falsità della testimonianza:  reato  di pericolo  a consumazione istantanea contro l’amministrazione della  giustizia.  Ha  come  presupposto che il soggetto attivo  del reato  rivesta  la qualità  di teste  e deponga dinanzi  all’autorità giudiziaria  italiana.  La  condotta può  assumere  tre  forme  potendo consistere nell’affermare il falso, nel negare  il vero  o nel tacere  in tutto  o in parte  ciò che si sa intorno ai fatti  su cui si è  interrogati (art.  372 c.p.; art.  376 c.p.; art.  376 c.p.; art.  384 c.p.).  L’elemento materiale del delitto  in esame  è  dato dalla  divergenza tra  quanto il testimone depone e ciò  che egli conosce  dei fatti  sui quali  è  interrogato e non  dalla  divergenza tra  le dichiarazioni rese e la realtà . Nel  giudizio  civile vi è  un  preciso  dovere  di comparire e prestare la testimonianza, e nel caso  in cui il giudice  istruttore abbia fondato sospetto  che il testimone nell’espletamento di tale  dovere  non abbia  detto  la verità  o sia stato  reticente, lo deve  denunciare al p.m.  al quale  trasmette copia  del processo  verbale,  potendo in tale  caso  anche ordinare l’arresto  del testimone (art.  255 c.p.c.). La  ritrattazione della testimonianza falsa è  prevista  come  causa  speciale  di estinzione della punibilità  (art.  376 c.p.)  sempre  che intervenga prima  della  sentenza definitiva.  Ev  inoltre  applicabile l’esimente  speciale  prevista  dall’art.  384 c.p..  
 falsità delle  prove:  rappresenta un  contrasto con  la verità , sia nella  forma  del falso materiale, sia in quella  del falso ideologico  delle  prove  in senso  lato, cioè  di qualsiasi  mezzo  o strumento predisposto dalla  legge affinche´  il giudice  si convinca  dell’esistenza  o dell’inesistenza di fatti  rilevanti  per  la  decisione  della  causa.  A  norma  dell’art.  395 n. 2 c.p.c. la falsità falsità è  causa  di revocazione della  sentenza.  Tale  norma  non  si applica  al giuramento la cui falsità non  può  dar  luogo  a revocazione, neppure se accertata  giudizialmente.  
 falsità in atti:  le disposizioni  penali  sulla falsità falsità tutelano l’interesse  alla  pubblica  fede  inerente agli atti  pubblici  o privati  in quanto contengono dichiarazioni, attestazioni, certificazioni atte  a produrre conseguenze giuridiche.  Il c.p. distingue  gli atti  in: pubblici  in genere,  comprese le concessioni amministrative; copie  autentiche di atti  pubblici;  scritture  private;  copie autentiche di atti  privati;  attestazioni circa il contenuto di atti  pubblici  e privati;  registri;  notificazioni (artt.  476  – 493). Agli  effetti  delle  disposizioni  sul falso documentale, nella  denominazione di atti  pubblici  e di scritture  private sono  compresi  non  soltanto gli atti  originali,  ma anche,  rispettivamente, le copie  autentiche di essi, quando, a norma  di legge, tengano luogo  degli originali  mancanti  (artt.  1333 ss. c.c.). La  falsificazione  di un  atto giuridicamente rilevante contiene in se stessa  l’attitudine a produrre un pubblico  o privato  nocumento. Per  la falsità in atto  pubblico  è  sufficiente  la coscienza  e la volontà  di perpetrare il falso; non  occorre,  nell’agente,  un fine speciale.  Nella  falsità in scrittura  privata,  invece,  occorre  anche  il fine di procurare a se´  o ad  altri  un  vantaggio,  o di recare  ad  altri  un  danno.  Per  la falsità  in  atto  pubblico  non  occorre  l’uso;  per  quella  in  scrittura  privata  è,  invece,  necessario  l’uso, o la scienza  che altri  faccia uso della  scrittura  falsa. La  falsità in scrittura  privata  non  seguita  dall’uso  non  è  punibile,  neppure a titolo  di tentativo. Di  regola,  per  le scritture  private  non  è  punito  il falso  ideologico,  o intellettuale, per  il quale  il documento non  è  falsificato,  in tutto o in parte,  nella  sua  essenza  materiale (falso  materiale), ma creato vero nella  forma,  pur  essendo  falso, in tutto  o in parte  nella  sostanza.  Sono equiparati agli atti  pubblici,  ai soli effetti  della  pena,  il testamento olografo, la cambiale  e ogni  altro  titolo  di credito  trasmissibile per  girata  o al portatore (art.  491).  
 falsità personali:  per  falsità si intendono comunemente i delitti  di cui agli artt.  dal 494 al 497 c.p.; tutte  queste  fattispecie  hanno  in comune  una  condotta di aggressione  al bene  della  fede  pubblica  posta  in essere  tramite comportamenti che alterano gli elementi di identificazione di una  persona (es. nome  e cognome) ovvero  le qualità  che ne  condizionano il ruolo all’interno  della  società  civile (titolo  professionale, divise ecc.). Peraltro la dottrina ha  più  volte  criticato  la collocazione sistematica delle  norme  in oggetto,  osservando come  la lesione  della  fede  pubblica,  da  intendersi come inganno  di un  numero indeterminato di persone, sia in realtà  del tutto eventuale. Inoltre, non  poche  obiezioni  ha  sollevato  una  pretesa mancanza di omogeneità  tra  gli oggetti  materiali dei falsi in esame  e quelli  su cui ricadono le altre  ipotesi  di falso punibile.  Alcuni  hanno  anzi  osservato che nell’ambito delle  c.d. falsità spesso  verrebbe addirittura a mancare un  oggetto materiale dell’azione  inteso  in senso  stretto. Dopo  il delitto  di sostituzione di persona disciplinato  dall’art.  494, le c.d. falsità comprendono due  ipotesi riguardanti false dichiarazioni sull’identità  personale (artt.  495 e 496), e infine  l’art. 497 che disciplina  la c.d. frode  nel farsi  rilasciare  certificati  del casellario  giudiziario  e l’art. 498 che sanziona  l’usurpazione di titoli  o onori.  Cominciando dalla  prima  ipotesi  riguardante la c.d. sostituzione di persona, si può  osservare che l’azione  tipica  si concretizza in un’induzione in errore di altri  attuata tramite la sostituzione illegittima  della  propria all’altrui persona, o l’attribuzione a se´  o ad  altri  di un  falso nome,  stato  o qualità  da cui la legge fa discendere determinati effetti  giuridici.  Si tratta quindi  di una  chiara  ipotesi  di reato  a forma  vincolata  poiche´  l’induzione  in errore non  può  avvenire  con  qualsiasi  modalità  (es. un  contegno  meramente omissivo)  ma solo  in uno  dei modi  tassativamente indicati  nella  norma.  La prima  modalità  di induzione descritta dalla  norma  consiste  nella  sostituzione illegittima  della  propria all’altrui  persona che si concretizza ogni  qual  volta si assume  un  atteggiamento volto  a far credere di essere  un’altra  persona. Peraltro, in dottrina si è  sottolineata la sostanziale inutilità  dell’avverbio illegittimamente, posto  che una  tale  sostituzione è  sempre  illegittima (tranne,  per  esempio,  nei casi dell’agente segreto  o dell’agente di polizia). Nella  seconda  ipotesi  prevista  si fa riferimento all’attribuzione a se´  o ad altri di un  nome  falso. In  un  simile contesto  il concetto di nome  è  da intendersi in senso  ampio,  comprendente quindi  non  solo  il prenome e il cognome,  ma anche  il luogo  e la data  di nascita,  la paternità  e la maternità ecc.. In  giurisprudenza si è  a questo  proposito più  volte  affermato che il nome  può  essere  sia immaginario che appartenente ad  un’altra  persona e che non  costituirebbe viceversa  reato  l’uso di un  semplice  pseudonimo avente  la medesima  importanza del nome.  Ulteriore ipotesi  di induzione in errore è  quella  attuabile tramite l’attribuzione di un  falso stato,  dove  per status  deve  intendersi la condizione della  persona nella  società  politica,  civile e domestica. Per  contro,  non  sono  da  considerarsi status  ne´  l’età, ne´ la  residenza o il domicilio,  giacche´  tali  nozioni  nulla  indicano  circa la posizione  del soggetto  all’interno  della  società . Infine,  la norma  fa riferimento  all’ipotesi  in cui si attribuisca a se´  o ad  altri  una  qualità  a cui la legge  attribuisce effetti  giuridici  (per  esempio  la qualità  di possessore, creditore  ecc.). L’art.  494 è  una  ipotesi  di reato  sussidiario  e, secondo  il chiaro  disposto  letterale, la norma  in esame  non  è  applicabile se il fatto  che la  integra  costituisce  un  altro  delitto  contro  la fede  pubblica.  Poiche´  la punibilità  del fatto  è  subordinata al fine di procurare a se´  o ad  altri  un vantaggio  o di recare  ad  altri  un  danno  si versa  in una  evidente ipotesi  di dolo  specifico.  La  figura  di reato  prevista  dall’art.  495 secondo  la comune interpretazione costituisce  una  ipotesi  di falsità  ideologica  commessa  dal privato  in atto  pubblico;  peraltro, la particolarità  dell’ipotesi  normativa consisterebbe nel fatto  che l’oggetto  del falso è  un  contrassegno personale di cui l’atto  non  è  destinato necessariamente a provare la verità , e nella circostanza che la consumazione risulterebbe essere  anticipata al momento in  cui viene  resa  la dichiarazione che verrà  poi  riprodotta in un  atto pubblico.  La  dottrina ha  sottolineato che poiche´  il reato  in esame  deve essere  integrato tramite una  falsa attestazione o dichiarazione non  potrebbe ritenersi  sufficiente  un  mero  atteggiamento passivo  attuabile con  la semplice reticenza o il silenzio.  Poiche´  la falsa dichiarazione deve  avere  ad  oggetto l’identità , lo stato  o altre  qualità  della  propria o altrui  persona, a proposito di queste  ultime  in dottrina si è  notato come  la legge non  esiga  che siano produttive di effetti  giuridici,  giungendo  alla  conclusione  che non  sarebbe  necessario  che gli stessi dipendano immediatamente dall’attribuzione della qualità  nell’atto  pubblico,  bastando quindi  una  mera  potenzialità  di effetti giuridici.  Il dolo  è  senza  dubbio  generico  e il delitto  si perfeziona nel momento della  falsa dichiarazione o attestazione. Infine  si deve  segnalare che  il comma  3o  dell’art.  in esame  prevede come  circostanze aggravanti:  che la dichiarazione o attestazione siano  rese  in atti  dello  stato  civile; ovvero  da parte  di un  imputato all’autorità  giudiziaria;  ovvero  che per  effetto  della falsa  dichiarazione nel casellario  giudiziale  una  decisione  penale  venga iscritta  sotto  falso nome.  Per  converso,  costituisce  una  circostanza attenuante il fine di ottenere, per  se´  o altri,  il rilascio  di certificati  o di autorizzazioni amministrative sotto  falso nome  o con  altre  indicazioni mendaci.  La  fattispecie  incriminatrice prevista  dal successivo  art.  496 differisce  sotto  vari aspetti  da  quella  della  norma  da  ultima  analizzata,  dal momento che il mendacio non  deve  avere  alcuna  attinenza, ne´  diretta ne´ indiretta, con  la formazione di un  atto  pubblico,  che le false dichiarazioni devono  scaturire a seguito  di un  interrogatorio e che destinatario della  falsa dichiarazione o attestazione può  anche  essere,  secondo  il tenore letterale della  disposizione, un  incaricato di un  pubblico  servizio  nell’esercizio  del servizio.  Ev  pacifico  in dottrina che rispetto  alla  norma  in oggetto  il reato esula  in tutti  i casi in cui appare chiaro  che la falsa dichiarazione non offende  un  interesse degno  di rilevanza  dal punto  di vista giuridico  e sociale  (esempio  tipico  è  il caso  di una  donna  che per  vanità  dichiari  un’età inferiore a quella  anagrafica). Secondo  quanto precisato dalla giurisprudenza le altre  qualità  cui si riferisce  la norma  sarebbero solamente  quelle  che servono  a completare lo stato  o la identità  della  persona. Posto che la norma  in esame  è  applicabile solamente fuori  dei casi indicati  negli articoli  precedenti, qualora  nella  risposta  falsa siano  presenti gli elementi costitutivi  dei reati  di cui agli artt.  494 o 495 c.p., si avrà  esclusivamente uno  di questi.  Per  quanto concerne l’elemento  soggettivo  si può  osservare che il dolo  esige  che l’agente  sia consapevole non  solo  della  falsità  della dichiarazione, ma anche  di fornire  la risposta  ad  un  soggetto  che agisce nell’esercizio  di pubbliche funzioni  o servizi. Passando  ora  ad  analizzare brevemente l’art. 497 che sanziona  la frode  nel farsi  rilasciare  certificati  del casellario  giudiziario,  si può  affermare che il suo inserimento tra  le falsità deriva dalla  considerazione che nella  normalità  dei casi solo  il diretto interessato è legittimato a richiedere il certificato  del casellario  giudiziario,  per  cui per ottenere un  certificato  altrui  diventa  indispensabile spacciarsi  per  un’altra persona. Si tratta indubbiamente di un  reato  comune,  realizzabile cioè  da chiunque, le cui condotte tipiche  sono  essenzialmente due:  quella consistente nel farsi  rilasciare  con  frode  un  certificato  penale  altrui,  e quella relativa  ad  un  uso del certificato  per  uno  scopo  diverso  da  quello  per  cui è stato  richiesto.  L’ultima  norma  relativa  alle  c.d. falsità è  l’art. 498 che sanziona l’usurpazione di titoli  o di onori,  prevedendo due  forme  alternative di possibile  esplicazione  della  condotta tipica:  la prima  consiste  nel portare abusivamente in pubblico  un  emblema  (per  esempio  le divise o gli altri segni  distintivi  di un  ufficio)  cui non  si avrebbe diritto.  Secondo  la più condivisa  interpretazione portare significa  indossare le divise e utilizzare  i segni  distintivi  secondo  la loro  tipica  destinazione. Peraltro, l’emblema  deve  essere  utilizzato  in pubblico  mentre la condotta deve  comunque poter essere  qualificata  come  abusiva  in base  alla  normativa che ne  disciplina l’esercizio.  La  seconda  forma  di manifestazione della  condotta tipica consiste  nell’arrogarsi dignità  o gradi  accademici  ecc. con  modalità  differenti dall’uso  di divise o segni  distintivi.  Arrogarsi significa  solitamente attribuirsi falsamente in pubblico  e quindi  anche  in questa  occasione  l’autoattribuzione abusiva  deve  essere  accompagnata dal requisito della  pubblicità . In  dottrina e giurisprudenza vi è  assoluta  concordia nel ritenere che il titolo  o la qualità  usurpati debbano avere  ricevuto  un  riconoscimento ufficiale nell’ambito del  nostro  ordinamento, con  la naturale conseguenza che non integrerebbe il  reato  in oggetto  l’arrogarsi  un  titolo  estero  o non riconosciuto in Italia.  In  relazione  all’articolo  in commento si è  affermata la penale  irrilevanza  della  semplice  inerzia  dal momento che l’usurpazione è suscettibile di  realizzazione  solo  in forma  positiva.  In  riferimento all’elemento soggettivo  si  è  sottolineato che il dolo  esulerebbe nel caso  di un  errore del soggetto  agente  nell’interpretazione della  legge extrapenale che disciplina  i presupposti di attribuzione del titolo. 		
			
| Falsificazione | | | Falso |