estinzione  dell’obbligazione  per impossibilità sopravvenuta della prestazione:  l’obbligazione, oltre  che per  adempimento (v.),  può  estinguersi per  impossibilità sopravvenuta della prestazione, dovuta  a causa  non  imputabile al debitore. Ev  un modo  di estinzione dell’obbligazione che viene  tradizionalmente qualificato come  non  satisfattivo:  l’obbligazione  si estingue  pur  restando insoddisfatto l’interesse  del creditore alla  prestazione. Va  aggiunto  che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione può  essere:  a) una  impossibilità  solo  temporanea (art.  1256, comma  2o, c.c.). In  tal  caso vale  una  regola  generale,  seguita  da  due  eccezioni.  La  regola  generale è  la cosiddetta perpetuatio obligationis:  l’obbligazione  non  si estingue,  e il debitore dovrà  adempierla non  appena l’impossibilità  temporanea sarà cessata. A  favore  del debitore, che adempie tardivamente, l’impossibilità temporanea produce questa  conseguenza: egli non  sarà  responsabile per  il ritardo:  non  si produrranno a suo carico  gli effetti  della  mora  debendi (v. mora,  impossibilità sopravvenuta della prestazione del debitore).  Tuttavia, l’impossibilità  temporanea equivarrà  a impossibilità  definitiva,  e libererà  il debitore, in due  casi: 1) se l’impossibilità  perdura fino a quando, in relazione  al titolo  dell’obbligazione o alla  natura dell’oggetto, il debitore non  può  più  essere  ritenuto obbligato  ad  eseguire  la prestazione. Così  se il tempo  dell’adempimento doveva  considerarsi essenziale  (come  la malattia del musicista  scritturato per  quel dato  concerto); 2) se l’impossibilità sopravvenuta della prestazione perdura fino a quando il creditore non  ha  più  interesse a conseguirla.  Così  il medico  chiamato  al capezzale  del paziente  sarà  liberato se, prima  che sia cessata  l’impossibilità  di soccorrerlo, il paziente  sia guarito  (o  se, nel frattempo, sia stato  chiamato  altro  medico); così l’armatore non  avrà  più  interesse al soccorso  del rimorchiatore se la  sua  nave  è  affondata prima  che il ristabilimento delle  condizioni  di navigabilità  consentisse al rimorchiatore di salpare.  Alla  impossibilità temporanea è  equiparato dall’art.  1257 c.c. lo smarrimento della  cosa  di specie  della  quale  non  possa  essere  provato il perimento: nel caso  di successivo  ritrovamento si applica  l’art. 1256, comma  2o, c.c.; b)  una impossibilità  solo  parziale  (art.  1258 c.c.). Qui  il debitore si libera eseguendo la prestazione per  la parte  rimasta  possibile  (il vettore marittimo,  ad  esempio,  consegna  quella  parte  delle  merci  che si sono salvate dal naufragio della  nave  e nelle  condizioni  di deterioramento in cui è  riuscito  a ricuperarle). La  norma  si pone  in continuità  con  l’art. 1181 c.c. (v. adempimento, impossibilità sopravvenuta della prestazione parziale  dell’obbligazione): il creditore può , in linea  di principio,  rifiutare un  adempimento parziale;  tuttavia, il debitore si libera con  l’adempimento parziale  se, per  la parte  residua,  la prestazione è diventata impossibile  per  causa  a lui non  imputabile. Deve  trattarsi, ovviamente, di prestazione divisibile:  se la prestazione è  indivisibile,  per  sua natura o per  il modo  con  il quale  le parti  l’hanno  considerata, l’impossibilità  parziale  produrrà  gli stessi effetti  di una  impossibilità  totale. L’impossibilità sopravvenuta della prestazione può  essere  imputabile al fatto  di un  terzo.  Il debitore si libera  verso  il creditore, ma può  avere  ragioni  di credito,  a titolo  di risarcimento dei danni,  nei confronti  del terzo.  In  tal  caso,  se la prestazione diventata impossibile  aveva  per  oggetto  una  cosa  determinata, il creditore subentra nei diritti  spettanti al debitore nei confronti  del terzo,  e se il debitore ha già  fatto  valere  i suoi  diritti,  egli può  esigere  dal debitore quanto ha conseguito a titolo  di risarcimento (art.  1259 c.c.). Ulteriore e diverso  rimedio  esperibile da  parte  del creditore è  quello  che deriva  dai principi sulla tutela  aquiliana  del credito:  l’azione  riconosciuta al creditore dall’art. 1259 c.c. è  contenuta nei limiti di quanto al debitore spetta  nei confronti del terzo,  in ragione  del danno  dal debitore subito;  se, invece,  il creditore agisce  nei confronti  del terzo  per  ottenere, a norma  dell’art.  2043 (v. fatti illeciti), il risarcimento della  lesione  del proprio credito,  il risarcimento è commisurato al danno  da  lui subito  per  il mancato conseguimento della prestazione diventata impossibile.  Il lucro  cessante (v.) del debitore è  pari alla  mancata  percezione del corrispettivo pattuito con  il creditore: se il debitore agisce  nei confronti  del terzo  o se nei suoi  confronti  agisce  lo stesso  creditore ex art.  1259 c.c., il risarcimento non  può  andare oltre questo lucro  cessante.  Se, invece,  il creditore agisce  nei confronti  del terzo a norma  dell’art.  2043 c.c., lamentando la lesione  del suo diritto  di credito, il risarcimento si commisura al mancato guadagno del creditore, che può essere  superiore. L’azione  per  lesione  del credito  ha,  inoltre,  un  più  vasto raggio  d’azione:  è  esperibile anche  quando la prestazione diventata impossibile  per  il fatto  del terzo  fosse  una  prestazione di fare  (v. prestazione,  impossibilità sopravvenuta della prestazione di fare),  mentre l’art. 1259 c.c. è  applicabile solo  alle prestazioni di dare  (v. prestazione,  impossibilità sopravvenuta della prestazione di consegnare)  una  cosa  determinata o, tutt’al  più , appartenente ad  un  genere  limitato.   
 impossibilità sopravvenuta della prestazione nei trattati internazionali:  situazione sopravvenuta che rende  impossibile l’esecuzione  di un  trattato internazionale. L’art.  61, comma  1o, della Convenzione di Vienna  del 23 maggio  1969, sul diritto  dei trattati, riproduce le norme  di diritto  generale allorquando dispone  che una  parte  può  invocare  l’impossibilità  di eseguire  un  trattato come  motivo  per  porvi fine o per  recedervi  se questa  impossibilità  deriva  dalla  scomparsa  o distruzione definitiva  di un  oggetto  indispensabile all’esecuzione  di questo trattato. Se l’impossibilità  è  temporanea, essa  può  essere  invocata  soltanto come  motivo  per  sospendere l’applicazione  del trattato. Si pensi  ad  ipotesi di impossibilità  definitiva,  quali  la sopravvenuta inidoneità  di un  corso d’acqua  alla  navigazione  rispetto  a un  trattato che obblighi  gli Stati  ripuari a  consentire la navigazione  di navi  straniere; o di impossibilità  temporanea, quali  la rottura delle  relazioni  diplomatiche, invocabile  come  motivo  di sospensione per  quei  trattati che tali  relazioni  presuppongono.  
 risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione:  v. risoluzione del contratto,  impossibilità sopravvenuta della prestazione per impossibilità sopravvenuta della prestazione. 		
			
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