema  di ricostruzione della fattispecie, e quindi  di tassatività  delle  stesse;  f)  di attuazione, che regolano l’attuazione di un  complesso  di norme,  distinguendosi, a seconda  dei casi, in norme  di transizione e norme  di vero  e proprio coordinamento; g) di  conflitto,  che indicano  quale  sia la norma  da  applicare  nel caso  di conflitto con  altre  norme;  caso  tipico  quello  del concorso  apparente di norme coesistenti, risolto  dall’art.  15 c.p. col principio  di specialità . Come  già anticipato, tuttavia, norma giuridica per  eccellenza  è  considerata quella  incriminatrice, riconoscibile per  opinione dottrinale costante, suffragata dalla  sentenza della Corte  Costituzionale n. 68 del 1963, per  la qualificazione giuridica  che in tal senso  ne  dia il legislatore;  in altre  parole,  è  il carattere della  sanzione irrogata (penale, appunto), a rendere penale  una  norma;  in particolare, le sanzioni  previste  per  la violazione  di una  norma giuridica, potendo incidere,  come  per  lo più  fanno,  sul bene  fondamentale costituito  dalla  libertà  personale, differenziano la norma giuridica da  quelle  sia civili che amministrative, le cui sanzioni incidono  invece  sempre  e comunque sull’aspetto patrimoniale. Da sottolineare che anche  la multa  e l’ammenda,  e cioè  le sanzioni  pecuniarie rispettivamente previste  per  delitti  e contravvenzioni, rivestono  il carattere di penali,  poiche´  suscettibili  per  conversione in pena  detentiva qualora  il condannato non  paghi.  Un  sistema  dunque estremamente rigoroso,  che solo negli  ultimissimi  decenni  è  stato  in parte  riformato sulla scia della constatazione della  crisi della  pena  detentiva, con  diverse  soluzioni,  dalla prospettiva della  clemenza,  alla  creazione di misure  alternative alla detenzione (introdotte dalla  l. n. 345 del 1975 sull’ordinamento penitenziario), e di sanzioni  sostitutive  delle  pene  detentive brevi (introdotte dalla  l. n. 689 del 1981). Grazie  a queste  riforme,  attualmente la norma giuridica non  prevede più  soltanto quel  binomio  reatonorma giuridicapena detentiva che per  tanto tempo  è  stato  indissolubile. In  quanto incidente  sul bene  fondamentale  costituito  dalla  libertà  personale, ed  in quanto posta  a tutela  di beni costituzionalmente rilevanti,  la norma giuridica è  governata da  tre  principi,  contenuti, per pacifica  dottrina, nell’art.  25 Cost.  e costituiti  da  riserva  di legge, tassatività ed  irretroattività  (alle  cui voci si rimanda  per  una  trattazione specifica),  ed è  inoltre  caratterizzata da  due  aspetti,  il primo  dei quali  costituito  dalla imperatività ; in base  all’art.  3 c.p., infatti,  dal momento in cui entra  in vigore,  la norma giuridica diviene  obbligatoria per  i cittadini  e per  tutti  coloro  che si trovano nel territorio, principio  questo  da  un  lato  strettamente legato all’art.  3 Cost.,  che stabilisce  nei confronti  di chiunque  l’obbligo  di osservare  le leggi, ma che dall’altro  registra  eccezioni  nelle  immunità (derivanti dal diritto  pubblico  interno o internazionale) e nella interpretazione che la Corte  Costituzionale ha  dato  della  colpevolezza con la nota  sentenza n. 364 del 1988: in sostanza  l’imperatività  cade  di fronte all’ignoranza c.d. inevitabile  della  legge penale.  Una  volta  poi  stabilito  che la norma giuridica è  indirizzata  indistintamente a tutti  i consociati,  si discute  se debbano considerarsi suoi  destinatari anche  i soggetti  non  imputabili, cioè  incapaci  di intendere e di volere;  parte  della  dottrina ritiene  infatti  che in quanto non in grado  di comprendere il precetto, essi non  rientrino tra  coloro  cui la norma giuridica è destinata; altra  parte  sostiene  invece  che, in quanto capaci  di avvertire l’efficacia intimidatoria della  sanzione,  essi rientrino nella  sfera  d’azione soggettiva  della  norma giuridica. Sul piano  oggettivo,  si deve  infine  ricordare che in base all’art.  6 c.p. il reato  si considera commesso  nel territorio dello  Stato quando l’azione  o omissione  che lo costituisce  vi è  avvenuta in tutto  o in parte,  ovvero  vi si è  verificato  l’evento  che è  conseguenza dell’azione  o  omissione  (c.d.  criterio  dell’ubiquità ). Il secondo  aspetto che caratterizza la legge penale  è  la statualità , nel senso  che il diritto  penale  promana solo dallo  Stato,  che ne  costituisce  quindi  fonte  esclusiva.  Ev  questo  il punto  di arrivo  di un  acceso  dibattito dottrinale, successivo  all’emanazione della Costituzione, incentrato sull’esistenza  o meno  di una  potestà  normativa delle regioni  in materia  penale  e terminato con  una  serie  di sentenze della Corte  Costituzionale che hanno  rivendicato appunto esclusivamente allo Stato  l’elaborazione della  legge penale  (si rimanda  alla  trattazione del principio  della  riserva  di legge per  i termini  specifici  della  questione). La  norma giuridica incriminatrice è  costituita, come  si è  già  detto,  da  due  elementi:  precetto e sanzione.  Il precetto, inteso  come  comando  (per  i reati  omissivi)  o divieto (per  i reati  commissivi)  di compiere  una  certa  azione  od  omissione  e contenente in pratica  gli estremi  della  fattispecie  legale  (o  astratta)  cui confrontare il caso  concreto.  Si distinguono diversi  tipi  di precetto: quello che descrive  l’iter criminis,  che dà  origine  alla  c.d. fattispecie  a forma vincolata  (ad  es., art.  646: truffa);  quello  che invece  descrive  solo  l’evento, connotando le c.d. fattispecie  a forma  libera  (ad  es., art.  575: omicidio); quello  che descrive  reati  per  la cui consumazione si richiede  la ripetizione di più  azioni  od  omissioni  della  stessa  specie  (ad  es., art.  572, maltrattamenti); quello  che infine  vieta  di compiere  una  azione  che si protrae nel tempo  (ad  es., art.  605 c.p., sequestro di persona). Il principale problema relativo  al precetto è  quello  della  sua  chiarezza  ed inequivocabilità , in un  sistema  che vede  da  tempo  un  abuso  della  opzione penale,  con  conseguente proliferazione incontrollata di norme  dai confini  sempre  meno  definiti.  La  sanzione  costituisce  la conseguenza giuridica tipizzata  dal legislatore  per  la violazione  del precetto, nelle  sue  varie  forme, detentive e non;  indubbiamente è  proprio l’aspetto  sanzionatorio che negli ultimi  anni  si è  andato via via diversificando, come  si è  già  accennato, con l’emergere della  eccessiva  rigidità  del binomio  reatonorma giuridicapena detentiva. V. cause,  norma giuridica di giustificazione  del reato; legalità , principio  di norma giuridica; irretroattività della legge penale; misure,  norma giuridica alternative alla detenzione;  nesso causale; reato; sanzioni  amministrative, norma giuridica sostitutive; tassatività , principio  di norma giuridica; precetto.  
 norma giuridica proibitiva:  v. contratto,  norma giuridica illecito. 		
			
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