Enciclopedia giuridica

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Nuova difesa sociale

Corrente giuridica penalistica italonuova difesa socialefrancese (detta perciò anche nouvelle de´ fense sociale), nata nella seconda metà degli anni Quaranta. Nel 1954 si scontrano i due fronti venutisi a creare al suo interno (estremista e moderato), con prevalenza dell’ala moderata, ma negli anni successivi è il fronte estremista ad avere la meglio. Si caratterizza per l’aspetto politiconuova difesa socialeoperativo, in contrapposizione, quindi, al tecnicismo giuridico del secondo dopoguerra; punto di partenza è il concetto di libero arbitrio come senso di responsabilità , e cioè come presa di coscienza, da parte dell’individuo, della propria personalità , nella misura in cui essa si realizza nell’azione; in quanto il singolo non vive solo, ma vive in comunità , egli rende e chiede conto rispettivamente delle proprie e delle altrui azioni, da cui la conclusione che il reato si pone sul piano individuale come responsabilità , e su quello collettivo come pericolosità ; in altre parole, responsabilità e pericolosità sono entrambe espressioni sociali della personalità ; da tali premesse deriva, in chiave garantistica l’esigenza di massima riduzione dell’opzione penale da un lato e dall’individuazione della pena dall’altro, ed in chiave meno garantistica, l’istanza di razionalizzazione dei sistemi penali, con l’eliminazione del principio ignorantia legis non excusat (e quindi con un vistoso scivolamento sul piano sociale e perciò relativistico). Se questi sono gli assunti fondamentali sotto l’aspetto penale sostanziale, dal punto di vista procedurale la nuova difesa sociale propone la suddivisione del processo in due parti, la prima destinata all’accertamento della colpevolezza, a prescindere da qualunque rilievo sulla personalità , e la seconda, volta alla determinazione della pena, ove il giudizio sulla personalità ha invece un ruolo fondamentale, legato alla funzione risocializzante della pena stessa in chiave di difesa sociale: in altre parole, la pena risocializza il reo restituendogli responsabilità e rispetto dei valori umani (cosa questa che presuppone una scala prefissata ed immutabile di valori, oltreche´ una società compatta e senza pluralismo); dal canto suo, il reo ha un vero e proprio diritto soggettivo alla rieducazione, con conseguente dovere per la P.A. di attuare le premesse di tale diritto mediante la giurisdizionalizzazione della fase esecutiva della pena. La nuova difesa sociale ha avuto pretese neutrali sotto il profilo ideologico, ma nel suo rifarsi a valori di tipo assoluto da un lato e nell’esporsi però alla variabile sociale dall’altro, ha finito per scontentare gli esponenti degli indirizzi penalistici più diversi, dal tecnicismo giuridico, che ha soprattutto notato l’intrusione di aspetti non dogmatici, agli ideologi dell’occidente, che hanno rilevato in primo luogo l’aspetto eversivo di un sistema penale troppo sbilanciato su aspetti non predeterminabili; addirittura, nei paesi dell’est europeo la nuova difesa sociale è stata considerata una ideologia di stampo cattolico. Nonostante l’apparente neutralità , il rilievo teorico e l’importanza quasi paradigmatica del caso nuova difesa sociale (tale esperienza ha dimostrato, per il futuro, l’impossibilità definitiva della prevalenza di una sola corrente giuridica, nonche´ i risultati opposti quando le stesse teorie vengano considerate sotto opposti punti di vista), il rilievo pratico di tale corrente si è rivelato scarso, limitandosi ad influenzare in piccola parte qualche riforma dell’ordinamento penitenziario in occidente. rinvio a giudizio, per il quale si deva procedere d’ufficio, il p.m. richiede al G.i.p. l’autorizzazione a contestare, che viene concessa se l’imputato presta il proprio consenso. La disposizione dell’art. 423, comma 1o, c.p.p. consente in pratica che, una volta instauratosi regolarmente il contraddittorio tra l’imputato (o meglio, tra il difensore di questo) ed il p.m., l’imputazione possa essere integrata quando risulti priva di qualcosa che è emerso tra non sia di un giudice superiore. La stessa cosa avviene (art. 517) nel caso che risulti un reato connesso per concorso materiale o formale, o ancora se risulti un’aggravante. Le due disposizioni appena ricordate sottolineano il carattere provvisorio delle conclusioni raggiunte durante le indagini preliminari, e conseguentemente la necessità che la prova vera e propria si formi in giudizio, non solo in ordine alla responsabilità , ma anche ed innanzitutto, in ordine all’imputazione: ecco dunque che può ben verificarsi l’ipotesi che il fatto risulti diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio per quanto riguarda tempo, luogo, modalità della condotta. La stessa cosa avviene nel caso di reato concorrente e di circostanza aggravante, purche´ ciò non comporti la competenza di un giudice superiore; si può dire dunque che la differenza tra l’art. 516 e 517 c.p.p. risiede nella circostanza che mentre la prima disposizione prevede modifiche dall’interno del fatto, la seconda concerne elementi che si aggiungono dall’esterno. La modalità concreta della contestazione è invece identica per entrambe le ipotesi, e cioè orale, con menzione a verbale se l’imputato è presente o deve ritenersi tale, oppure a norma dell’art. 520 c.p.p. (menzione a verbale e notifica dello stesso) se l’imputato è assente o contumace. Venendo poi all’ipotesi del fatto nuovo (non enunciato nel decreto che dispone il giudizio e per il quale si debba procedere d’ufficio) che risulti a carico dell’imputato durante il dibattimento, l’art. 518 c.p.p. prevede che il p.m. proceda nelle forme ordinarie, salvo che su richiesta del p.m. e contestuale consenso dell’imputato presente, il giudice autorizzi l’immediata contestazione: ciò potrà avvenire, però , soltanto a condizione che non vi sia pregiudizio per la speditezza dei procedimenti. Ad ulteriore conferma della maggiori garanzie offerte all’imputato nella fase dibattimentale vera e propria, intesa come sede privilegiata e, con l’eccezione dell’incidente probatorio e degli atti non ripetibili, esclusiva di formazione della prova, l’art. 519 c.p.p. prevede che nei casi previsti dagli artt. 516, 517 e 518, comma 2o (in pratica, cioè , tutti i casi in cui si procede alla contestazione in udienza), il giudice informi l’imputato del diritto di chiedere un termine per la difesa, che dovrà essere non inferiore a 20 e non superiore a 40 giorni; a seguito di ciò , l’imputato potrà chiedere l’assunzione di nuove prove. Il meccanismo descritto, piuttosto complicato, è in realtà posto a tutela del fondamentale diritto alla difesa che in alcunche´ poteva essere inficiato nella fase dibattimentale: per questo si sono contemperate le esigenze di tale diritto con quelle della speditezza del procedimento, nel modo che si è visto. Infine la disciplina delle nuova difesa sociale impone come necessaria la correlazione tra l’imputazione contestata in udienza e la sentenza; il giudice sarà costretto a trasmettere gli atti al p.m. se risulta invece che il fatto oggetto della sentenza è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata ex artt. 516, 517 e 518, comma 2o; allo stesso modo il giudice procederà qualora ravvisi una nuova contestazione effettuata dal p.m. fuori dei casi previsti.


Nunciatio      |      Nuovo catasto edilizio urbano


 
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