Enciclopedia giuridica

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Contributi



contributi di depurazione e fognatura: tributi cui erano tenuti i proprietari degli stabili che direttamente o indirettamente scaricavano materiale di rifiuto. Presupposto d’imposta era la possibilità di utilizzare il servizio pubblico di fognatura tanto è vero che se soltanto una parte della proprietà poteva usufruire della fognatura il contributi veniva ridotto in proporzione finche´ le opere di fognatura non venivano completate. Il tributo non era, però , determinato in relazione al vantaggio ricavato dall’utente, ma in relazione alla sua capacità contributiva risultante dal reddito imponibile del fabbricato. Parte della dottrina riteneva, pertanto, che esso acquistasse la natura di una sovrimposta sui fabbricati, riscossa in occasione dell’utilizzazione del servizio pubblico. Il contributo era dovuto ai Comuni per l’effettuazione di opere di fognatura; questi comunque potevano applicare il contributo esclusivamente nella misura necessaria per una copertura parziale delle spese occorrenti per la manutenzione delle fognature, senza coprire per intero la spesa. Il contributo è stato abolito con la riforma tributaria. Tuttavia a livello comunale esiste ancora il canone o tassa per il servizio di fognatura e depurazione previsto dagli artt. 16 e 17 della l. n. 319 del 1976 (c.d. legge Merli) ed integrato dalla l. 24 dicembre 1979, n. 650. Attraverso l’introduzione di tale contributi si volevano disciplinare gli scarichi di qualsiasi tipo in tutte le acque e nelle fognature. Il canone è dovuto ai Comuni o loro consorzi, per i servizi relativi alla raccolta, all’allontanamento, la depurazione e lo scarico delle acque di rifiuto decadenti dalle superficie e dai fabbricati privati e pubblici, ivi inclusi stabilimenti ed opifici industriali. Il contributo è stabilito secondo un’apposita tariffa e comprende una componente, relativa al servizio di fognatura, determinata in rapporto alla quantità di acque effettivamente scaricate ed una componente, relativa al servizio di depurazione, riferita alla quantità ed alla qualità delle acque. Una dottrina lo qualifica come una tassa, ritenendo che esso sia dovuto sul presupposto della virtuale fruizione dei sevizi di fognatura e depurazione. La giurisprudenza ha comunque confermato la natura di entrata di tipo tributario trattandosi di una prestazione pecuniaria imposta a fronte di un servizio generale; in ragione di ciò il canone è dovuto in tutte le ipotesi in cui nel Comune sia in funzione un impianto di depurazione centralizzato a nulla rilevando che lo scarico industriale non confluisca nel depuratore pubblico. Va ricordato che una somma aggiuntiva, commisurata alla quantità e qualità delle acque restituite era transitoriamente dovuta ai complessi produttivi in attesa della graduale attivazione di dispositivi di risanamento degli scarichi, a titolo di parziale (nel senso di non preclusivo della responsabilità civile) compenso per i danni provocati.

contributi di miglioria: oneri di carattere tributario che il t.u. della finanza locale del 1931 distingueva in contributi contributi specifica e contributi contributi generica. I primi erano applicabili dai comuni e dalle provincie e colpivano l’incremento di valore dei beni rustici urbani (escluse le aree fabbricabili) derivante dall’esecuzione di specifiche opere pubbliche. I secondi, applicabili dai comuni, erano dovuti per l’incremento di valore derivante dall’espansione dell’abitato e dalla generica attività di urbanizzazione dell’ente locale. L’inefficienza dei comuni non consentì mai la percezione di un gettito soddisfacente e, d’altra parte, il sistema dei contributi contributi non riusciva a tenere nel debito conto gli effetti dell’intensa opera di urbanizzazione avvenuta negli anni ’50. Il contributo di miglioria generica fu abolito nel 1963 perche´ sostituito da una vera e propria imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili. I contributi contributi generica scomparvero invece con la riforma tributaria (1973) e l’introduzione dell’Invim (v.).

contributi previdenziali: si tratta di prestazioni patrimoniali imposte dalla legge a carico del datore di lavoro (e, a volte, con il concorso dello stesso lavoratore e/o dello Stato) in proporzione alla retribuzione del soggetto beneficiario della tutela previdenziale (v. retribuzione ai fini previdenziali). Il loro importo, determinato appunto in base a tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro, in danaro o in natura, in dipendenza del rapporto di lavoro, possiede la rilevante funzione di alimentare i fondi dell’Inps destinati a soddisfare le richieste dei lavoratori al termine del periodo lavorativo sotto forma di pensione (v. invalidità e vecchiaia, assicurazioni obbligatorie per contributi). I contributi sono versati, direttamente, anche dai liberi professionisti e dai lavoratori autonomi, per il finanziamento delle forme previdenziali che li riguardano.

contributi sindacali: la raccolta dei contributi rappresenta un mezzo di sostegno del sindacato, una forma di autofinanziamento delle strutture sindacali: beneficiarie ne sono infatti, tutte le associazioni sindacali dei lavoratori. Il collettaggio può avvenire in due modi: o attraverso l’opera volontaria di collettori o attivisti, oppure tramite ritenuta sul salario operata dal datore di lavoro su delega del lavoratore. Nella prima ipotesi, l’autofinanziamento si attua per libera iniziativa dei lavoratori in quanto tali; l’art. 26, comma 1o, dello statuto dei lavoratori riconosce ai singoli lavoratori il diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo (v. proselitismo sindacale) per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale. Nella seconda ipotesi, invece, l’autofinanziamento è agevolato in quanto si realizza attraverso metodo di esazione la cui attivazione è affidata all’iniziativa non dei singoli lavoratori, bensì dei loro sindacati. Più precisamente, lo specifico diritto e stato a lungo garantito al sindacato dal comma 2o dell’art. 26 sopracitato: vi si leggeva, infatti, che le associazioni sindacali hanno il diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario nonche´ sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi (v.) di lavoro, che garantiscono la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale. Al fine di garantire la segretezza dell’affiliazione sindacale del lavoratore, la prassi contrattuale prevede che la raccolta delle deleghe avvenga mediante l’utilizzazione di un modulo diviso in due parti: la prima, ove il lavoratore indica il sindacato beneficiario dei contributi, è rimessa al sindacato prescelto, la seconda, in cui compare la delega vera e propria senza l’indicazione del sindacato cui spettano i contributi è rimessa all’imprenditore. Al momento della riscossione il sindacato presenta al datore di lavoro la prima parte delle deleghe senza firma del datore ed il datore può , in base alla seconda parte del modulo rimasta in suo possesso, operare un riscontro numerico dei lavoratori che hanno versato contributi. Veniva inoltre stabilito che nelle aziende, in cui i rapporti di lavoro non sono regolati dalla contrattazione collettiva, (v.) il lavoratore ha diritto di chiedere il versamento dei contributi sindacali all’associazione da lui indicata (art. 26, comma 3o, statuto dei lavoratori). Fermo restando il fondamentale diritto di proselitismo sindacale nei luoghi di lavoro, la materia in esame è stata di recente restituita all’autonomia privata, individuale e collettiva, a seguito dell’abrogazione (quale esito del referendum popolare dell’11 giugno 1995) degli artt. 26, comma 2o e 3o, statuto dei lavoratori, e 594, d.leg. 16 aprile 1994, n. 297 (che sanciva la ritenuta per contributi sindacali nell’area delle scuole di ogni ordine e grado). Sul piano degli effetti, tuttavia, va rilevato che la stragrande maggioranza dei contratti collettivi prevede, come si è detto, in dettaglio le forme della trattenuta, in conformità alle riserve in favore della contrattazione formulate nell’abrogato secondo comma dell’art. 26 in ordine alle modalità di versamento; di conseguenza, la materia che prima aveva fonte normativa e contrattuale, sarà ora regolata dal contratto collettivo. Nel caso, poi, in cui il contratto collettivo non esista, al fine di rendere possibile la trattenuta ed il versamento contributivo soccorreranno i normali istituti privatistici della cessione e della delegazione.

contributi tributari: termine generico usato tradizionalmente dal legislatore per indicare ogni forma di concorso del privato alle spese dell’ente pubblico indipendentemente dalla fonte pubblicistica o privatistica del prelievo, dall’esistenza o meno di un concorso della volontà del privato nella sua determinazione e dalla misura del concorso rispetto al costo generale del servizio. La dottrina ricollega la definizione a quelle prestazioni connesse ad un particolare vantaggio economico conseguito dal contribuente dall’esplicazione di un’attività pubblica ovvero ad una maggiore spesa provocata dal contribuente all’ente pubblico (es. l’abolito contributo integrativo di utenza stradale). Attualmente l’unico ipotesi di contributi in senso proprio è probabilmente il contributi di urbanizzazione (v. oneri, contributi di urbanizzazione). La Corte Costituzionale (sent. 23/1968, 146/1972 e 167/1986) ha negato la natura tributaria ai contributi di sicurezza sociale (c.d. contributi speciali) dovuti agli enti preposti a questo settore (Inps, Enpas, Inail, Iacp ecc.) escludendo l’applicabilità dell’art. 53 Cost. per le prestazioni imposte operanti in assetto commutativo (v. contributi previdenziali). Va però rammentato che l’evoluzione di tali contributi dimostra che essi, riferendosi alla generica capacità contributiva espressa dal reddito complessivo, da un lato vanno a prescindere dal rapporto tra prestazione del cittadino e servizio pubblico goduto e dall’altro tendono sempre più a confluire nell’imposizione tributaria ordinaria (v. parafiscalità ). Possono invece ritenersi sicuramente esclusi dall’area tributaria i contributi volontari anche se disciplinati dal diritto pubblico, non trattandosi mai di prestazioni imposto poiche´ allo loro determinazione concorre la volontà del privato. Dubbia è anche l’inclusione dei contributi dovuti ad enti pubblici minori territoriali e non, che talvolta sono esponenziali di interessi di categoria (ordini o collegi professionali) o di settore (consorzi di bonifica).

contributi unificati in agricoltura: sono i contributi previdenziali versati dai datori di lavoro agricoli sulla base dell’impiego medio presunto di mano d’opera per ettarocontributicoltura. I lavoratori ottengono il diritto alle prestazioni in conseguenza della iscrizione in appositi elenchi nominativi curati dal Servizio contributi (Scau), che costituisce l’organo fondamentale della previdenza sociale nel settore (l. 5 marzo 1963, n. 322, e successive proroghe). Esso, tra l’altro, provvede alle nuove iscrizioni e alle cancellazioni dai suddetti elenchi. Tale sistema è attualmente in via di riforma, all’evidente fine di impedire le frequenti frodi, di regola consistenti in richieste di prestazioni sulla base di posizioni previdenziali inesistenti.


Contribuente      |      Contributo diretto lavorativo


 
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