La  remissione del debito è  la rinuncia  volontaria del creditore al proprio diritto:  può  consistere in una  dichiarazione espressa  (art.  1236 c.c.) o può  risultare, implicitamente, dalla  volontaria restituzione al debitore del documento dal quale  risulta  il credito  (art.  1237 c.c.) o da  altri  fatti  concludenti. Essa  estingue l’obbligazione sempre  che il debitore, entro  un  congruo  termine,  non dichiari  di opporvisi  (art.  1236 c.c. Il principio  è  che nessuno  può  essere costretto a subire  la remissione del proprio debito  (ciò  che il debitore può considerare umiliante o lesivo del proprio prestigio):  al creditore che dichiara di rimettergli il debito  il debitore può  opporre un  rifiuto  esplicito, ma deve  opporglielo entro  un  tempo  ragionevole; se tace,  la remissione produce l’effetto  estintivo  dell’obbligazione, e a nulla  varrebbe una  tardiva offerta  della  prestazione. La  remissione del debito è  concepita dall’art.  1236 c.c. come  atto unilaterale (v. atti unilaterali),  produttivo dell’effetto estintivo dell’obbligazione in forza  della  sola volontà  del creditore. Il silenzio  del debitore non  vale  quale  tacita  accettazione (v. accettazione,  remissione del debito della proposta contrattuale),  non  concorre a formare un  contratto. L’effetto  estintivo  si produce, per  l’art. 1236 c.c., nel momento in cui la dichiarazione del creditore è  portata a conoscenza del debitore: non  è  dunque necessario  che trascorra il congruo  termine entro  il quale  il debitore può  esprimere la propria opposizione. Se questa  sopraggiunge, la remissione del debito perde  efficacia,  e perde efficacia  ab  initio.  Nulla  vieta,  naturalmente, che il debitore dichiari espressamente di volere  profittare della  remissione del proprio debito  o, addirittura, che assuma  egli stesso  l’iniziativa,  proponendo al creditore la remissione del debito:  in questi  casi ogni  incertezza sulla sorte  della  remissione del debito viene  eliminata, dal momento della  accettazione espressa  nel primo  caso,  dal momento stesso della  remissione nel secondo.  La  remissione del debito trae  la propria validità  dal solo  fatto  di essere  l’atto  mediante il quale  il titolare di un  diritto  disponibile rinuncia ad  esso: si rinuncia,  con  la remissione, al proprio diritto  di credito  allo stesso  modo  in cui può  rinunciare al proprio diritto  il titolare di qualsiasi altro  diritto  soggettivo  disponibile.  La  funzione  dell’atto,  o, nel senso dell’art.  1325 n. 2 c.c., la sua  causa (v.),  è  solo  di consentire al titolare del diritto  di credito  una  simile disposizione  del proprio diritto;  le ragioni  che possono  spingere  il creditore a tanto  sono  legislativamente considerate irrilevanti;  non  influiscono  sulla validità  dell’atto.  Di  fatto  la remissione del debito può  però rispondere a finalità  molteplici;  e può , sebbene il c.c. la consideri  come  atto a se´  stante,  inserirsi  in più  complesse  operazioni: a) anzitutto può  essere diretta a soddisfare  un  interesse patrimoniale del creditore, come  nel caso in cui trovi  contropartita da  parte  del debitore o di un  terzo.  L’art.  1240 c.c., con  riferimento ad  una  ipotesi  particolare, parla  di rinuncia  al credito (nella  fattispecie, al credito  nei confronti  di un  fideiussore) verso corrispettivo; ma l’espressione è  impropria, perche´  il corrispettivo è prestazione che presuppone un  contratto, mentre la remissione del debito è , per  sua  natura, atto  unilaterale (come  è  improprio parlare di remissione del debito onerosa, come  talvolta  si parla  in dottrina). La  contropartita della  remissione del debito può  essere  un  mero  presupposto di fatto  dell’atto;  ma può  anche  tradursi in una  condizione sospensiva  (v. condizione, remissione del debito sospensiva)  (art.  1353 c.c.), al cui verificarsi  è  subordinata l’efficacia della  remissione del debito) può , ancora,  essere  diretta a soddisfare  un  interesse  patrimoniale del creditore nel frequente caso  del socio  di una  società  che sia  creditore di questa  per  prestiti  a questa  erogati:  se la società  è  in difficoltà  finanziaria, la remissione del debito da  parte  del socio  può  alleggerirne il passivo  e salvarla  dal  fallimento  (v.) (qui  il creditore ricava  un  vantaggio  dalla  propria rinuncia  al  credito  per  la sua  contemporanea situazione di socio  della società  debitrice); c) può , inoltre,  essere  dettata da  una  esigenza,  sempre economica, di risparmio,  come  nel caso  in cui il creditore rinuncia  al suo diritto  verso  uno  o più  creditori per  essersi  accorto  che le spese  di esazione dei crediti  superano il prevedibile incasso;  d)  può  poi  essere  ispirata  da motivazioni  ideali  (generosità , riconoscenza ecc.), ed  allora,  ma soltanto allora,  si configura  come  atto  di liberalità  (v. atti, remissione del debito di liberalità ), in particolare come  liberalità  atipica  (v. atti, remissione del debito di liberalità  atipici).  
 prova della remissione del debito:  v. prova,  remissione del debito del contratto. 		
			
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