Enciclopedia giuridica

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Interpretazione della legge

L’applicazione della legge è applicazione di norme generali ed astratte a rapporti fra gli uomini: essa traduce in comandi particolari e concreti, quali sono le sentenze dei giudici, le generali ed astratte previsioni della legge. Questa traduzione non è però meccanica; presuppone, da parte di chi deve applicare la legge, una preliminare e, spesso, complessa operazione, diretta a stabilire: a) quale è , fra le tante, la norma entro la cui generale ed astratta previsione può essere fatto rientrare il caso da risolvere e, perciò, quale è la norma da tradurre in comando particolare e concreto; b) quale è il significato da attribuire alle norme: sia alle norme delle quali si esclude l’applicazione, in quanto il giudizio di non applicabilità presuppone l’attribuzione di un significato, sia a quelle giudicate come le norme da applicare, in quanto le si applicherà secondo il significato che si attribuisce loro. Questa preliminare operazione, attributiva di un significato alle norme e selettiva di esse, è l’interpretazione: una operazione che deve essere, essa stessa, condotta secondo criteri fissati dalla legge. L’art. 12 delle preleggi stabilisce, anzitutto, che nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso se non quello fatto palese: a) dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse(criterio cosiddetto di interpretazione letterale); b) dalla intenzione del legislatore (criterio cosiddetto di interpretazione teleologica). La legge va, dunque, interpretata alla lettera, senza possibilità per l’interprete di attribuirle liberamente un senso; e questo criterio di interpretazione letterale riflette chiaramente il principio della statualità del diritto (v. diritto, statualità del interpretazione della legge), impone al giudice di attenersi strettamente al diritto posto con la legge dello Stato, impedendogli di erigersi egli stesso, in sede di libera interpretazione della legge, a creatore del diritto. Anche il criterio di interpretazione teleologica tende a questo risultato: le parole sono solo il mezzo mediante il quale si esprime l’intenzione del legislatore; e come tali vanno interpretate: esse debbono essere prese alla lettera, ma non fino al punto di attribuire alla norma un senso diverso da quello che, dal contesto della legge, risulta corrispondere alla finalità che la norma si propone (tradizionalmente definita anche come ratio legis, ragione giustificatrice della norma). L’interpretazione da prescegliere deve essere, dunque, quella che risulti il più possibile aderente al senso letterale delle parole e, al tempo stesso, il più possibile corrispondente all’intenzione del legislatore, quale si desume dalla legge. Il legislatore è antica espressione metaforica con la quale non si indicano gli artefici di quella specifica legge, i componenti l’organo legislativo che ne ha formato il testo, bensì l’ideale creatore del sistema legislativo, di quella come di ogni altra legge di cui si compone l’ordinamento giuridico. Le relazioni illustrative che accompagnano le leggi, i verbali delle discussioni parlamentari o dei lavori preparatori svolti da commissioni di esperti possono offrire, a volte, utili elementi di giudizio per ricostruire, storicamente, le finalità di una legge, ma non sono vincolanti per l’interprete, che è vincolato solo da ciò che dalla legge si può ricavare: se c’è contrasto fra l’intenzione che si desume dalla legge e quella che emerge dai lavori preparatori, la prima prevale sulla seconda. Se poi l’organo legislativo, di fronte alle dispute insorte sulla ricostruzione della intenzione del legislatore, vuole imporre la sua interpretazione del testo legislativo, non ha che un mezzo: fare una nuova legge, recante la sua interpretazione della legge precedente (cosiddetta interpretazione autentica); ma non sarà la sua intenzione storica ad imporsi, bensì il testo della nuova legge, cui però si riconosce effetto retroattivo. L’interpretazione secondo l’intenzione del legislatore può dare luogo alla cosiddetta interpretazione della legge estensiva (v.) o all’interpretazione della legge restrittiva (v.). Altri criteri non indicati dal legislatore, ma largamente praticati, sono quelli dell’interpretazione della legge sistematica (v.), dell’interpretazione della legge adeguativa (v.), dell’interpretazione della legge evolutiva (v.). L’art. 12, comma 2o, prel. prende poi un altro criterio di interpretazione della legge, quello dell’interpretazione della legge analogica (v.). Applicazione diretta, applicazione analogica, applicazione dei principi generali sono state qui descritte, in ossequio all’art. 12 prel., come le sole operazioni consentite al giudice. Si deve però avvertire che questa tripartizione dei modi di applicazione del diritto è il retaggio di antiche classificazioni e che non rende appieno la varietà e complessità dell’argomentazione giuridica, la grande latitudine delle possibilità argomentative che risultano consentite al giudice. Gli stessi concetti di applicazione e di interpretazione appaiono inadeguati: quando di una norma il giudice dà una interpretazione sistematica oppure dà una interpretazione evolutiva, egli non interpreta la norma di legge cui fa riferimento, sibbene crea una norma nuova, entro i limiti di compatibilità con la norma di legge. Valgano due esempi, l’uno di interpretazione della legge sistematica, l’altro di interpretazione della legge evolutiva. Per l’art. 1668 c.c. l’appaltatore può essere condannato a risarcire i danni cagionati dai vizi o dalle difformità dell’opera solo in caso di sua colpa (v. appaltatore, responsabilità dell’interpretazione della legge); ma la giurisprudenza prescinde dal requisito della colpa e condanna l’appaltatore al risarcimento dei danni per il solo fatto che l’opera presenti vizi o difformità . A questa conclusione essa perviene sulla base di una interpretazione sistematica dell’art. 1668 c.c., il quale attiene alla responsabilità del debitore per inadempimento (v.) contrattuale e, dunque, a materia nella quale vige il principio dell’art. 1218 c.c., che prescinde dalla colpa del debitore. L’art. 1668 c.c., letto alla luce dell’art. 1218 c.c., assume allora questo significato: la colpa dell’appaltatore, richiesta dall’art. 1668 c.c., non deve essere provata, ma si presume. Altro esempio: l’art. 2043 richiede la colpa del danneggiante perche´ sia affermata la sua responsabilità nei confronti del danneggiato (v. fatti illeciti); ed è norma che non contiene alcuna distinzione relativa alle qualità soggettive del danneggiante. Ma la giurisprudenza da qualche tempo distingue (disattendendo l’antico broccardo ubi lex non distinguit nec nos distinguere possumus): quando si tratta di danni da prodotti industriali la colpa del produttore si presume; e l’argomento adotto è che l’odierna complessità dei procedimenti produttivi renderebbe impossibile, per il danneggiato, dare la prova della colpa del danneggiante e varrebbe a conferire una virtuale immunità del produttore. Di fronte a questi casi non ci si può nascondere il fatto che i giudici hanno creato una norma nuova (la presunzione di colpa del danneggiante); ne´ sembra legittimo definire come interpretazione della legge l’operazione che conduce a questo risultato. Le migliaia di massime di giurisprudenza che, ogni anno, vengono pubblicate nei repertori sono altrettante regulae iuris che integrano le norme della legge e che vengono universalmente accolte come diritto giurisprudenziale. Si deve infine avvertire che nell’argomentazione del teorico del diritto l’antica tripartizione tende a dissolversi, a misura che si afferma l’idea di sistema normativo e si concepisce l’opera dell’interprete come opera di ricostruzione del sistema. Ev , di fatto, sempre più raro trovare nell’argomentazione del giurista riferimenti all’art. 12 prel.: si muove, piuttosto, dalla premessa che esistono norme esplicite e norme implicite nel sistema legislativo. Ciò che nelle preleggi si definisce come applicazione analogica non è più concepito come una operazione che conduce ad applicare una norma regolante un caso diverso, purche´ analogo: si preferisce qualificare questa norma come norma che enuncia espressamente, in rapporto al caso particolare in essa contemplato, una più generale norma, implicita nel sistema legislativo; ed è di questa più generale norma che si fa applicazione (diretta) anche in altri casi (in tutti i casi che possono rientrare nell’ambito di applicazione della identificata norma implicita). Qualificare, per contro, una norma come eccezionale e, perciò , come suscettibile di applicazione analogica equivale, da questo punto di vista, a negare che quella norma possa essere assunta come espressione di una norma più generale. Quanto ai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, essi sono per definizione norme implicite nel sistema: differiscono da quelle cui si allude quando si parla di analogia solo per il fatto che la loro esistenza è attestata da una pluralità di norme esplicite, ciascuna delle quali ne costituisce espressione in un caso particolare.

interpretazione della legge adeguatrice: è una forma di interpretazione della legge sistematica (v.), praticata in seguito all’entrata in vigore della Costituzione: nel dubbio, le norme di legge ordinaria debbono essere interpretate nel modo più adeguato ai principi della Costituzione.

interpretazione della legge analogica: ogni ordinamento giuridico statuale rivendica a se´ il carattere della completezza: esso non può ammettere di avere lacune; deve essere in grado di dare una soluzione di ogni possibile conflitto che si generi fra coloro che vi sono sottoposti. Ma il legislatore non può avere tanta fantasia da prevedere tutti i possibili conflitti, da precostituire una regola per ogni possibile caso. A colmare le inevitabili lacune l’art. 12, comma 2o, prel. impone di provvedere con l’applicazione analogica del diritto: se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe. La mancanza di una precisa norma di legge non autorizza, dunque, il giudice ne´ a denegare giustizia, ne´ a creare liberamente, a propria discrezione, la regola secondo la quale risolvere il conflitto. Egli deve, pur sempre, ricercarla entro l’ordinamento giuridico dello Stato: se non in una norma che prevede quel caso (che non c’è ), in una che contempli un caso analogo, il caso che presenti il maggior grado di analogia con quello sul quale deve pronunciarsi. Di ogni norma di legge il giudice può , perciò , fare una duplice applicazione: ne fa applicazione diretta, allorche´ applica una norma di legge ad un caso da essa previsto; ne fa applicazione analogica, allorche´ applica una norma di legge ad un caso analogo a quello da essa previsto. L’applicazione analogica incontra però un duplice limite (art. 14 prel.): non possono essere applicate a casi simili le norme penali (il che corrisponde al principio dell’art. 1 c.p., per il quale nessuno può essere punito se non per un fatto espressamente previsto dalla legge come reato, e con le pene da essa previste) e le norme eccezionali, ossia quelle che fanno eccezione a regole generali. In questo caso c’è una norma, la regola generale appunto, secondo la quale decidere la controversia: il giudice dovrà applicarla anche se, in casi simili al caso in esame, il legislatore abbia apportato alla regola generale una eccezione. Si noti che la natura eccezionale di una norma ne impedisce l’applicazione analogica, ma non l’interpretazione estensiva (v. interpretazione della legge estensiva), che è pur sempre applicazione diretta della norma, anche se estensivamente interpretata. Può accadere che il giudice non solo non trovi una norma che preveda il caso da risolvere, ma non trovi neppure norme relative a casi analoghi a materie simili, delle quali fare applicazione analogica. Egli dovrà , allora, decidere secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato (art. 12, comma 2o, prel.). Ev la cosiddetta analogia iuris, così distinta dalla analogia legis. Questi non sono principi sanciti da testuali norme di legge (altrimenti il giudice avrebbe una norma di legge della quale fare applicazione diretta), ma sono principi non scritti che si ricavano per induzione da una pluralità di norme e che rappresentano le direttive fondamentali cui appare essersi ispirato il legislatore, come il principio della libera circolazione della ricchezza, quello della conservazione del contratto (v. contratto, conservazione del interpretazione della legge), quello della protezione del contraente più debole (v. contraente, interpretazione della legge debole) e così via).

interpretazione della legge analogica delle norme penali: v. analogia, interpretazione della legge nel diritto penale.

interpretazione della legge analogica delle norme tributarie: v. analogia, interpretazione della legge nel diritto tributario.

interpretazione della legge autentica: v. interpretazione della legge.

interpretazione della legge dottrinale: dalla interpretazione del giudice, che è funzionale all’applicazione della legge ai casi concreti, si distingue l’attività interpretativa, detta interpretazione della legge interpretazione della legge, di quei ricercatori specializzati nella interpretazione del diritto che sono i giuristi. Ev un’attività che si basa sullo studio sistematico del diritto e che ha la sua collocazione istituzionale nelle facoltà di giurisprudenza delle università : il suo prodotto è , in definitiva, la formulazione di astratti progetti o modelli di interpretazione della legge, consegnati in saggi, in trattati, in commentari delle leggi, in manuali di diritto, ai quali i giudici, gli avvocati e i notai possono attingere quando sono chiamati ad affrontare questioni interpretative. A differenza della interpretazione del giudice, che ha carattere autoritativo, quella del giurista non è formalmente vincolante per nessuno: essa si impone solo per la forza di convinzione esercitata dall’argomentazione logica. Interpretazione giudiziale e interpretazione dottrinale presentano per vari aspetti caratteristiche diverse. Il giurista teorico è più attento alle esigenze di ricostruzione sistematica del diritto; il compito cui attende è , principalmente, la traduzione delle proposizioni precettive della legge in quelle proposizioni logiche di cui è fatta la cosiddetta costruzione giuridica. Il giudice, per contro, ragiona a partire dal caso concreto sottoposto al suo esame, è più sensibile ai dati dell’esperienza. Il rapporto fra dottrina e giurisprudenza tende ad essere un rapporto dialettico: le categorie logiche del quale il giudice si avvale sono pur sempre quelle fornitegli dalla dottrina; spesso l’interpretazione giudiziale è il risultato di una scelta fra diversi modelli di interpretazione già proposti dai giuristi. Ma il giudice si trova nella condizione migliore per verificare la loro adeguatezza ai mutamenti della realtà economica e sociale, per cogliere l’opportunità della innovazione. Lo studio del teorico del diritto, in un’epoca caratterizzata, come l’epoca presente, da grande mobilità degli orientamenti giurisprudenziali, non ha solo per oggetto le norme della legge, ma anche, in continuità con queste, l’opera della giurisprudenza, dalla quale riceve costante alimento per la costruzione giuridica e sulla quale esercita un permanente controllo critico. V. anche certezza del diritto.

interpretazione della legge estensiva: l’interpretazione secondo l’intenzione del legislatore può dare luogo alla cosiddetta interpretazione della legge interpretazione della legge, con la quale si attribuisce alle parole della legge un significato più ampio di quello letterale. Eccone un esempio: l’art. 3 Cost. stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge. Si è inteso, con ciò , escludere che il principio di uguaglianza non valga per gli stranieri? Sicuramente no: la norma deve, allora, essere interpretata secondo la sicura intenzione del legislatore e, anziche´ cittadini, vi si deve leggere uomini.

interpretazione della legge evolutiva: si parla di interpretazione della legge interpretazione della legge quando ad una norma si attribuisce un significato diverso da quello attribuitole in passato: o perche´ è mutato il sistema di norme entro il quale la norma in questione è destinata ad operare, e allora si tratta di una applicazione del criterio di interpretazione della legge sistematica (v.), oppure perche´ appaiono superati i referenti economici e sociali della norma, e questa viene interpretata in modo adeguato ai nuovi dati della realtà economica e sociale.

interpretazione della legge giudiziale: l’attribuzione di significato alle norme, la ricerca di norme regolatrici casi analoghi e l’identificazione dei principi generali, nonche´ tutte le altre tecniche argomentative (v. interpretazione della legge) sono operazioni funzionali all’applicazione del diritto a casi concreti. Il giudice le compie ogniqualvolta è chiamato a decidere una controversia; e le conclusioni alle quali perviene circa il significato delle norme, l’esistenza degli estremi dell’analogia, la vigenza di un implicito principio generale sono conclusioni dotate di autorità , della medesima autorità che è propria delle sentenze. Esse valgono, perciò , solo per il caso concreto deciso con quella sentenza: altri giudici, che decidano casi identici, o lo stesso giudice che sia successivamente chiamato a decidere un nuovo caso identico al precedente, possono pervenire a conclusioni diverse. Nel nostro sistema non vige il principio (proprio del diritto anglosassone) del precedente giudiziario vincolante; e questa possibilità , per nuovi giudici come per lo stesso giudice, di rivedere l’interpretazione già data ad una norma è , anch’essa, un modo di riaffermare la sovranità della legge dello Stato, la sola dotata di generale efficacia obbligatoria. Ciò non impedisce, tuttavia, che una certa autorevolezza venga, anche da noi, attribuita ai precedenti di giurisprudenza, ossia alle soluzioni uniformemente date da più giudici ad una medesima questione interpretativa (uniformità di soluzioni che fa apparire probabile che alla medesima soluzione gli stessi o gli altri giudici perverranno in futuro), oppure alla soluzione che ad una questione interpretativa sia stata data dalla Cassazione, che è l’organo giudiziario al quale ogni controversia può essere portata in ultima istanza e che si presume, anche se neppure la Cassazione è vincolata dai propri precedenti, confermerà la soluzione già data. Alla Cassazione l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario attribuisce la funzione di garantire l’uniforme applicazione della legge (c.d. nomofilachia). Alla conoscenza dei precedenti di giurisprudenza, quali modelli per decisioni future, è preordinata la massimazione delle sentenze, che è la traduzione in principio generale ed astratto della ratio decidendi adottata dal giudice per risolvere il caso concreto sottoposto al suo giudizio. Questa attività di massimazione ha carattere ufficiale per le sentenze della Cassazione, massimate dall’apposito ufficio del massimario, mentre un centro elaborazione dati, organizzato anch’esso presso la Cassazione, memorizza, sempre per massime, tutte le sentenze già emanate da questo supremo organo giudiziario: i terminali di questo elaboratore, distribuiti sul territorio nazionale, permettono a giudici, avvocati, notai ecc. di conoscere rapidamente, per ogni questione interpretativa che insorga, se esistano e quali siano i precedenti di giurisprudenza della Cassazione, oltre che informare sui precedenti della giurisprudenza di merito massimati dalle riviste di giurisprudenza. Ai precedenti si deve attribuire una autorità non solo statistica, basata sul calcolo delle probabilità ; si deve riconoscere loro un formale valore. In questo secondo senso depongono due principi della Cassazione: a) il giudice di merito soddisfa l’obbligo di motivazione della sentenza, impostogli dall’art. 132, n. 4, c.p.c., anche con il mero riferimento alla giurisprudenza della Cassazione; b) il giudice di merito, per quanto libero di non adeguarsi all’opinione espressa da altri giudici ed anche di non seguire l’interpretazione proposta dalla Corte di Cassazione, ha pur tuttavia l’obbligo di addurre ragioni congrue, convincenti a contestare e a fare venire meno l’attendibilità dell’indirizzo interpretativo rifiutato. Al precedente è , dunque, riconosciuto questo valore: esso dispensa il giudice che vi si adegui dall’obbligo di motivare; impone al giudice che voglia discostarsene l’obbligo di motivare convincentemente il rifiuto.

interpretazione della legge penale: v. legge penale.

interpretazione della legge restrittiva: è l’interpretazione con la quale si dà alle parole un significato più ristretto di quello comune, giudicato come più aderente all’intenzione del legislatore. Una interpretazione della legge interpretazione della legge è , ad esempio, l’interpretazione che la Corte Costituzionale dà all’art. 117 Cost., allorche´ ritiene che il potere legislativo delle regioni, nelle materie indicate da questo articolo, riguardi solo il potere di porre norme di diritto pubblico e non anche norme di diritto privato.

interpretazione della legge sistematica: un criterio non indicato nelle preleggi, ma largamente praticato, è quello dell’interpretazione della legge interpretazione della legge: muove dalla considerazione che ciascuna norma concorre, insieme alle altre, a formare un sistema unitario, onde il senso che si attribuisce all’una deve essere compatibile con il senso che si attribuisce alle altre, ed elementi per l’interpretazione di una norma possono essere ricavati da altra norma. V. anche interpretazione della legge adeguatrice.


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