Per  antinomie si intende comunemente una  situazione di incompatibilità  tra  due  (o più ) norme:  si tratta cioè  di due  norme  che in astratto appaiono idonee  a disciplinare  validamente la singola  fattispecie, ma che in concreto ne pongono discipline  differenti, tra  loro  incompatibili. Abbiamo, in altri termini,  una  sovrabbondanza di norme,  dovuta,  come  rilevato  in dottrina, alle  diverse  velocità  con  cui si muovono rispettivamente l’ordinamento giuridico  da  una  parte  e la società  dall’altra,  velocità  che portano alla produzione di nuovo  diritto,  senza  coordinarlo col precedente. Altra  causa di  tale  fenomeno è  la coesistenza di diverse  tendenze di sviluppo  della società , e quindi  dell’ordinamento, che portano alla  produzione di norme incompatibili. Per  aversi  antinomie occorre  che ricorrano due  condizioni:  1) che le norme  appartengano allo  stesso  ordinamento, ovvero  ad  ordinamenti che siano  tra  loro  in rapporto di coordinazione o di subordinazione (ad  es. si potrà  avere  antinomia tra  una  norma  dell’ordinamento giuridico  italiano  ed una  norma  dell’ordinamento della  Comunità  europea, ma non  invece  con una  norma  di ordinamento straniero); 2) che abbiano lo stesso  ambito  di validità  temporale, spaziale,  personale e materiale (saranno cioè , ad  es., in antinomia la norma  che obbliga  a fumare  la domenica e quella  che vieta  di fumare  tutti  i giorni  della  settimana, ma non  anche  quella  che vieta  di  fumare  il lunedì;  e così  via). Sono  state  proposte varie  classificazioni  delle  antinomie. Per  quel  che concerne la natura delle  antinomie si distingue  tra  antinomie proprie e antinomie improprie, cioè  tra  antinomie tra  norme  (vere  antinomie) ed  antinomie tra  disposizioni,  risolubili mediante l’attività  ermeneutica. In  relazione  all’ambito  di validità  delle  due  norme  in conflitto,  cioè  al comportamento regolato, si distinguono tre  tipi di antinomie: a) totaleantinomietotale (o  assoluta), quando le due  norme  hanno  un  ambito  di validità  uguale;  b)  totaleantinomieparziale (o  incompatibilità  tra  norma  generale e norma  particolare), quando tale  ambito  coincide  solo  in parte;  c) parzialeantinomieparziale (o  sovrapposizione di norme), quando una  parte  delle  due norme  è  in conflitto  ed  un’altra  no  (a  ben  vedere,  solo  il primo  di questi tre  tipi  dà  vita  ad  una  antinomia tra  norme,  ad  una  vera  antinomia; gli altri casi sono  solamente delle  antinomie improprie). L’incompatibilità  riferita  alle  norme di comportamento può  prospettarsi, facendo  relazione  ai modi  deontici, come  contrarietà  o contraddittorietà . La  contrarietà  si verifica  tra  una norma  di obbligo  e una  norma  di divieto  e, alla  risoluzione,  le norme possono  essere  una  vera  ed  una  falsa,  ma anche  entrambe false.  La contraddittorietà , invece,  ricorre  tra  una  norma  di obbligo  ed  una permissiva  o tra  una  norma  di divieto  ed  una  norma  facoltativa:  in tal  caso una  sarà  falsa e l’altra  necessariamente vera  (tertium non  datur). Inoltre, a seconda  dell’applicabilità  dei criteri  di risoluzione,  nell’ambito delle  antinomie proprie, è  stata  prospettata la differenziazione tra  antinomie solubili  (o  apparenti) e antinomie insolubili  (o  reali).  Ci troviamo di fronte  ad  una  antinomia insolubile quando i criteri  di risoluzione non  possono  applicarsi  o sono  applicabili  più criteri  contemporaneamente ed  in conflitto  tra  loro.   
 criteri di risoluzione delle  antinomie:  la necessità  di coerenza dell’ordinamento implica la soluzione  della  antinomie. A  tal  fine dottrina e giurisprudenza hanno  nel tempo  enucleato una  serie  di criteri  di cui l’operatore del diritto  può  valersi per  scegliere  la norma  da  applicare  alla  fattispecie, nella  situazione di  incompatibilità . Tali criteri  sono  distinguibili  in due  categorie:  1) criteri logici, che si applicano a prescindere dalla  loro  previsione  positiva  da  parte del singolo  ordinamento, essendo  connaturati alla  nozione  stessa  di ordinamento ed  operando quindi  in qualsiasi  ordinamento, e che in genere incidono  sull’efficacia  delle  norme  in conflitto  (es. abrogazione) o solo  sulla loro  applicabilità  alla  fattispecie;  2) criteri  positivi,  che operano solo  in quanto specificamente previsti  e regolamentati dal singolo  ordinamento, andando in genere  ad  incidere  sulla validità  delle  norme  confliggenti  e comportandone, in genere,  l’espulsione  dal sistema,  a mezzo  di istituti  quali la nullità  o l’annullamento, ovvero  la disapplicazione. Alla  prima  categoria appartengono il criterio  cronologico  (lex posterior derogat  priori)  per  cui è da  applicare  la norma  che segue  nel tempo  rispetto  a quella  che precede, limitandosi l’efficacia temporale di quest’ultima; ed  il criterio  della  specialità (lex specialis,  etiamsi  prior,  derogat  generali,  etiamsi  posteriori), esplicazione  della  regola  di differenziazione delle  categorie  riconducibile al suum  cuique  tribuere, per  cui applicabile, a livello  meramente ermeneutico, la norma  speciale  rispetto  alla  norma  generale incompatibile, anche  se quest’ultima è  posteriore nel tempo.  Alla  seconda  sono  invece  riconducili  il criterio  gerarchico  (lex superior derogat  inferiori) che ritiene  valida  la norma superiore su quella  inferiore (di  cui è  tipico  esempio  nel nostro ordinamento positivo  l’illegittimità  costituzionale, contrasto di una disposizione  di una  norma  gerarchicamente inferiore,  legge o atto  avente forza  di legge, rispetto  ad  una  disposizione  gerarchicamente superiore (Costituzione o leggi costituzionali); ed  il criterio  della  competenza, da  alcuni  visto come  conglobato in quello  gerarchico, per  cui la norma  valida  è quella  posta  dall’organo o dalla  fonte  che in quell’ambito ha preferibilmente la competenza (è  il caso,  ad  es., di un  conflitto  tra  norme statali  e norme  regionali).  Nel  caso  però  che le norme  abbiano lo stesso ambito  di validità , siano  cioè  contemporanee, entrambe generali  o speciali, entrambe poste  da  fonte  competenti e di uguale  rango  gerarchico, non  è applicabile nessuno  dei criteri  su esposti  (e  neanche l’ulteriore,  discusso, criterio  della  forma  della  norma,  basato  sui modi  deontici  delle  norme) per cui la antinomia si converte in lacuna  delle  norme  sulla normazione. Ulteriori e complessi  problemi nascono,  infine,  dai conflitti  tra  i antinomie antinomie, che sorgono  quando sono  applicabili  più  criteri  alla  stessa  antinomia, e che si risolvono  mediante una  valutazione delle  singole  ipotesi,  pur  potendosi in genere  tener  presente una  sorta  di scala gerarchica  tra  criteri  per  cui sarebbero da  applicare, nell’ordine, quello  di competenza, quello  gerarchico, quello  di specialità  ed  il cronologico. 		
			
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