Enciclopedia giuridica

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Fonti



fonti comunitarie: v. fonti normative.

fonti del diritto internazionale: sono rappresentate: a) dal diritto internazionale generale non scritto, a produzione spontanea (consuetudini e principi), che costituisce il primo livello del sistema normativo; b) dal diritto internazionale particolare scritto (accordi), che costituisce il secondo livello del sistema normativo; e c) dalle fonti di produzione giuridica di terzo grado (fonti di produzione previste da accordi). I rapporti tra diritto consuetudinario e diritto pattizio sono regolati in principio della reciproca derogabilità delle norme (principio della flessibilità dell’ordinamento internazionale). Fanno eccezione, le norme di jus cogens (diritto inderogabile), che non possono essere modificate o derogate dai trattati. Un trattato posto in essere in violazione di norma di jus cogens è nullo (art. 53 Conv. di Vienna del 23 maggio 1969, sul diritto dei trattati).

fonti del diritto nazionale: v. fonti normative.

fonti del diritto sovranazionale: v. fonti normative.

fonti della rappresentanza: l’art. 1387 c.c. indica due fonti fonti: il potere di rappresentanza può essere conferito dall’interessato (cosiddetta rappresentanza volontaria) oppure derivare dalla legge (cosiddetta rappresentanza legale, dei genitori rispetto ai figli minori o del tutore rispetto all’incapace affidato alla sua tutela). Nel primo caso il conferimento ad altri del potere di rappresentanza è , esso stesso, manifestazione di autonomia del soggetto: anziche´ provvedere personalmente alla conclusione del contratto, come pure potrebbe fare, egli preferisce affidare ad altri il compito di concluderlo, accettando di restare vincolato dalla volontà altrui. Nel secondo caso, invece, manca un atto di autonomia del rappresentato, ne´ potrebbe esserci, trattandosi di un incapace (v. incapacità ): qui un soggetto è posto, indipendentemente dalla sua volontà , in balia del suo legale rappresentante, che conclude contratti produttivi di effetti nei suoi confronti (ma può essere chiamato a rispondere dell’uso fatto del proprio potere rappresentativo). Si ha, perciò , una situazione antitetica all’autonomia: si suole parlare, a questo riguardo, di eteronomia; e si è arrivati a dubitare che la rappresentanza legale sia rappresentanza in senso tecnico. Sulla distinzione tracciata dall’art. 1387 c.c. bisogna sovrapporne un’altra: la rappresentanza legale, cui allude questo articolo, è specie di un più ampio genere, che è quello della rappresentanza necessaria. Vi rientra la rappresentanza legale degli incapaci; ma vi rientra anche la cosiddetta rappresentanza organica degli enti collettivi (associazioni, fondazioni, società ecc.): i rapporti giuridici che a questi fanno capo sono costituiti, regolati o estinti per contratto concluso dalle persone che, secondo le regole di organizzazione proprie delle diverse categorie di enti collettivi, ne hanno la rappresentanza nei confronti dei terzi. V. anche rappresentanza.

fonti delle obbligazioni: le fonti sono gli atti (v. atti giuridici) o i fatti (v. fatti giuridici) dai quali l’obbligazione trae origine. Il c.c. indica, all’art. 1173 c.c., tre grandi categorie di fonti fonti; due sono specifiche, il contratto e il fatto illecito; la terza è generica, consiste in ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico: a) il contratto. Ev , quale lo definisce l’art. 1321 c.c., l’accordo di due o più parti; fra le fonti fonti si qualifica, dunque, come fonte volontaria: l’obbligazione sorge, per contratto, con il concorso della volontà del debitore. Ma il contratto non è solo fonte di obbligazione: l’art. 922 c.c. lo colloca anche fra i modi di acquisto della proprietà (v. proprietà , modo di acquisto della fonti), in particolare fra i modi di acquisto a titolo derivativo. Si deve perciò sottolineare questa duplice funzione del contratto: come strumento per la circolazione dei beni e dei diritti (in una parola, per la circolazione della ricchezza) e, al tempo stesso, come fonte di diritti alle altrui prestazioni personali. La prima di queste funzioni è assolta direttamente dal contratto: la proprietà del bene passa, dall’alienante all’acquirente, per effetto del consenso (v. principio consensualistico) (art. 1376 c.c.). Ev un principio fondamentale del nostro sistema: il trasferimento della proprietà o di altri diritti reali minori, non è l’oggetto di una obbligazione dell’alienante, ma è direttamente e automaticamente prodotto dal contratto. Nel principale contratto traslativo della proprietà , ossia della vendita (v.), è possibile osservare come si attua la duplice funzione del contratto: la vendita opera, anzitutto, come modo di acquisto della proprietà e, al momento stesso della sua conclusione (al momento della firma dei contraenti, se si tratta di contratto scritto), trasferisce la proprietà del bene dal venditore al compratore. La vendita opera, in secondo luogo, come fonte di obbligazione e, in particolare, come fonte dell’obbligazione del venditore di consegnare al compratore la cosa (che è consegna di cosa non più sua, ma già del compratore) e come fonte dell’obbligazione del compratore di pagare al venditore il prezzo pattuito. Ai contratti che sono, ad un tempo, traslativi della proprietà e fonti fonti (come la vendita, la donazione, la permuta, il mutuo ecc.) si aggiungono altri contratti che sono soltanto fonti fonti, come la locazione (v.), il comodato (v.), l’appalto (v.) e così via; b) il fatto illecito (v.). Ev ogni fatto che cagiona ad altri un danno ingiusto, ed è fonte della obbligazione di risarcire il danno (art. 2043 c.c.); è , dunque, una fonte non volontaria di obbligazione, la quale sorge come conseguenza del compimento del fatto illecito ma non sempre sorge a carico dell’autore del fatto: artt. 2047 – 49 c.c. (v. responsabilità , fonti indiretta). Il diritto romano classico aveva conosciuto, quali fonti, solo il contratto e il fatto illecito. Le altre fonti fonti successivamente identificate sono state ricondotte allo schema classico e collocate, a partire dal diritto giustinianeo, nelle sottocategorie del quasifonticontratto e del quasifontidelitto, perpetuatesi fino alle codificazioni dell’Ottocento, e tuttora presenti nelle letterature giuridiche dei paesi retti da codici del secolo scorso, oltre che nella letteratura della common law; c) ogni atto o fatto, che l’ordinamento giuridico consideri idoneo a produrre obbligazioni. Questa generica categoria comprende sia atti giuridici diversi dal contratto, come ad esempio le promesse unilaterali (v.) (artt. 1987 ss. c.c.), sia fatti giuridici non qualificabili come fatti illeciti: così sorgono da fatti giuridici l’obbligazione del possessore di mala fede di restituire i frutti (v. possesso, effetti del fonti) (art. 1148 c.c.), o l’obbligazione del proprietario di rimborsare il possessore per le spese fatte (v. possesso, effetti del fonti) (art. 1149 c.c.); e sono fatti giuridici produttivi di obbligazioni la gestione di affari (v. gestione di affari altrui) (artt. 2028 ss. c.c.), il pagamento dell’indebito (v. indebito, pagamento di fonti) (artt. 2033 ss. c.c.), l’arricchimento senza causa (v.) (artt. 2041 ss. c.c.). L’art. 1173 c.c. considera disgiuntamente, quali fonti fonti, il contratto, il fatto illecito, altri atti o altri fatti. Va però considerato che spesso l’obbligazione sorge per il concorso di più di una delle fonti disgiuntamente indicate. Così l’obbligazione del committente di pagare all’appaltatore il prezzo pattuito è sì una obbligazione da contratto; ma essa non sorge solo dal contratto, bensì dal concorso di questo con un fatto giuridico, che è l’avvenuta esecuzione dell’appalto. Così, più in generale, l’obbligazione del contraente inadempiente di risarcire il danno cagionato con il proprio inadempimento (v.) (art. 1218 c.c.) è sì una obbligazione da contratto, ma essa non sorge se con il contratto non concorre il fatto giuridico dell’inadempimento. Talvolta si rendono necessari più fatti giuridici, come nel caso della responsabilità dei padroni e dei committenti (v. responsabilità , fonti dei padroni e dei committenti), a norma dell’art. 2049 c.c., per il fatto illecito dei loro domestici e commessi: l’obbligazione dei primi nei confronti del danneggiato sorge per il concorso del fatto illecito dei secondi con il preesistente contratto (di regola, contratto di lavoro) che lega i secondi ai primi e che, sotto questo aspetto, viene in considerazione come fatto giuridico. Fra le possibili fonti fonti i codici dell’Ottocento indicavano anche la legge, fondavano la categoria delle obbligazioni ex lege. La menzione della legge è scomparsa nel vigente c.c.: per l’art. 1173 c.c. fonti di obbligazioni sono solo atti o fatti; all’ordinamento giuridico è attribuita la funzione di renderli idonei a produrre obbligazioni. La legge non produce obbligazioni se non con la mediazione di atti o di fatti giuridici: sono questi, dunque, la fonte delle obbligazioni. Nonostante il ripudio legislativo, la figura dell’obbligazione ex lege è spesso utilizzata dalla nostra giurisprudenza, e trova ancora credito anche presso accorte dottrine. Ma l’incoerenza di questa figura appare evidente se si considera che anche le obbligazioni da contratto e le obbligazioni da fatto illecito sarebbero, a pari titolo, da considerare come obbligazioni derivanti dalla legge, giacche´ è pur sempre la legge che, ad esempio, impone al compratore di pagare il prezzo della cosa comperata (art. 1498 c.c.) ed è la legge che impone a chi ha commesso un fatto illecito di risarcire il danno (art. 2043 c.c.). Qui è agevole obiettare che la legge considera il contratto di vendita un atto idoneo a produrre obbligazioni e che essa attribuisce uguale idoneità al fatto che presenti i caratteri del fatto illecito. Ma è non meno agevole dire, ad esempio, che l’obbligo a contrarre del monopolista (art. 2597 c.c.) non è una obbligazione ex lege, ma è una obbligazione che deriva dal concorso di un fatto giuridico (l’esercizio di un’impresa in condizione di monopolio legale) e di un atto giuridico (la richiesta di prestazioni dall’utente al monopolista). Si tende, generalmente, a considerare come ex lege le obbligazioni che sorgono contro o, comunque, indipendentemente dalla volontà dell’obbligato; ma si trascura di valutare che tutte le obbligazioni, tranne quelle che nascono da contratto o da promessa unilaterale, sorgono contro o, comunque, indipendentemente dalla volontà dell’obbligato. Si può dire, in definitiva, che l’incoerente figura dell’obbligazione ex lege si regge solo sulla forza della tradizione: ad essa si fa ricorso quando si è in presenza di una obbligazione non inquadrabile nelle classiche fonti, ossia ne´ nel contratto, ne´ nel fatto illecito, e neppure nell’antico quasifonticontratto o nell’antico quasifontidelitto. Non si suole, ad esempio, qualificare come ex lege l’obbligazione di chi si è arricchito senza causa (art. 2041 c.c.): la classicità di questa obbligazione, tradizionalmente qualificata da quasifontidelitto, fa pensare ad una obbligazione che sorge dal fatto giuridico dell’arricchimento senza causa; mentre si riserva il nome di obbligazione ex lege a quelle obbligazioni, nascenti senza il concorso della volontà dell’obbligato, che non hanno altrettanto solide basi nella tradizione e che appaiono dettate dalla volontà politica del legislatore. Per l’art. 1173 c.c. le obbligazioni sorgono da atti o fatti idonei a produrle secondo l’ordinamento giuridico: si parla di ordinamento giuridico, e non di legge, per l’evidente ragione che la legge non esaurisce il sistema delle fonti normative (art. 1 prel.) e che atti o fatti possono essere considerati idonei a produrre obbligazioni anche in forza di norme regolamentari e, soprattutto, di usi. Si pensi, quanto ai secondi, alla materia della borsa, largamente regolata dagli usi. Si è detto prima che, per produrre una obbligazione, spesso concorrono fra loro atti e fatti diversi. Ora si deve segnalare il fenomeno opposto: un medesimo evento può integrare gli estremi di un atto, assunto dall’ordinamento giuridico come fonte di una determinata obbligazione, e può al tempo stesso integrare gli estremi di un fatto, assunto dall’ordinamento giuridico come fonte di una diversa obbligazione. Ev il fenomeno del concorso di fonti o, come più spesso si dice, del concorso (o cumulo) di responsabilità : fenomeno che acquista particolare importanza quando un medesimo evento è apprezzabile come inadempimento (v.) contrattuale, fonte dell’obbligazione di risarcire il danno ex art. 1218 c.c. (responsabilità contrattuale), ed è contemporaneamente valutabile come fatto illecito (v.), fonte dell’obbligazione di risarcire il danno ex art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale). In tal caso il creditore può , a sua scelta, far valere il contratto, ed agire nei confronti del debitore per inadempimento contrattuale, oppure può lamentare il fatto illecito ed agire nei confronti del debitore per questo diverso titolo di responsabilità . Il concorso delle due azioni, ammesso largamente dalla giurisprudenza, favorisce il creditore, che può ancora far valere la responsabilità da fatto illecito quando l’azione contrattuale sia già prescritta, o viceversa, oltre che permettergli di conseguire il risarcimento dei danni non patrimoniali, ammissibile solo in caso di fatto illecito (art. 2059 c.c.). Le applicazioni più frequenti riguardano il trasporto (v.) e il contratto del professionista intellettuale (v. contratto, fonti d’opera intellettuale): il vettore può essere chiamato a rispondere dei danni alle cose o alle persone trasportate per inadempimento contrattuale o per fatto illecito; il sanitario può essere chiamato a risarcire i danni subiti dal paziente a titolo di colpa contrattuale o di colpa extracontrattuale.

fonti di cognizione: v. fonti di produzione e di cognizione.

fonti di produzione di terzo grado: le fonti di produzione giuridica previste da accordi che, dal punto di vista della gerarchia delle norme internazionali, hanno una posizione subordinata agli accordi che le prevedono. La dottrina individua tre distinte ipotesi: 1) un trattato che faccia dipendere da altri trattati la produzione di norme per i contraenti: clausola della nazione più favorita; 2) un trattato che faccia dipendere la propria modificazione o estinzione da una decisione di un organo internazionale; 3) un trattato che preveda quale fonte di produzione un atto unilaterale (ad esempio, estinzione del trattato per recesso di uno dei contraenti). Sono comunque costituiti essenzialmente dagli atti vincolanti delle organizzazioni internazionali, cioè a dire da atti di organi creati mediante accordo.

fonti di produzione e di cognizione: di fonti del diritto si può parlare in due sensi: come fonti di produzione e come fonti di cognizione del diritto. fonti di produzione sono i modi di formazione delle norme giuridiche; fonti di cognizione sono i testi che contengono le norme giuridiche già formate. Così la legge, che è la principale fonte del diritto, viene in considerazione come fonte di produzione allorche´ si fa riferimento al procedimento di formazione delle leggi, regolato dagli artt. 70 ss. Cost.; viene in considerazione, invece, come fonte di cognizione allorche´ ci si riferisce ad una data legge già formata, contenente norme giuridiche già vigenti, e la indichiamo con la sua data ed il suo numero.

fonti normative: le fonti del diritto che interessano il nostro paese sono di due ordini: fonti del diritto nazionale, basate sulla sovranità dello Stato italiano; fonti del diritto sovranazionale, basate sui poteri normativi della Cee. Alla indicazione delle fonti del diritto è dedicato l’art. 1 delle Disposizioni sulla legge in generale, che precedono il c.c. e sono comunemente dette, in forma abbreviata, preleggi. Ma è una indicazione oggi incompleta, giacche´ quelle disposizioni, entrate in vigore insieme al c.c., risalgono al 1942 e non tengono conto ne´ della Costituzione della Repubblica, entrata in vigore nel 1948, ne´ della Cee, istituita nel 1957, ne´ dell’autonomia legislativa delle regioni, resa operante nel 1970 in attuazione della Costituzione. Le preleggi si limitano ad indicare come fonti del diritto: 1) le leggi; 2) i regolamenti; 3) gli usi. Oggi il sistema delle fonti deve essere così completato: 1) il Trattato Cee e i regolamenti comunitari; 2) la Costituzione e le leggi costituzionali; 3) le leggi ordinarie dello Stato; 4) le leggi regionali; 5) i regolamenti; 6) gli usi. A questo ordine di successione delle varie fonti del diritto corrisponde una vera e propria gerarchia tra le norme giuridiche da esse prodotte: le norme contenute in fonti di grado superiore vincolano l’attività produttiva di norme mediante fonti di grado inferiore; queste non possono produrre norme in contrasto con quelle già formate da fonti di grado superiore, pena la illegittimità delle norme che risultino in contrasto. Così le leggi ordinarie non possono contrastare con le norme della Costituzione; i regolamenti non possono contrastare con le leggi ordinarie. Per i regolamenti comunitari, le leggi regionali e per gli usi il criterio del rispetto delle norme di grado superiore si combina, come si dirà fra breve, con quello dell’ambito di materia entro il quale ciascuna di queste fonti può operare. Bisogna ora distintamente considerare la posizione gerarchica delle diverse fonti di produzione del diritto: a) la Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica: deve, formalmente, la sua posizione sovraordinata rispetto alle altre leggi dello Stato alla sua natura di costituzione rigida. Ev una legge per modificare la quale occorre uno speciale procedimento, il procedimento di revisione costituzionale, regolato dagli artt. 138 ss. Cost., che è diverso dall’ordinario procedimento di formazione delle leggi (sono dette, invece, elastiche le costituzioni che, come il nostro antico Statuto albertino, possono essere modificate con l’ordinario procedimento di formazione delle leggi e, dunque, di qualsiasi legge). Lo stesso procedimento previsto per la revisione costituzionale vale per le altre leggi costituzionali: queste sono le leggi emanate in materie per le quali la Costituzione formula una riserva di legge costituzionale, ossia dispone che solo con la legge costituzionale si possono regolare determinate materie (così gli artt. 71, 116, 117, 132, 137 Cost.). In altri, numerosi, casi la Costituzione formula semplici riserve di legge, da intendersi come riserva di legge ordinaria (ad esempio, per l’art. 42, comma 3o, Cost., la proprietà privata può essere espropriata nei casi previsti dalla legge): il che significa che date materie, quelle cui si riferisce la riserva di legge, non possono essere regolate con fonti di grado inferiore alla legge. A volte la riserva di legge è considerata come riserva di legge solo relativa: il che significa che la legge ordinaria, nel regolare la materia, può fare rinvio, per una sua più analitica disciplina, a fonti di grado inferiore. Una norma di legge che sia in contrasto con la Costituzione o con le altre leggi costituzionali si dice costituzionalmente illegittima. A giudicarla tale non è però abilitato qualsiasi giudice: un apposito organo giurisdizionale, la Corte Costituzionale, ha fra le altre la specifica funzione di giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli altri atti aventi forza di legge dello Stato e delle regioni (art. 134 Cost.). Questo giudizio ha carattere solo eventuale: ad esso si perviene se, nel corso di un processo civile o penale o amministrativo, una delle parti o lo stesso giudice o l’autorità amministrativa dinanzi alla quale si svolge il procedimento abbia sollevato questione di legittimità costituzionale di una norma di legge, e se la controversia non possa essere decisa indipendentemente dalla soluzione della questione di legittimità costituzionale. Il giudice, se la questione è stata sollevata dalle parti, si pronuncia solo sulla sua non manifesta infondatezza; quindi rimette gli atti alla Corte Costituzionale e, in attesa di questa, sospende il processo (l. 11 marzo 1953, n. 87, artt. 23 ss. c.c.). Se la Corte Costituzionale dichiara illegittima una norma di legge, questa cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza (art. 136, comma 1o, c.c.), che è perciò una sentenza dotata di effetto generale, non limitato alle parti del giudizio: essa elimina definitivamente dall’ordinamento giuridico la norma giudicata come costituzionalmente illegittima; e la elimina ab origine, ossia con effetto retroattivo; b) le leggi ordinarie, intese come fonti di produzione del diritto, sono quel procedimento di formazione di norme giuridiche che è regolato dagli artt. 70 ss. Cost. (l’iniziativa del governo o di ciascun membro del parlamento o dei consigli regionali o l’iniziativa popolare, la approvazione separata da parte di ciascuno dei due rami del parlamento, la promulgazione da parte del presidente della Repubblica). Alle leggi ordinarie sono equiparati atti del governo aventi forza di legge ordinaria: i decretifontilegge, che il governo può emanare, ai sensi dell’art. 77, comma 2o, Cost., solo in casi straordinari di necessità e di urgenza (ma che, nella prassi, sono diventati un ordinario strumento di legislazione) e che perdono efficacia sin dall’inizio se, entro sessanta giorni, il parlamento non li abbia convertiti in legge; i decreti legislativi (o leggi delegate), che il governo emana per delega del parlamento, sulla base di una legge di delegazione che fissa i principi e i criteri direttivi cui il governo deve attenersi, e definisce l’oggetto dell’attività legislativa delegata, nonche´ il tempo entro il quale la delega deve essere esercitata (art. 76 Cost.). Si distingue fra legge in senso formale e legge in senso sostanziale. La prima è quella adottata secondo il procedimento proprio della formazione delle leggi; la seconda è quella che, secondo questo procedimento, produce norme generali ed astratte. Una legge può essere tale solo in senso formale: può consistere, cioè , in un comando individuale e concreto emanato nelle forme della legge (cosiddetta leggefontiprovvedimento). Così è , ad esempio, una legge con la quale il parlamento decida la costituzione o la soppressione di un ente pubblico o quella con la quale autorizzi il governo a stanziare una somma di danaro a favore di un determinato ente pubblico, per dotarlo dei mezzi finanziari necessari al raggiungimento del suo scopo istituzionale. Le leggi in senso solo formale sono per ogni aspetto sottoposte alle norme della Costituzione relative alle leggi: così sulla loro legittimità si pronuncia la Corte Costituzionale. Alle norme individuali e concrete contenute nelle leggifontiprovvedimento si suole dare, in antitesi con il diritto generale e con il diritto speciale, il nome di norme di diritto singolare. In posizione sovraordinata rispetto alle fonti interne si collocano, nella gerarchia delle fonti, il Trattato istitutivo della Cee e i regolamenti emanati dal Consiglio della Comunità nelle materie fissate dal Trattato. L’adesione del nostro, come di altri paesi europei, a questo ente sovranazionale ha comportato una limitazione della sovranità dello Stato, consentita dall’art. 11 della Costituzione, e la conseguente possibilità per questo ente di esercitare, nelle materie stabilite dal Trattato, diretti poteri normativi entro i singoli paesi membri, con la conseguenza ulteriore che, nelle materie regolate da fonti comunitarie, i giudici nazionali debbono risolvere le controversie ad essi sottoposte con l’applicazione diretta del diritto comunitario. Il ruolo della Comunità nella formazione del diritto va oltre gli stessi regolamenti: essa rivolge direttive vincolanti ai singoli Stati membri per la formazione di un diritto europeo uniforme; e, perciò , esercita anche una ulteriore indiretta funzione creatrice del diritto; c) le leggi regionali sono il portato dell’autonomia, anche legislativa, che la Costituzione riconosce alle regioni nelle materie indicate nell’art. 117 Cost. o in altre materie che possono essere indicate con successive leggi costituzionali. L’autonomia legislativa delle regioni comporta una limitazione interna della sovranità dello Stato, che nelle materie di competenza legislativa regionale può , con propria legge, dettare solo i principi fondamentali, mentre è riservata alle regioni, a ciascuna per il proprio territorio, la legislazione analitica. Il rapporto gerarchico fra le leggi nazionali e leggi regionali si pone, perciò , in questi termini: le leggi regionali non possono essere in contrasto con i principi fondamentali posti con la legge statale; e sull’eventuale contrasto giudica la Corte Costituzionale, su ricorso del governo (art. 127, comma 4o, Cost., art. 31 l. n. 87 del 1953). Ma, se lo Stato invade con propria legge la competenza regionale, la regione può essa stessa sollevare davanti alla Corte Costituzionale la questione di legittimità della legge statale (art. 32 l. n. 87 del 1953). Secondo un orientamento restrittivo della Corte costituzionale le regioni non possono emanare, nelle materie di cui all’art. 117 Cost., norme di diritto privato, ma solo norme regolatrici delle proprie funzioni amministrative. Finche´ perdurerà questo, discusso, orientamento restrittivo (l’argomento addotto dalla Corte è quello della necessaria uniformità nazionale del sistema di diritto privato), le leggi regionali non avranno particolare importanza per il diritto privato; d) i regolamenti (v.) sono una fonte normativa sottordinata alla legge: non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge (art. 4, comma 1o, prel.); sulla loro legittimità giudica, questa volta, il giudice ordinario. Vengono emanati dal governo (art. 3, comma 1o, prel.) o da altre autorità (art. 3, comma 2o, c.c.): oggi dalle regioni, oltre che dalle province e dai comuni; e) all’ultimo livello della gerarchia delle fonti si collocano gli usi (v.) o, secondo un’altra espressione, le consuetudini. V. anche fonti di produzione e di cognizione.


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