Enciclopedia giuridica

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Istigazione



istigazione a delinquere: per il comma 1o dell’art. 414 c.p. risponde di questo delitto, per il solo fatto dell’istigazione, chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati. Come appare palese, questa incriminazione rappresenta una deroga al principio generale sancito dall’art. 115 del codice, secondo cui l’istigazione a commettere un reato non è punibile, se non sia accolta e seguita dalla commissione del reato medesimo. La minaccia all’ordine pubblico derivante dalla pubblicità del fatto, spiega l’eccezione. Il codice distingue, ai fini della pena, secondo che si tratti di istigazione a commettere delitti o di istigazione a commettere contravvenzioni. A) L’istigazione, come tutte le norme in cui figura tale parola, è sinonimo di eccitamento. Essa implica un’azione sulla psiche di altre persone per spronarle a compiere determinati fatti, facendo sorgere o rafforzando motivi di impulso, ovvero distruggendo o affievolendo motivi inibitori. Non si richiede che l’istigazione sia diretta al pubblico, e cioè della folla (istigazione in incertam personam). Essendo stata adottata nel codice la formula istiga pubblicamente in luogo dell’espressione istiga il pubblico che figurava nel progetto, deve ritenersi che, quando il fatto sia commesso in presenza di due o più persone, il reato sussista, anche se l’istigazione è rivolta ad una sola persona. Anche l’istigazione indiretta, e cioè dissimulata attraverso scritti o discorsi apparentemente leciti, può integrare gli estremi del reato in esame. B) Oggetto dell’istigazione deve essere la commissione di uno o più reati, delitti o contravvenzioni. Ev necessario che si tratti di reati determinati, e cioè di una o più figure criminose oppure di una o più fattispecie criminose concrete. L’istigazione a commettere reati in genere non realizza il reato in esame, ma rientra nella previsione dell’articolo successivo. Non occorre, peraltro, che l’agente indichi specificamente il nomen iuris del fatto istigato: basta che questo corrisponda ad un tipo di reato previsto dalla legislazione in vigore. Non si esige neppure che il fatto sia punibile in concreto, e perciò a nulla rileva che si tratti di un reato perseguibile a querela o di reato amnistiato. Ev fuori dubbio che il delitto de quo resta unico, quando, col medesimo comportamento, si istighi a commettere più reati. Ai fini della consumazione, è sufficiente il fatto dell’istigazione in pubblico: si prescinde, quindi dalle conseguenze che ne possono derivare, e cioè dalla commissione o meno dei reati a cui l’istigazione medesima era diretta; il che è espresso dalla legge con l’inciso il solo fatto dell’istigazione. Se l’istigazione, commessa pubblicamente e rivolta ad una o più persone determinate, è accolta e il reato viene realizzato, l’istigatore risponderà anche di quest’ultimo in qualità di concorrente, sempreche´ la sua azione abbia recato quel contributo causale al verificarsi del fatto che è richiesto affinche´ possa parlarsi di compartecipazione criminosa. Il dolo consiste nella volontà di istigare alla commissione di uno dei fatti costituenti reato. Tale volontà deve essere accompagnata dalla consapevolezza dell’effetto di istigazione e da quella di agire pubblicamente, perche´, come abbiamo detto, la pubblicità è elemento essenziale del delitto e non condizione di punibilità . Il titolo delittuoso in esame ha carattere generico e, quindi, è applicabile soltanto allorche´ il fatto non sia incriminato in modo specifico da altra norma penale, come, ad es., da quella contenuta nell’art. 266 (istigazione di militari a disobbedire alle leggi), oppure negli artt. 302 e 303 (istigazione a commettere un delitto contro la personalità internazionale o interna dello Stato), o ancora nell’art. 8 l. 9 ottobre 1967, n. 962 (istigazione a commettere reati di genocidio). (Magagnoli).

istigazione a disobbedire alle leggi: contemplato nell’art. 415 c.p., il reato consiste nell’istigare pubblicamente alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico. L’incriminazione non mira a prevenire la perpetrazione di determinati reati, ma è intesa ad evitare pericolosi stati di animo, i quali, se anche non portano a delinquere, costituiscono una pregiudizievole menomazione delle condizioni necessarie per il mantenimento dell’ordine pubblico. A) La disobbedienza a cui deve essere rivolta l’istigazione è il rifiuto di osservare i precetti contenuti nella legge: è ribellione alla volontà giuridica superiore manifestata nella norma. La propaganda per l’abrogazione di una legge, evidentemente, non rientra nel paradigma del reato. B) La determinazione del concetto di legge di ordine pubblico non è pacifica. Su un punto c’è accordo: l’espressione ordine pubblico non va intesa nel senso ristretto in cui viene usata quando si fa riferimento alla categoria di reati contemplati nel titolo del codice di cui ci stiamo occupando (delitti contro l’ordine pubblico). L’istigazione istigazione che non possono qualificarsi d’ordine pubblico, anche se commessa pubblicamente, non concreta il reato in esame. Per quanto la norma incriminatrice parli di leggi, è fuori dubbio che anche la disobbedienza ad una sola legge è sufficiente per concretare il reato, il plurale essendo qui usato in senso indeterminativo. Se la disobbedienza istigata riguarda una data norma di diritto penale per il principio di specialità si applica l’articolo precedente che prevede l’istigazione a delinquere. L’art. 415 è applicabile, come già accennato, solo quando l’istigazione non abbia per oggetto uno o più determinati reati, ma in genere la violazione delle leggi penali. (Magagnoli).

istigazione alla corruzione: l’art. 322 c.p. prevede due distinte ipotesi: 1) l’offerta o la promessa di danaro o altra utilità , come retribuzione non dovuta, ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio che rivesta la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto dell’ufficio o servizio, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata (istigazione istigazione impropria); 2) l’offerta o la promessa fatte per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ad omettere o a ritardare un atto dell’ufficio o servizio, ovvero a fare un atto contrario ai propri doveri, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata (istigazione istigazione propria). Questa norma ipotizza un reato monosoggettivo, in quanto ne è elemento essenziale la mancata accettazione da parte del funzionario dell’offerta o della promessa fatta dal privato. In sostanza ci troviamo di fronte ad un tentativo di corruzione che il codice ha contemplato, considerandolo come figura autonoma di reato, perche´ altrimenti il fatto, come già abbiamo accennato, in quanto istigazione non accolta, sarebbe rimasto impunito per il principio sancito dall’art. 115. D’altra parte, l’incriminazione è consigliata dalla necessità di reagire contro un fatto che rappresenta una grave insidia a quel senso di rettitudine e di disinteresse che deve sempre accompagnare l’esercizio delle mansioni pubbliche. La conseguenza più importante di questa disposizione è che per essa la configurabilità del tentativo nei confronti del reato di corruzione propria o impropria sorge unicamente in relazione alla ipotesi di attività posta in essere soltanto dal pubblico ufficiale, senza peraltro pervenire alla stipulazione del pactum sceleris. La dottrina è sostanzialmente contraria ad ammettere in un caso del genere il tentativo, ma questo orientamento non trova una razionale giustificazione, dato che nulla vieta di incriminare, a titolo di reato tentato, l’attività del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio che offrano al privato, in cambio di danaro o altra utilità , la prospettiva di un vantaggio ingiusto a danno della P.A.. (Magagnoli).

istigazione all’odio fra classi sociali: questo delitto, che è previsto insieme con l’istigazione a disobbedire alle leggi (v.) nell’art. 415 c.p., ne differisce sostanzialmente, perche´ in esso la pubblica istigazione non mira alla disobbedienza alle leggi, ma all’istigazione istigazione, che è una cosa diversa. Con un certo sforzo vi si può ravvisare un’istigazione indiretta a quella disobbedienza. L’interpretazione del termine classe sociale dà luogo ad incertezze, perche´ , mentre alcuni lo intendono nel senso di categoria sociale unificata dal vincolo di comuni interessi economici, altri ritengono che il concetto comprenda ogni accolta di persone tenute insieme da comuni sentimenti, interessi, ideologie, anche semplicemente spirituali. Costituirebbero classe sociale, perciò , non solo i capitalisti e i c.d. proletari, i borghesi, gli operai e i contadini, ma anche il clero, i nobili, i militari ecc.. Questa ampia nozione, a nostro parere, nel momento storico attuale, non corrisponde alle finalità della norma incriminatrice. B) Quanto all’elemento oggettivo, occorre tener presente che l’odio non va confuso con la lotta: esso è un sentimento di profonda avversione che di regola porta a sopraffare o danneggiare, con ogni mezzo, l’oggetto odiato. Perche´ sussista il reato, non occorre che il colpevole aizzi una classe contro l’altra, ne´ che spinga ad odiare un’intera classe: basta che susciti o rafforzi l’odio delle persone, a cui si rivolge, contro gruppi di individui appartenenti, in linea di fatto o di diritto, a classi sociali diverse. (Magagnoli).

istigazione pubblica: si punisce chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più fra i delitti indicati nell’art. 302 c.p.. Trattasi evidentemente di una sottospecie del reato di istigazione a delinquere contemplato nell’art. 414. A) Secondo una corrente dottrinaria che si appoggia ad un passo della Relazione ministeriale, l’istigazione sarebbe da considerarsi pubblica quando è indirizzata al pubblico, cioè ad una collettività di individui e sarebbe privata quando è rivolta ad una o ad alcune persone ben individuate. A nostro parere, non sussiste alcuna valida ragione per dare all’avverbio pubblicamente un significato diverso da quello stabilito in generale dal codice nell’ultimo comma dell’art. 266 e perciò riteniamo che l’istigazione debba ritenersi pubblica quando è posta in essere in una delle tre condizioni indicate nella detta norma. In conseguenza, come nella comune istigazione a delinquere l’istigatore può anche rivolgersi a persone determinate e, se sussistono gli estremi di pubblicità secondo la richiamata disposizione, risponderà del reato in esame e non di quello previsto nell’articolo precedente. Quanto al dolo, a nostro parere, non è revocabile in dubbio che l’istigazione debba avere la consapevolezza di agire in presenza di una delle condizioni indicate nell’art. 266, perche´ la pubblicità è elemento essenziale del reato e non condizione di punibilità . Come per il delitto di cui all’art. 414, l’art. 303 è applicabile per il solo fatto dell’istigazione, di guisa che, se l’istigazione è accolta e il reato viene commesso, il delitto de quo concorrerà con quello che è stato oggetto dell’istigazione. La dizione della legge non lascia dubbio che, quando taluno istiga a commettere non un solo delitto, ma più delitti, il reato rimane unico, sempreche´ , come è naturale, ciò avvenga contestualmente. (Magagnoli).


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