Enciclopedia giuridica

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Sicurezza sociale

Il concetto di sicurezza sociale è tra quelli controversi nel sistema italiano, al punto che taluno arriva a discuterne fino la proponibilità stessa, almeno in termini di rilevanza giuridica, confinandone il significato al mondo delle idee di politica sociale. Di sicurezza sociale si iniziò a parlare all’indomani della seconda guerra mondiale. L’ispirazione era in fondo abbastanza semplice: che ogni cittadino dovesse godere della condizione fondamentale di libertà dal bisogno, che avrebbe dovuto affiancare la appena riconquistata libertà politica. La Costituzione disegna i tratti fondamentali di questa parte dell’ordinamento: si tratta dell’art. 38, la cui interpretazione è altamente controversa, ma del quale si può dire che abbia al centro la costituzionalizzazione della situazione vigente al momento, con il complesso delle istituzioni di previdenza sociale per i lavoratori ampiamente riformate e razionalizzate nel corso degli anni trenta. Questa norma non contiene alcun apprezzabile progetto per il futuro: si limita a consolidare l’esistente, con qualche correzione anche non marginale, come la previsione, al comma 1o, di un diritto all’assistenza. Il sistema resta dunque, stando all’art. 38, dicotomizzato tra una assistenza di basso profilo per tutti i cittadini ed una più articolata e ricca previdenza per i lavoratori. Quale che dovesse essere giudicata la capacità innovativa del testo costituzionale, resta che comunque le riforme non ebbero corso che molto tardivamente e solo parzialmente alterando il sistema costruito negli anni ’30. Più precisamente, quasi solo nel campo dell’assistenza sanitaria, dove l’istituzione del servizio sanitario nazionale, con il suo carattere universalistico, ha definitivamente ribaltato la precedente organizzazione basata sulle c.d. mutue (attualmente in parte ripristinate). Quando, a partire dagli anni ’60, riprese il dibattito sulla sicurezza sociale si vennero sostanzialmente ad articolare due posizioni. La prima, saldamente ancorata alla visione tradizionale, negava qualsiasi valore all’espressione in oggetto, leggendo l’art. 38 nei termini già ricordati, con una previdenza rigorosamente assicurativa da un lato e l’assistenza per tutti i bisognosi dall’ altra. La posizione più moderna interpretava invece in termini unitari il contenuto dell’art. 38, con il conforto in particolare del comma 4o dello stesso articolo dove è stabilita una responsabilità unitaria dello Stato, e soprattutto a partire dall’impegno di eguaglianza sostanziale consacrato all’art. 3, comma 2o. Obiettivo dell’ azione dello Stato avrebbe dovuto essere dunque la realizzazione della sicurezza sociale come ricostruzione coordinata e unitaria delle funzioni di protezione sociale. Queste due posizioni continuano, arricchite da alcune variazioni, a tenere il campo, anche perche´ l’ordinamento positivo ha subito una evoluzione che ha visto sia la realizzazione di misure ispirata ai principi di universalismo propri della sicurezza sociale, come il già ricordato servizio sanitario nazionale o la pensione sociale ai cittadini ultrasessantacinquenni privi di risorse; sia il perdurare di misure ancora selettivamente ispirate ai criteri della previdenza e delle assicurazioni sociali, seppure per più versi revisionati. Al centro della sicurezza sociale, così come oggi considerata, sta l’universalismo della protezione, sia in senso soggettivo che oggettivo. Destinatari dovrebbero essere tutti cittadini, senza alcun rilievo per la posizione professionale, che è invece il dato che qualifica la protezione previdenziale; occasione di intervento dovrebbe esser qualsiasi situazione generatrice di bisogno, senza rilievo, di nuovo, per l’origine qualificata della situazione stessa; infine, l’intervento dovrebbe tendere a ristabilire la condizione di libertà dal bisogno, senza attenzione quindi ad alcuna funzione risarcitoria, in termini dunque generalizzati e tendenzialmente egualitari. Misure di sicurezza sociale dovrebbero, è ben evidente, costituire il trattamento di base per garantire la condizione di cittadinanza a tutti gli individui, i quali dovrebbero poi essere liberi, come espressamente riconosce la Costituzione, di organizzare gli ulteriori sistemi di accantonamento e redistribuzione delle risorse, secondo principi e modalità liberamente stabiliti da ciascun raggruppamento di interessi che sia in grado di attivarsi per raggiungere questi obiettivi, nel rispetto delle regole generali. (G.G. Balandi)


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