L’esistenza  di un  principio  di parità di trattamento operante in ambito  privatistico assume particolare rilievo  nella  disciplina  del rapporto di lavoro  subordinato, caratterizzato dalla  diseguaglianza di condizioni  e di poteri  dei soggetti  cui il rapporto fa capo.  Il valore  dell’eguaglianza, che impone  di trattare in modo  eguale  gli eguali  ed  in modo  diseguale  i diseguali,  costituisce  infatti un  essenziale  limite  alla  posizione  di supremazia dell’imprenditore, costringendolo ad  esercitare le proprie prerogative in maniera ne´  arbitraria ne´  discrezionale in base  all’adozione  di criteri  di valutazione rispettosi  dei diritti  fondamentali dell’individuo.  Tale  prospettiva trae  conferma, anzitutto, da  una  serie  di disposizioni  costituzionali che portano a configurare la parità di trattamento come  principio  ed  efficacia  soggettiva  generale,  sia sotto  il particolare profilo  della  parità  di trattamento tra  uomo  e donna  (v. parità di trattamento tra uomini  e donne  in materia di lavoro)  sia, complessivamente, per  ciò  che attiene alla lesione  della  pari  dignità  della  persona ed  alla  produzione di diseguaglianze di fatto  (artt.  2, 3, 29, 36, 37, 41, 51 Cost.)  Tradizionalmente disatteso da una  costante  giurisprudenza di legittimità  che recisamente negava  l’efficacia intersoggettiva delle  disposizioni  costituzionali d’eguaglianza,  il principio  in esame  ha  subito  in tempi  recenti  un  apprezzabile riconoscimento in sede legislativa  con  la legge sulle azioni  positive  (v.) ed  è  stato  accreditato con un’importante pronuncia della  Corte  Costituzionale (n.  103 del 1989). Da una  reiterata negazione del principio  al di fuori  dei casi di specifiche discriminazioni (v. discriminazione, divieto  di parità di trattamento) vietate  dalla  legge o dalla contrattazione collettiva  si è  intrapreso, in tal  modo,  un  cammino  in parte già  tracciato ed  in parte  ancora  da  percorrere. Nel  settore del pubblico impiego  il principio  di parità di trattamento viene  attuato mediante la garanzia,  a favore  dei dipendenti, di trattamenti comunque non  inferiori  a quelli  previsti  dai rispettivi  contratti collettivi.   
 parità di trattamento tra uomini e donne  in materia di lavoro:  la parità di trattamento parità di trattamento è  riconosciuta nel nostro ordinamento nell’art.  37 Cost.  e nella  l. n. 903 del 1977 al fine di assicurare l’eguaglianza  della  retribuzione  (v.),  per  lavori  di uguali  prestazioni o di pari  valore,  e per  eliminare qualsiasi  discriminazione basata  sul sesso  (v. discriminazione, parità di trattamento a causa del sesso) in tutti  gli elementi e le condizioni della  retribuzione stessa,  nell’inquadramento professionale, nell’attribuzione delle  mansioni,  nella  progressione della  carriere e in ogni  altro  aspetto del rapporto, compresa l’estinzione  dello  stesso  (artt.  2, 3, 13 l. n. 923 del 1977). Tale  eguaglianza  è  condizionata alla  parità  del lavoro  rispetto  a quello  compiuto dall’uomo,  con  il corollario della  liceità  di differenziazioni retributive in presenza di obiettive diversità  delle  prestazioni lavorative.  Per quanto attiene alla  parità di trattamento nel settore della  previdenza la legge parifica,  ad  es., le condizioni  di erogazione degli  assegni  familiari  a carico,  mentre il legislatore  ha  attuato anche  una  parificazione di trattamenti fra madre lavoratrice (v.) e padre lavoratore  (v.) in relazione  all’assenza  facoltativa  dal lavoro  per  un  periodo di sei mesi durante il primo  anno  di vita  del bambino (art.  7, l. 1204 del 1971; art.  7, comma  1, l. n. 903 del 1977; art.  80 l. n. 184 del 1983). La  legge sulle azioni  positive  (v.) contiene una  serie  di norme  volte  a promuovere la parità  di opportunità  tra  uomo  e donna,  in particolare ponendo rimedio  alle  disparità  di fatto  che pregiudicano le  opportunità  di lavoro  e di carriera delle  donne.  La  l. n. 236 del 1993 prevede, nel caso  di mobilità  (v. mobilità , parità di trattamento dei lavoratori  nell’impresa)  il divieto  per  l’impresa  di collocare  in mobilità  una  percentuale di manodopera femminile  superiore alla  percentuale della  manodopera medesima  occupata nell’impresa  nelle  mansioni  prese  in considerazione. Le lavoratrici  iscritte  nelle  liste  di mobilità  (v. mobilità , liste di parità di trattamento) possono usufruire delle  azioni  positive. 		
			
| Pareri | | | Parlamento |