Ogni  persona è  identificata con  un  nome, che consta  del nome in senso  stretto, o prenome, e del cognome  (art.  6, comma  2o, c.c.). Ev  controverso a chi spetti la scelta  del prenome. Secondo  l’ordinamento dello  stato  civile, il nome è  dato, a propria scelta,  da  chi dichiara  la nascita  all’ufficiale  di stato  civile o, se il dichiarante se ne  astiene,  dallo  stesso  ufficiale  dello  stato  civile (art.  71, comma  3o, c.c.). Si deve  allora  ritenere che la scelta  spetti  a chi per  primo si  presenti per  la dichiarazione di nascita?  L’art.  71 c.c. deve,  in realtà, essere  coordinato con  l’art. 70 c.c., per  il quale  soggetti  diversi  dal padre effettuano la dichiarazione in mancanza di questo,  ossia  nel caso  di un  suo impedimento o di un  suo disinteresse; sicche´  il padre,  che si presenti all’ufficiale  di stato  civile entro  i dieci giorni  di cui all’art.  67 c.c., scoprendo di essere  stato  preceduto dalla  levatrice,  può  ottenere la rettificazione dell’atto  di nascita  con  l’imposizione  di un  prenome diverso. Altro  problema è  insorto  a seguito  della  riforma  del diritto  di famiglia,  che ha  introdotto l’uguaglianza  fra i coniugi:  sotto  questo  aspetto è  corretto ritenere che la scelta  del prenome da  imporre al neonato non  spetti  solo  al padre,  dovendo gli artt.  70 e 71 dell’ordinamento dello  stato  civile essere coordinati con  il nuovo  testo  dell’art.  143 del c.c.; sicche´  il padre,  prima  di rendere la dichiarazione di nascita,  dovrà  concordare con  la madre  la scelta del prenome. Per  garantire la funzione  identificatrice del nome la nostra  legge vieta  di imporre lo stesso  prenome del padre  vivente,  di un  fratello  o di una  sorella  viventi,  di usare  come  prenome un  cognome  o una denominazione geografica,  mentre a tutela  del designato è  fatto  divieto  di  imporre prenomi  ridicoli  o vergognosi  o contrari all’ordine  pubblico  o al buon  costume  (divieto,  quest’ultimo, che vale  anche  per  la scelta  del cognome  quando, essendo  sconosciuti  i genitori,  questo  venga  imposto dall’ufficiale  di stato  civile). Il cognome,  se si tratta di figlio legittimo  (v. filiazione,  nome legittima),  ossia  concepito da  genitori  uniti  in matrimonio, è quello  del padre;  altrimenti è  il cognome  del genitore  che, nel rendere la dichiarazione di nascita,  riconosce  il nato  come  proprio figlio naturale (v. filiazione,  nome naturale)  (art.  254 c.c.), ed  è  quello  del padre  se il riconoscimento proviene da  entrambi i genitori  (art.  262 c.c.). In  mancanza di riconoscimento il neonato è  iscritto  nei registri  dello  stato  civile come figlio di ignoti  o, se è  stata  la madre  a denunciarne la nascita,  come  figlio di  donna  che non  desidera  essere  nominata (la  naturale certezza  della maternità  cede  qui  di fronte  alle  esigenze  di tutela  della  riservatezza); ed  il cognome  gli è  dato,  a propria scelta,  dallo  stesso  ufficiale  di stato  civile (art.  71, comma  4o, ordinamento dello  stato  civile)  o dal direttore dell’istituto al quale  il bambino sia stato  consegnato (art.  77 stesso ordinamento). Dovranno essere  evitati  (oltre  a quelli  dei quali  si è  già detto) i cognomi  che possano  rivelare  l’origine  non  legittima,  i cognomi stranieri, quelli  illustri  o comunque noti  nel luogo  di nascita  (art.  72 c.c.). Se  poi  il figlio naturale viene  riconosciuto (o  se la paternità  o maternità viene  accertata in giudizio),  allora  egli assume  il cognome  del genitore  che per  primo  lo ha  riconosciuto (o  la cui paternità  o maternità  è  stata accertata); se è  stato  riconosciuto contemporaneamente  da  entrambi i genitori,  assume  il cognome  del padre  (art.  262 c.c.).   
 cambiamento del nome:  la funzione  identificatrice del nome induce  a guardare con molta  cautela  a cambiamenti, aggiunte  o rettifiche, che per  l’art. 6, comma 3o, c.c., non  sono  ammessi  se non  nei casi e con  le formalità  previste  dalla legge. Le  relative  norme  sono  negli  artt.  153 ss. dell’ordinamento dello  stato civile. Vi si trovano distinte  quattro ipotesi:  a) cambiamento del prenome o aggiunta  al proprio di altro  prenome. Non  è  subordinato alla  presenza di particolari presupposti e può  essere  autorizzato, discrezionalmente, dal procuratore generale presso  la Corte  d’appello;  b)  cambiamento del cognome  ridicolo  o vergognoso  o rivelante l’origine  non  legittima.  Ev autorizzato anch’esso  dal procuratore generale presso  la Corte  d’appello;  c) cambiamento del cognome  in ogni  altro  caso  o aggiunta  al proprio di altro cognome.  Ev  autorizzato, discrezionalmente, con  decreto del capo  dello  Stato su parere del procuratore generale presso  la Corte  d’appello.  I casi più frequenti sono  quelli  dell’istituzione di erede  condizionata all’aggiunta  da parte  dell’erede del cognome  del testatore; della  sostituzione al cognome del padre  di quello  della  madre  divorziata,  quando il figlio sia stato  a questa  affidato  e nel proprio ambiente sociale  venga  da  tutti  identificato con  il cognome  della  madre;  della  aggiunta  al proprio del cognome  della madre,  quando si tratta di casato  illustre;  della  assunzione, da  parte  della figlia adulterina, del cognome  del padre  naturale; d)  rettificazione del prenome o del cognome.  Ev  disposta  dal tribunale, su iniziativa  del procuratore della  Repubblica o dell’interessato, quando il prenome o il cognome  non  sia conforme alla  legge (ad  esempio  perche´  è  stato  usato  un cognome  o una  espressione geografica  come  prenome) oppure quando ci  sia stato  un  errore materiale nella  loro  trascrizione negli  atti  dello  stato civile.  
 conferimento  del nome in società:   è  l’immissione  del nome del socio  nella  ragione  o denominazione di una  società  (v.).  Secondo  la prevalente giurisprudenza, trattasi  di un  vero  e proprio conferimento, cui consegue  il diritto  della società  stessa  di disporre liberamente del nome inserito  nella  ragione  e denominazione sociale.  La  dottrina più  recente, però , ritiene  che non  si tratti  di un  vero  e proprio conferimento di bene  immateriale: si tratta di semplice  autorizzazione, del socio  alla  società , suscettibile di valutazione patrimoniale ad  utilizzare  il proprio nome nella  ragione  o denominazione sociale,  con  rinuncia  a far valere  l’azione  di reclamo  (v.) e l’azione  di usurpazione (v. diritto  al nome) (art.  7 c.c.).  
 diritto al nome:  un  diritto  della  personalità  spetta  a ciascuno  sul proprio nome: se ne  comprende il senso  se si considera che il nome è  il mezzo  di identificazione della  persona;  il segno  che permette al soggetto  di riferire  a se´  qualità personali  e vicende  della  vita  umana.  Il nome è  protetto dall’art.  7 c.c. sotto  un duplice  aspetto:  1) come  diritto  all’uso del proprio nome, ossia  come  diritto  di identificare se stessi con  il proprio nome e come  diritto  di essere  dagli  altri identificati con  esso. Ev  protetto con  l’azione  di reclamo,  che si fa valere contro  chi contesti  alla  persona o le impedisca  l’uso del proprio nome o contro chi la identifichi  con  un  nome diverso  dal suo; 2) come  diritto  all’uso esclusivo del proprio nome. Ev  protetto, sotto  questo  secondo  aspetto, con  l’azione  di usurpazione: spetta  contro  chi usi indebitamente il nome altrui:  a) per identificare se´ , attribuendo a se´  la rinomanza acquisita  da  altri;  ed  anche  l’omonimia  può  costituire  il presupposto per  l’usurpazione del nome altrui quando l’omonimo  non  famoso  usi l’altrui  nome prestigioso per  intraprendere  la medesima  attività;  b)  per  indicare  una  cosa,  scegliendo,  ad  esempio,  come marchio  (v.) di un  prodotto industriale il nome di una  persona o utilizzandolo per formare un’insegna  (v.); c) per  fare  comunque indebito  uso del nome altrui: ad  esempio,  inserendolo come  nome di un  personaggio di fantasia  di un’opera artistica,  o apponendolo in calce  ad  un  manifesto o ad  un  documento politico.  In  entrambi i casi l’azione  mira  ad  ottenere dal giudice  una sentenza  che ordini  la cessazione  del fatto  lesivo; e della  sentenza può essere  altresì  ordinata dal giudice  la pubblicazione in uno  o più  giornali. Non  occorre  che l’attore  provi  di avere  subito  un  danno;  basta,  se il nome è stato  usurpato, che il fatto  appaia  suscettibile di recargli  pregiudizio,  anche non  economico,  ossia  che sussista  rischio  di confusione fra il titolare del nome e l’usurpatore. E  neppure questo  l’art. 7 c.c. richiede  per  l’azione  di reclamo: è  qui  sufficiente  il fatto  in se´  della  violazione  dell’altrui  nome. Oltre  che il nome, è protetto lo pseudonimo, o nome d’arte,  quando abbia  acquistato la stessa importanza del nome (art.  9 c.c.). Lo  pseudonimo è  altro  dal falso nome: il primo  è il segno  che la persona sceglie per  la propria identificazione nello svolgimento  di determinate attività  professionali (soprattutto  artistiche), mentre continua ad  usare  il nome anagrafico  per  ogni  altra  sfera  di attività;  il secondo  ha,  invece,  la funzione,  illecita,  di occultare  il nome anagrafico. Per essere  protetto, lo pseudonimo deve  avere  acquistato la stessa  importanza di  un  nome: non  è  protetto, perciò , se usato  solo  occasionalmente, come  nel caso  dello  scrittore  o del regista  che lo usi una  sola volta.  Ev  però  protetto  l’uso costante  di una  pluralità  di pseudonimi. Può  accadere che lo  pseudonimo coincida  con  il nome anagrafico  di altri,  sollevando così  un  conflitto  fra tutela  del  nome e tutela  dello  pseudonimo. Perche´  un  simile problema si ponga  occorre,  naturalmente, che lo pseudonimo sia effettivamente tale, ossia  che abbia  già  acquistato l’importanza del nome: il giornalista  che usi una sola volta  uno  pseudonimo coincidente con  il nome anagrafico  altrui  viola  il diritto  di questo,  ove  ricorra  l’estremo  del pregiudizio di cui all’art.  7 c.c., ossia  il rischio  di confusione. Quando si tratta, invece,  di vero  e proprio pseudonimo, la questione non  è  diversa  da  quella  dell’omonimia fra nomi anagrafici,  e la tutela  del nome può  cedere  di fronte  a quella  dello  pseudonimo. La  tutela  del nome può , a norma  dell’art.  8 c.c., essere  promossa anche  da  chi, pur  non  portando il nome contestato o usurpato, abbia  un  interesse familiare degno  di protezione alla  sua  tutela.  Il nome, siccome  diritto  della  personalità  (v. diritti della personalità ), è  a rigore  indisponibile: chi concede  ad  altri  di fare uso del proprio nome celebre  per  contraddistinguere un  prodotto industriale (è noto  il caso  del campione di ciclismo  il cui nome era  utilizzato  come  marchio  di lamette da  barba) dovrebbe poter  sempre  revocare il consenso  accordato. Ma  ciò  recherebbe grave  pregiudizio al produttore, che può  avere  effettuato ingenti  investimenti nella  pubblicità  di quel  marchio.  Dall’impasse si può uscire  in due  modi:  o ammettendo la revocabilità  del consenso,  ma riconoscendo all’altra  parte  il diritto  al risarcimento del danno  (ciò  che costituisce  un  valido  deterrente alla  revoca)  tutte  le volte  che la revoca appaia  affatto  ingiustificata e capricciosa,  integrando gli estremi  di un  abuso del diritto  (v. abuso,  nome del diritto)  della  personalità ; oppure escludendo la  revocabilità  del consenso  prestato verso  corrispettivo,  giudicando ammissibile  un  vero  e proprio contratto a titolo  oneroso avente  ad  oggetto  l’uso  commerciale del nome. La  prima  soluzione  è  la più  coerente con  la natura del nome  quale  diritto  della  personalità . Il contratto con  il quale  si dà , contro corrispettivo, l’autorizzazione all’uso del proprio nome come  marchio  di un prodotto industriale rientra nella  più  generale figura  atipica  del merchandising (v.).   
 rettifiche del nome:  v. cambiamento del nome. 		
			
| Nolo | | | Nomen |