lingua del contratto:  nello  svolgimento  delle  attività  giuridiche  in generale e nella  stipulazione dei contratti in particolare, l’ordinamento giuridico italiano  riconosce  ai privati  una  generale libertà  di lingua, quale  libertà  di scegliere  e di utilizzare  qualsiasi  lingua, anche  diversa  da  quella  italiana,  e di determinare così, autonomamente lo strumento di comunicazione della propria volontà . Il fondamento logicolinguagiuridico  di questa  libertà  sta  non soltanto, come  non  si discute,  nel principio  dell’autonomia privata,  quanto soprattutto nel riconoscimento costituzionale del principio  di uguaglianza senza  distinzione di lingua e della  libertà  di manifestazione del pensiero.  La  dignità  di ogni  lingua, infatti,  così  come  il diritto  di scegliere  liberamente gli  strumenti (tra  cui quello  linguistico)  per  la manifestazione del proprio pensiero,  riconosciuti  e tutelati dagli  artt.  3 e 21 Cost.,  escluderebbero la legittimità  di una  prescrizione di uso obbligatorio di una  determinata lingua nei rapporti di diritto  privato.  Una  prescrizione siffatta  si riscontra invece  nei rapporti di diritto  pubblico,  ma solo  in quanto i limiti e le restrizioni si impongano per  la tutela  di altri  interessi  parimenti garantiti  da  norme  di rango  costituzionale. L’intensificazione delle  relazioni  commerciali internazionali, così come  l’aumento costante  del flusso degli  spostamenti degli  individui  tra  i vari stati,  collegato  prevalentemente con  il mercato del lavoro,  contribuiscono ad  accrescere  la rilevanza  giuridica  dei problemi linguistici  in sede  di svolgimento  delle  attività  private  in genere  e di contrattazioni in particolare. Basti  pensare in proposito agli effetti  prodotti dalla  introduzione del mercato unico  europeo e dalla  progressiva attuazione  della  libera  circolazione  al suo interno delle  merci,  delle  persone, dei servizi e dei capitali.  Già  in altri  ordinamenti si osserva  l’abbandono di posizioni pregiudiziali pericolosamente attestate su un  generico  favore  per  la lingua del luogo  di conclusione  del contratto, che finirebbe per  tradursi in una  sorta  di espansione della  lingua nazionale ed  ufficiale  dal settore dei rapporti di diritto pubblico  a quello  delle  attività  private  e dei contratti. In  primo  luogo  si osserva  che, in forza  della  loro  autonomia contrattuale, le parti  contraenti sono  libere  di determinare mediante un  accordo  espresso  la lingua che dovrà essere  utilizzata  nella  stipulazione del contratto e più  in generale in tutte  le dichiarazioni a questo  accessorie.  La  scelta  della  lingua consente ad  esse, soprattutto nei contratti internazionali, di operare una  preventiva distribuzione del rischio  linguistico  con  riguardo alle  eventuali  difficoltà  di comunicazione nella  conclusione  del contratto e durante lo svolgimento  del relativo  rapporto. L’accordo  espresso  sulla lingua può  intervenire durante la fase delle  trattative ed  essere  inserito  in un’apposita clausola  del contratto (Sprachklausel, choice  of language  clause),  soprattutto, ma non esclusivamente, quando i contraenti sono  di madrelingua diversa.  La  lingua prescelta può  essere  quella  di uno  dei contraenti, ma può  anche  essere  una lingua terza.  La  scelta  di una  lingua terza  o franca,  come  pure  viene  indicata, corrisponde a diversi  possibili  interessi  concreti.  Ad  essa  si fa riferimento, ad  esempio,  quando la lingua, anche  comune,  dei contraenti sia poco  diffusa  e si preferisca far ricorso  ad  una  lingua corrente nel commercio internazionale, come l’inglese, il francese  o lo spagnolo.  Oppure accade  anche  che tale  scelta  sia una  soluzione  di compromesso, nel caso  in cui entrambi i contraenti  abbiano cercato  di imporre la propria lingua come  lingua lingua e si sia giunti  infine  alla composizione del conflitto  attraverso l’elezione  di una  lingua terza  conosciuta  da entrambi. Le  parti  possono  anche  convenire l’uso contemporaneo e parallelo di due  lingue  diverse  nella  stipulazione del contratto. Questa soluzione,  tuttavia, in luogo  di semplificare  gli eventuali  conflitti,  può suscitare  ulteriori difficoltà  nel caso  di discordanza tra  le due  versioni linguistiche  dello  stesso  contratto e di conseguente incertezza circa l’effettivo contenuto di esso. Nella  prassi  dei contratti commerciali  stipulati tra  grandi  imprese  operanti sul mercato internazionale, in cui è  frequente la preparazione di un  testo  contrattuale bilingue,  la difficoltà  è  spesso  prevista e preventivamente risolta  attraverso l’indicazione,  per  mezzo  della  c.d. controlling language  clause,  della  versione  prevalente nei casi di non univocità  dei testi.  La  scelta  della  lingua può  essere  anche  tacita  e desumersi dal comportamento delle  parti  e dal complesso  delle  circostanze che precedono ed  accompagnarono la conclusione  del contratto. I criteri  di identificazione di  una  stillschweigende Sprachenwahl sono  molteplici.  La  scelta  di una determinata lingua si desume  ad  esempio  dalla  esclusiva  utilizzazione di essa durante l’intera  fase delle  trattative, sia nella  corrispondenza intercorsa tra le parti,  che nelle  intese  verbali  eventualmente raggiunte prima  della stipulazione del contratto. Si ritiene  inoltre  indicativa  di una  scelta  tacita  la conclusione  di un  contratto che appartiene ad  un  settore economico nel quale  si fa usualmente ricorso  ad  una  sola determinata lingua, generalmente corrente e conosciuta  sul mercato internazionale (è  il caso  dell’uso dell’inglese  nel commercio internazionale degli  oli minerali). O  ancora  può  assumere  valore  significativo  l’indicazione  in una  clausola  compromissoria della  lingua da  utilizzarsi  nell’eventuale procedimento arbitrale. Infine  assume notevole rilevanza  l’inserimento del singolo  contratto in uno  stabile rapporto d’affari  tra  le parti,  le quali  anche  nei contratti stipulati  in precedenza si sono  sempre  serviti  della  stessa  lingua. Nel  perfezionamento e nell’esecuzione del contratto, la lingua in cui sono  espresse  le dichiarazioni delle parti  può  dar  luogo  a specifici  problemi ed  offrire  nuovi  argomenti di riflessioni  all’analisi  giuridica.  Ev  possibile  infatti  che la validità  e l’efficacia del contratto venga  messa  in discussione  proprio a causa  della  lingua usata  e delle  eventuali  difficoltà  di comunicazione che essa  comporta, allorche´  non si  tratti  di lingua comune  alle  parti  e non  vi sia stata  in merito  alcuna  scelta,  ne´ espressa  ne´  tacita.  Sorge  in tal  caso  un  conflitto  tra  l’interesse  dell’autore della  dichiarazione alla  libera  scelta  della  lingua in cui manifestare la propria volontà , da  un  lato,  e l’interesse  del destinatario alla  comprensibilità  della dichiarazione a lui rivolta,  dall’altro.  Il principio  della  libertà  di lingua dei privati,  accolto  dal nostro  ordinamento, conferisce  pari  dignità  agli interessi coinvolti  ed  impedisce  che, in via pregiudiziale, possa  essere  attribuita la preferenza all’uno  o all’altro  dei contraenti. Acquista allora  rilevanza  il c.d. rischio  linguistico,  inteso  come  rischio  di dover  sopportare le conseguenze negative  derivanti dalla  mancata  o errata comprensione della  dichiarazione di volontà  a causa  della  lingua in cui è  espressa.  E  nel contempo si pone all’interprete il problema di provvedere ad  un’equa  ripartizione del rischio medesimo  tra  autore e destinatario della  dichiarazione. La  dottrina e la giurisprudenza, più  favorevoli  alla  ricerca  di soluzioni  all’interno  della  sistemazione civilistica tradizionale, ritengono adeguata l’applicazione,  al caso  del malinteso linguistico,  delle  regole  sull’annullamento del contratto per  errore, oppure suggeriscono il richiamo  alla  figura  del dissenso  occulto. Va  peraltro evidenziato che frequentemente le controversie linguistiche riguardano contratti conclusi  mediante il rinvio  a condizioni  generali  o a moduli  o formulari unilateralmente predisposti. In  questi  casi la ricerca  di equilibrati criteri  di distribuzione del rischio  linguistico  deve necessariamente tener  conto  del fatto  che spesso  l’ignoranza  o l’inesatta comprensione della  lingua lingua aggravano  la condizione di inferiorità  in cui il contraente aderente già  versa,  a causa  della  sua  sottomissione ad  un regolamento contrattuale unilateralmente predisposto da  controparte. Le particolarità  della  contrattazione in serie  rendono inadeguate le soluzioni suggerite  con  riferimento al contratto isolato.  Ev  da  condividere piuttosto l’opinione  espressa  da  una  parte  della  dottrina, la quale  sottolinea che, qualora  sia in discussione  la lingua di testi  contrattuali predisposti, il problema del rischio  linguistico  confluisce  nel più  complesso  problema delle condizioni  di efficacia  delle  condizioni  generali  di contratto.  
 lingua dell’atto notarile:  ai sensi  dell’art.  54, comma  1o, L.N. gli atti  notarili devono  essere  scritti  in lingua  italiana.  Se le parti  dichiarino di non conoscere la lingua italiana,  l’atto  può  essere  rogato  in lingua straniera, purche´ questa sia conosciuta  dai testimoni  e dal notaio.  In  tale  caso  deve  porsi  di fronte  all’originale  o in calce  al medesimo  la traduzione in lingua italiana,  e l’uno  e l’altra  saranno sottoscritti come  i normali  atti  pubblici  (art.  54, comma  2o, L.N.).  Qualora il notaio  non  conosca  la lingua straniera, l’atto  potrà  tuttavia  essere  ricevuto  con  l’intervento dell’interprete, che sarà  scelto  dalle parti.  L’interprete deve  avere  i requisiti  necessari  per  essere  testimone e non  può  essere  scelto  fra i testimoni  ed  i fidefacienti.  Egli  deve  prestare giuramento davanti  al notaio  di adempiere fedelmente il suo ufficio, e di ciò  sarà  fatta  menzione nell’atto.  Se le parti  non  sanno  o non  possono sottoscrivere, due  dei testimoni  presenti nell’atto  dovranno conoscere la lingua straniera. Se sanno  o possono  sottoscrivere, basterà  che uno  solo  dei testimoni, oltre  l’interprete, conosca  la lingua straniera. L’atto  sarà  scritto  in lingua italiana,  ma di fronte  all’originale  o in calce  al medesimo  dovrà  porsi  anche la traduzione in lingua straniera da  farsi  dall’interprete, e l’uno  e l’altro  saranno sottoscritti come  un  normale  atto  notarile.  Anche  l’interprete dovrà sottoscrivere alla  fine e nel margine  di ogni  foglio tanto  l’originale  quanto la traduzione (art.  55 L.N.).  Norme  particolari valgono  per  le regioni  e  province  in cui sono  insediate minoranze linguistiche:  così  l’art. 38 della  legge costituzionale 26 febbraio  1948 n. 4 per  la Valle  d’Aosta  e la legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1, per  la provincia  di Bolzano, sanciscono  il principio  del bilinguismo,  valevole  anche  per  gli atti  notarili.  
 lingua italiana:  la legge prescrive  l’uso obbligatorio della  lingua lingua nel processo  civile (v.).  Tale  disposizione  si applica  agli atti processuali  (v.),  ma non  si applica ai documenti che vengono  prodotti all’interno  del processo.  Per  questi ultimi,  è  previsto  che il giudice  abbia  la facoltà  e non  l’obbligo  di disporre la traduzione degli  stessi.  
 lingua ufficiale:  stabilita  in base  a norme  convenzionali, è  prevista  per  il  funzionamento di determinati organi  internazionali, al fine di garantire la certezza  giuridica  degli  atti  e dei documenti da  essi emanati. Ad  esempio, lingue  ufficiali degli  organi  arbitrali e giurisdizionali  sono  il francese  e  l’inglese. All’epoca  attuale, figurano  altresì russo,  il cinese  e l’arabo.    tra  le lingue  lo spagnolo,  il 		
			
| Linee telefoniche | | | Liquidatori |