Enciclopedia giuridica

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Capital gain

Termine inglese (letteralmente, guadagni di capitale) che nel settore tributario designa le modalità di tassazione delle plusvalenze realizzate mediante le cessioni di partecipazioni sociali. Nell’ordinamento tributario italiano, ai fini dell’imposizione diretta, esiste un duplice regime: infatti le plusvalenze realizzate da imprenditori nell’esercizio d’impresa sono sempre state tassabili nell’ambito della categoria dei redditi d’impresa. Per i soggetti non imprenditori si è invece posto in concreto il problema della tassabilità delle plusvalenze da partecipazioni sociali. La questione è sempre stata più politica che fiscale poiche´ le azioni acquistate dai risparmiatori in borsa necessitavano di un regime diverso da quello previsto per le partecipazioni in società a base familiare. L’investimento in borsa costituisce, infatti, una forma d’impiego del risparmio pubblico che necessitava di una tassazione analoga rispetto a quella prevista per le altre forme di risparmio pubblico (obbligazioni pubbliche, depositi bancari ecc.). Occorreva, inoltre, trovare il modo per attribuire rilevanza alle operazioni in borsa chiuse in perdita per il risparmiatore. Tutto ciò ha fatto sì che per molto tempo si avesse un’esenzione di fatto delle plusvalenze realizzate in borsa. D’altro canto però esistevano le plusvalenze derivanti dalla cessione di azioni non quotate di società a base familiare, e di quote di s.r.l. o società di persone; per tali plusvalenze un regime fiscale più mite non era giustificato dall’esigenza di tutela del risparmio pubblico, ma in virtù della pluriennalità ed aleatorietà dei redditi in esame. Tutto ciò aveva condotto alla collocazione di tali plusvalenze fra i redditi diversi nell’art. 81, lett. c, del Tuir; venivano però tassate solo le plusvalenze relative a partecipazioni eccedenti alcune soglie percentuali del capitale sociale possedute per meno di 5 anni. La tassazione del capital gain è stato da ultimo regolata, dopo una serie di decreti legge interlocutori, dalla l. 25 marzo 1991, n. 102, ed è ora contenuta negli artt. 81 e 82 del Tuir. La normativa in questione sottrae tutte le plusvalenze da partecipazione realizzate da non imprenditori (lavoratori dipendenti ed autonomi, società semplici ed enti non commerciali, eccettuate per queste ultime le plusvalenze realizzate nell’ambito di un’attività commerciale sussidiariamente svolta) dall’ambito di applicazione delle ordinarie imposte sul reddito e le assoggetta ad un apposito tributo sostitutivo. Tale disciplina è stata però momentaneamente sospesa e dovrebbe comunque essere rivista a partire dal 1o ottobre 1994. Oggetto della tassazione sono le cessioni onerose (vendite, permute, conferimenti) di azioni, quote, altre partecipazioni analoghe, certificati rappresentativi di partecipazioni, obbligazioni convertibili ed i diritti di opzione. Sono previsti due regimi di determinazione a seconda che si tratti di partecipazioni qualificate o di partecipazioni di ammontare inferiore. Il regime sostitutivo c.d. analitico (o ordinario) è infatti obbligatorio per tutti coloro che cedono partecipazioni superiori al 2, al 5 o al 15% del capitale, secondo che si tratti di azioni quotate, azioni non quotate o altri titoli partecipativi. Tale regime è invece facoltativo per tutti coloro che cedono partecipazioni non qualificate o partecipazioni qualificate ricevute in successione. Il regime analitico prevede un’imposizione realizzata attraverso l’aliquota del 25% accompagnata però dall’indicizzazione (agganciata al deflattore implicito del Pil) del prezzo di acquisto delle partecipazioni e dalla possibilità di compensare plusvalenze o minusvalenze (per cui è concesso il riporto in avanti nei successivi cinque periodi d’imposta) su partecipazioni diverse. L’imposta così determinata deve essere liquidata dallo stesso contribuente in sede di dichiarazione dei redditi. Il regime forfettario è consentito per le cessioni di partecipazioni non qualificate (mancato superamento delle soglie indicate nell’art. 81, lett. c Tuir) e per le cessioni di partecipazioni qualificate ricevute in successione. Il regime prevede una determinazione forfettaria della plusvalenza attraverso decreti ministeriali. Questi ultimi devono considerare le variazioni nelle quotazioni di borsa di ciascun titolo durante il trimestre precedente e per le partecipazioni non quotate alcuni complessi criteri (la partecipazione non può comunque essere superiore al 7% del corrispettivo della cessione). La plusvalenza così determinata è assoggettata all’imposta sostitutiva del 15% ed è prelevata dagli intermediari finanziari o dalla società emittente senza obblighi di dichiarazione in capo al cedente. Quest’ultimo regime pur non prevedendo ne´ l’indicizzazione ne´ la deduzione delle minusvalenze ha comunque in virtù del metodo particolare di determinazione della plusvalenza, un tasso d’imposizione molto modesto. Si rammenta, inoltre, che quando sia possibile la scelta del sistema va fatta in occasione della prima cessione servendosi di intermediari qualificati (notai, banche, agenti di cambio, commissionarie di borsa, Sim). Per le partecipazioni non qualificate possedute da più di 15 anni non è prevista alcuna tassazione (ed in tale esclusione vengono coinvolte anche le azioni sottoscritte in forza del diritto d’opzione durante il quindicennio).


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